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⚫ Onde, come Filopemene venne appellato l'ultimo ⚫ dei Greci, perché dopo lui non florirono capi⚫ tani assai valenti nella scienza militare; così ⚫ Castruccio appellar si può il primo degli Ita⚫liani, giacchè nei precedenti tempi non fu alcuno che avesse bene inteso al governo degli ⚫ eserciti.

» Uguccione poi combattè con truppe mera>mente collettizie; nè mai applicossi a disciplinarle; e però accaduta la presa di Lucca, non fu seguito da'suoi, e si vide ridotto a tale da ⚫ mendicare il pane in una corte straniera. Sicchè l'uno, ordinando lo stato con alcune buone > istituzioni, conservò sẻ medesimo; l'altro, la» sciandolo in balia del caso, si distrusse. Il primo dunque ebbe le qualità di un accorto » principe, il secondo le qualità di un tiranno da > teatro. »

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Ma quali fatti reca in prova dell' opinione sua il signor Troya ? Le geste d'Uguccione? Le abbiamo percorse. La lettera di frate Ilario? Essa ad ogni modo non proverebbe se non che Dante mandava in dono a Uguccione la prima Cantica, non già che lo raffigurasse sotto il Veltro, salute d'Italia. Il verso: E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro? (1) Ma per accertarsi che queste parole accennino ad Uguccione, converrebbe provare tre cose: che le non possano accennare ad altri; che per Feltro e Feltro s'abbia a intendere la città Feretrana di S. Leo e Macerata Feltria; e che nazione altro senso non abbia che quel d'origine, di nascimento (2).

Quanto più conveniente è l'intendere che questo Veltro è quel medesimo Cane della Scala, alla cui famiglia tanto doveva l'Allighieri; che sempre si mantenne Ghibellino animoso e potente; che aiutò più volte parte Bianca in Toscana, e più altre certamente avrà promesso a Dante aiutarla; che fu capo di tutta la lega ghibellina, la quale in questo senso poteva giustamente chiamarsi la sua nazione; che non solo da Feltre, nel Trivigiano, a'monti Feltrii distese l'autorità del suo nome e la fama di sua magnificenza, ma per tutta Italia ancora, il cui nome stesso serve a dichiararci l'allegoria del Poeta (3); a' cui stipendii morì lo stesso Uguccione; che i più eminenti Ghibellini e di Romagna e di Toscana e di Lombardia ospitalmente nel suo palagio raccolse; a

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(1) Inf., I. (2) Nazione in questo senso sarebbe stato, pare a me, impropriamente adoperato. Dante non avrebbe detto la sua schiatta, la sua nascita sarà tra Feltro e Feltro. Perche mai sarà, se il Veltro era nato? Ma intendendo nazione nel senso più ovvio, e applicandolo a Cane, sarà divien proprio del par ch'evidente. (5) Benvenuto da Imola dice che il Veltro da Dante inteso non è lo Scaligero: ma col soggiungere che questo Veltro è Gesù Cristo, e' toglie ogni fede a' suoi detti.

cui la lettera che ci rimane di Dante, nell' atto ch'è dedica del Paradiso, è dichiarazione dell'intero Poema, quasi per indicare che l'intero Poema sotto gli auspizii di lui usciva alla luce (4)?

A Cane, lodato dal Boccaccio come il più magnifico signor del suo tempo, meglio si conveniva che ad Uguccione la lode ch'e' non si ciberà né di terra nè di metallo; a Cane che dall'età di tredici anni si dimostrò nelle lettere educato oltre il costume de' privati uomini, nonchè de' principi, e che sempre ebbe in onore, o mostró d'avere almeno, gli uomini di sapere, meglio che al rozzo Uguccione, s'addiceva quel verso che lo canta nutrito di sapienza. E se da Arrigo ricevé grandi onori Uguccione, maggiori ne riceve lo Scaligero, eletto ad imperiale Vicario egli e i suoi discendenti, e privilegiato di portare sulla propria insegna quello che Dante chiamò il santo uccello (2), e l'Alamanni:

‚ l'Aquila grifagna.

Lo Scaligero, accolto liberamente da Arrigo in Milano, aiutatore di lui nella mossa contro Cremona, e poi contro Brescia, combattitore valoroso, e quasi sempre fortunato, ebbe più larghi dominii d' Uguccione; e meglio confermò la stima dell'esule Fiorentino. Sentiamo il Lomonaco :

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Poichè ebbe rassettate alcune faccende della cit⚫tà, ne andò a Vicenza, dove fu ricevuto con tanta ⚫ pompa, che pareva un imperadore. Quivi nel comporre le liti, nel dare udienza, e nel trattar le persone mostrò si grande benignità, che conciliossi l'amore di quel popolo. Ne' due mesi che vi soggiorno intese ad esaminare scrupolosamente le ragioni delle pubbliche entrate, ad osservare le giurisdizioni, e a riconoscere i coufini. Dando orecchio ai clamori della plebe contro i baroni, cooperò ch'ella non fosse, come per l'addietro, de⚫ pressa, smuuta, scorticata. E però si fece prometter » da loro di non esiger la decima, ma la ventesima parte delle derrate de' vassalli. Fece anche corroborar le promesse col giuramento, ignorando che tal sorta di gente è spergiura pria di dar la fede; e che quanto meno ha di possanza, > tanto più è ingorda, maligna, iniqua. Risveglio » eziandio alcune ottime leggi annonarie, le quali, • per la noncuranza o piuttosto per la malizia ⚫ de' suoi predecessori, eransi addormentate. E provvedendo al civil costume, fece alcuni statuti che fossero muro insuperabile alla dissolutezza » della minuta gente, e alla potenza de' nobili. Ma con tali provvedimenti si schiantavano i

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rami, non già il tronco dell' albero della ser

(1) Tanto è ciò vero, che gli ultimi Canti, appena trovati, furon mandati a Cane della Scala, quasi a legittimo possessore, come attesta il Boccaccio. (2) Par., XVII, t. 24.

vitù.

Certo che nemmen lo Scaligero fu mondo di difetti, d'errori, di misfatti, ma meno bruttato ne visse del Faggiolano; e i suoi misfatti non erano tali che ferissero tanto direttamente le dottrine politiche e i desiderii del Poeta. E si noti come i concetti del primo dell' Inferno rispondano a capello a quelli del diciassettesimo del Paradiso, dove chiaramente è parlato di Cane. Cane nel 1300 aveva soli nov' anni, e questo si concilia con le parole: che molti saranno gli animali a cui la lupa s'ammoglierà infin che 'l Veltro verrà che la faccia morire (1). E quell' uomo le cui magnificenze dovevan essere confessate e lodate da' suoi nemici, che doveva arricchire i mendici con la liberalità, e con la forza dell'armi far poveri i ricchi, cui Dante doveva onorare del titolo di suo benefattore; quell'uomo era più proprio a far morire di doglia la lupa. E nel primo dell' Inferno e nel diciassettesimo del Paradiso troviamo rammentata la virtute di lui: nell' uno è detto che non ciberà peltro, nell'altro che non curerà d'argento nell'uno, che vincerà la lupa, la quale molte genti fe' già viver grame; nell'altro, Per lui fia trasmutata molla gente; e nell'uno e nell'altro par che s'eviti di nominarlo, ma additasi di lontano, si profetizza quasi messia della italiana società; e grandi cose e incredibili se ne promettono. Fin quella lode del nutrirsi d'amore, meglio che al duro Faggiolano, conviene a colui che in pompe ed in lusso profuse tanto delle ricchezze de'sudditi; a colui che dell'amore senti si forti gli stimoli da lasciarsi trasportare a un misfatto: misfatto che Dante, non ignaro di tali miserie, aveva imparato, se non a scusare, almeno a non fulminare dell'ira sua.

E finalmente ben poteva dirsi di Cane, ch'e' caccerebbe la lupa per ogni villa, egli che dovunque andasse, grandi prove faceva di più che - regale magnificenza. Chè del simbolo della lupa, la prima e più essenziale interpretazione si è quella che figura in lei l'avarizia: e perchè figlia dell'avarizia è la simonia, però nella lupa stessa è figurata indirettamente talvolta la corte di Roma, alla qual doveva, secondo le speranze di Dante, sorgere terribil nemico il ghibellino Scaligero.

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E questa interpretazione mi viene confermata da un bel passo del libro ripubblicato dal Gamba : I fatti d'Enea, libro d'un coetaneo di Dante, perche scritto di certo innanzi il 1337. E però dice Dante nel principio del primo Canto della » sua Commedia, ove poeteggia di quel Veltro che debbe cacciare la lupa d'Italia, cioè l'avarizia e la simonia (2). » Cosi le due interpretazioni si trovano in modo semplicissimo ed evidente accoppiate; e conciliansi le difficoltà che verrebbero dal

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voler nella lupa null' altro conoscere che la corte romana. L'interpretazione di questo buon trecentista è, del resto, una delle più coraggiose tra quelle del tempo suo, note a me, poichè nomina almeno la simonia, dove gli altri dal tener dietro a questo Veltro rifuggono con troppa cautela.

Infatti nel commento, recentemente scoperto, di ser Graziolo, è singolare a notarsi come nel Veltro e' raffiguri dapprima il Salvatore, poi alcuno universale pontefice o imperatore del mondo, o (si notino queste parole) alcuno altro grande uomo: poi più sotto, lasciando l'imperatore da un canto, «alcuno pastore ecclesiastico, o duca, o un grande » e magno animo (forse uno grande magnanimo). ► E finalmente: Ancora sopra questo si può dire

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» altre disposizioni (1) diverse da queste, secondo ⚫le significazioni del nome del predetto Feltro (2); e secondo i variati intendimenti, le quali al ⚫ presente lasciamo stare per ritagliare la lunghezza della materia. In queste interpretazioni si varie, in queste reticenze par di vedere chiaro un accorgimento di quella timida prudenza che fu poi nella seguente età sempre meglio condotta ad arte da certi scrittori in Italia.

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E poichè siamo a questo delle politiche significazioni del Veltro, non sarà forse discaro leggere un accenno più chiaro e un po' più coraggioso nel libro inedito del bolognese Armannino (3): le cui parole tanto più volentieri rechiamo, in quanto che, avverse a' Toscani, provano la grande potenza di questo popolo sulla civiltà e sulla lingua scritta d'Italia; due cose che non si possono ormai separare. Perchè Cristo fu adorato per noi, e il Diavolo quindi cacciato, pure vi rimase di lui alcuna radice; cioè che ancora tengono » di quelli peccati e' Toscani: e son queste radici tanto distese per lo mondo, che pochi luoghi, dove sono quelli rami, non mostrino di loro » fiori e frutti. E di questo (chi vuol dire bene il vero) la Toscana di ogni male si è cagione, » per la sua malizia, la quale il Diavolo entro » vi lasciò; la quale gli ha fatti per lo mondo più graziosi alle genti che null'altra nazione, per la loro malizia, e non per natura. Ma quel gran Veltro che caccerà la lupa della quale disse Dante, farà ancora scoprire tutti i loro difetti, chiari. Ora più non voglio; e seguitiamo altra..

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Non sono da omettere in fine le parole seguenti: Dopo Palhaus rimase uno suo figlio » ch'ebbe nome Clogio: costui edificó quella terra che ancora Clogia si chiama, per lo nome di » colui. Questi accrescette Venezia, e di castello, ⚫ grande cittade la fece, e molto fortificò quel porto ch'è oggi si nobile cosa. Questo Clogio fece le due città che l'una Feltro e l'altra Feoltro son chiamate. In mezzo di queste è una grande pianura ove sono castella e ville in gran quantitade. Fra queste due terre nascere doveva quel Veltro che caccerà quella affamata lupa della quale Dante parla nel suo libro (1). » Certo è che accennando la Feltre del Friuli e Chioggia e Padova e Venezia, Armannino qui di Uguccione non parla (2).

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Queste cose egli scriveva già morto Uguccione, e innanzi che quel della Scala finisse il troppo breve suo regno: le scriveva cioè innanzi il 1325: e dedicava il libro a Bosone da Gubbio, amico di Dante. Esuli ambedue, non è cosa impossibile che in Gubbio si rincontrassero, e che Dante confidasse a uno sventurato suo pari í próprii sdegni e le speranze (3).

Per il signor Troya pare combatta l'autorità del Boccaccio, là dove dice che l'Inferno fu da Dante intitolato a Uguccione: ma ciò non viene a dire, io ripeto, che Uguccione fosse il Veltro allegorico.

Soggiunge il Boccaccio che Uguccione, allora in Toscana, era signore di Pisa mirabilmente glo⚫ rioso. » Questo cenno contraddice alle congetture del signor Troya, e alla lettera stessa di frate Ilario e rende men forte l'autorità o del Boccaccio o del frate.

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(1) Fiorità, 1. XXI. — (2) Le origini delle città e quanto spetta alla storia antica ognuno intende che non merita punto fede. Non v' è di notabile altro che le parole che riguardano il Veltro. (3) Il Mazzucchelli, il Mehus ed altri affermano Armannino amico di Dante, ma non lo provano. (4) Vita di Dante. (5) Molte sono ne' passi riguardanti il Veltro le varietà de' codici d'Armannino. Il cod. 50 del pluteo LXXXIX, nel libro terzo, a proposito del Veltro che caccerà la lupa cita Merlino: e poi sotto. Ed in questo mezzo la coscienzia ciascuno morderà; e mordendo insino a quell'ora, si riposerà:

Certo è che riconoscendo nel Veltro il signor di Verona, conviene pensare che il Poeta componesse o mutasse quelle poche terzine del primo Canto sugli ultimi anni del viver suo: e questa sarebbe l'opinione del Foscolo; opinione la quale è ben lecito separare dagli altri paradossi di quel suo strano discorso, e tenerla, se non per certissima, per probabile almeno.

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Fra gl'inediti commenti del Poema da me percorsi a fine di rinvenirvi alcuna traccia del Veltro, nessuno fornisce notizia certa, ma nessuno combatte i miei dubbi. Un anonimo della Riccardiana interpreta nel seguente modo: Avvi chi tiene che sarà uno imperatore che verrà ad abitare a Roma; e per costui saranno scacciati i ma' pastori di Santa Chiesa, di cui ho posto » che regna tutta avarizia, e ch'egli riconcilierà » la Chiesa di nuovo di buoni e santi pastori, e » che per questo Italia se ne rifarà (1). Poi parla di Cristo e d'un papa da figurarsi nel Veltro. Ma la prima interpretazione è tale che sarebbe grandemente piaciuta ai cantori del re di Roma. E altrove inculca la stessa speranza (2): « Si dice e si trova che dee venire uno imperadore il quale dee torre ai pastori di Santa Chiesa

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e quando ella per quel Veltro si sveglierà, beato chi o gli occhi aprire potrà. »

Il codice Leopoldino 95 nella Laurenziana: «...... E quando quello Veltro apparirà, beato chi gli occhi aprirà. - Il cod. 12 del plut. LX porta il cod. 50 del plut. LXXXIX. In altri è omessa la citazione di Merlino

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Nel cod. Magliabechiano 137, classe III, manca il passo del libro terzo perchè 'l codice è mutilo.

Nel passo citato del libro quarto il cod. 50 del pluteo LXXXIX Laurenziano cita nel principio Merlino, Daniello e Giovacchino (i! Calabrese santificato da Dante).

Il Magliabechiano 159, classe III, legge medesima

mente.

Il cod. 75 Leopoldino nella Laurenziana, nel passo stesso cita Dante: altri omettono di citare Merlino.

Il cod. Laurenziano 50, plut. LXXXIX, legge Feoltro nel passo del libro XXI; il Magliabechiano 137, classe III, Fioltro: e così il 138 e il 155 e il 134; il 139: Feoltro. Il Leopoldino 95: «Fece costui ancora molte altre città, tra le quali fu Feltro e Civitale, tra le quali nascer dee quello Veltro che caccerà la lupa di terra in terra, come disse Dante, il fiorentino poeta, » nel suo libro. »

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E il Magliabechiano 136, classe III, che, secondo il dotto illustratore, è la Fiorità d'Armannino ridotta in altra forma dietro il Romuleone di Benvenuto da Imola, e, a parer mio, è, con- piccole varietà, il libro stesso d'Armannino: «E' fece ancora molte terre e cittadi, » delle quali fu Feltro e Civila di Belluno. E lace del Veltro e di Dante.

Queste varietà son cagione a mettere alquanto in dubbio non dico l'autenticità, ch'è manifesta, ma l'autorità di quel passo tutte però concorrono ad escludere il Faggiolano.

(4) Riccardiana, cod. 1957; Magliabechiana, classe 1, cod. 47 e 49. - (2) Al XXXIII del Purgatorio.

tutti questi beni mondani, però che non son loro..

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Un Laurenziano: E questo fia uno principe savio che deve essere liberale (1). » Il titolo di principe non conviene, propriamente, a Uguccione; né a lui conviene la singolare interpretazione che dà della voce peltro l'anonimo: «falsa e vile mo

neta, la quale oggi fanno i signori per avarizia. » S'è già detto che il Faggiolano d'avarizia non fu mondo.

Dunque a lui non vanno nemmeno le parole di Iacopo figlio di Dante, che nel Veltro riconosce alcuno virtuoso che per suo valore da cotal » vizio rimova la gente (2).

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E soggiunge che commendevole è la liberalità nell'uomo, perchè ricopre sovente di molti vizii; che in Cane, fanciullo ancora, tale virtù risplendette, onde un giorno che suo padre lo condusse a vedere un ricco tesoro, egli, levatis pannis, minxit super eum; onde gli spettatori giudicarono la sua futura magnificenza per questo tanto disprezzo dell'oro.

E sebbene non meriti seria considerazione la profezia di Michele Scoto, che il Villani reca storpiata dalla ignoranza de' copisti (5), non è però da passare sotto silenzio come lo Scaligero venga in essa simboleggiato sotto il nome di catulus, e come questa traduzione serva a rendere meno strana l'allegoria del Poema.

E poichè siamo in sulle profezie, gioverà rammentare anco quella di Daniele, che l'Ottimo accenna (6), secondo la quale il duce destinato ad uccidere la meretrice e il gigante doveva arrivare nel MCCCXXXV. È ben vero che l'Anonimo la combatte, avvertendo che in Daniele s'intende di giorni, non d' anni: ma certo è che a nessuno

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sarebbe caduto in mente d' applicare tale vaticinio a un eroe che doveva sorgere nel 1335, se un qualche Ghibellino potente non avesse date speranze di sè, tali da promettere che circa quel tempo e' giungerebbe all'apice della civile e militare grandezza. E in quegli anni appunto lo Scaligero, se viveva, sarebbe stato nel vigore della vittoria; e Dante poteva sperare di ritornar per suo mezzo poeta alla patria

Con altra voce omai, con altro vello (1);

con voce affiacchita dalle sventure e dall' età, con vello mutato, perchè già vicino all'anno settantesimo. Questo dico, intendendo la tradizione volgare alla lettera; ma Dante aveva ragioni a sperar ben prima dallo Scaligero, la redintegrazione de' suoi conculcati diritti; e la detta tradizione non ho qui citata se non per ripetere che applicarla a Cane era possibile, ad Uguccione non mai, ad Uguccione che circa il 1335 avrebbe forse contato l'anno ottuagesimo di sua età.

Merita similmente d'essere rammentato quell'altro passo dell'Ottimo, dove commentando le parole di maledizione che manda il Poeta alla lupa, e pregando venga tosto quegli per cui la bestia deve andarsene in fuga, soggiunge: E » questa lettera dimostra che l'autore intese qui di quel Veltro, e quando elli verrà. Allorchè Dante scriveva il vigesimo del Purgatorio, il Veltro non era dunque venuto! Non era dunque Uguccione: sibbene un capitano dalle cui future imprese sperava il Poeta una morale e quindi religiosa e quindi politica riformagione d'Italia. E si noti che quasi tutti i più antichi commentatori trovano corrispondenza tra questo e il passo dell'Inferno (2): ed è cosa evidente.

Nell'Inferno è detto di lei: Che molte genti fè già viver grame; nel Purgatorio: che tutto 'l mondo occúpa. Nell' uno, che sarà rimessa in quel baratro, là onde 'nvidia prima dipartilla; nell'altro, ch'ell' è l'antica lupa. Nell'uno, ch'ella sola ha più prede di tutte l'altre bestie; nell' altro, che Molti son gli animali a cui s'ammoglia. Qui la sua fame è senza fine cupa; là,... mai non empie la bramosa voglia. Dapprima vaticinò che un veltro la farebbe morire di doglia; ora prega che venga chi la faccia discedere. La lupa dunque del Purgatorio con quella dell' Inferno è tutt'una cosa. Se in questo dell' avarizia, devesi intendere pure in quello.

E una conseguenza importante di qui si trae: cioè che, nell'opinione di Dante, dalla riforma dei costumi civili ed ecclesiastici la riforma delle repubbliche doveva prendere auspizio. E a questo modo la intendono i suoi commentatori più vec

(4) Par., XXV. (2) Inf., I; Purg., XX. Magliabechiana, clas. I, cod. 51.

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chi; e l'uno ci attesta, che nell' uccisor della fuja convien riconoscere un duce che riformerà lo » stato della Chiesa e de' fedeli Cristiani (1); l'altro soggiunge, che il mistico carro è chiamato mostro e preda da Dante, pe' beni temporali » della Chiesa, i quali beni, re, principi, signori, ⚫ tiranni, ognuno l'avoltera per questi avere: e ⚫ così è vero, Altri infine, domandando perchè quella lupa, miseria di molte genti, dovesse esser cacciata da un Veltro salute dell' umile Italia, risponde: Italia magis abundat avaritia propter » simoniam romanæ ecclesiæ (2). »

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Qui lo sdegnoso vecchio, Ghibellino nell'anima, che de' cardinali parlando non dubita di chiamarli maledictos (3), mette insieme la Chiesa co'ministri i quali ne profanavano il nome, e la forza temporale colla spirituale autorità confondendo, seminavano quella zizzania che ne'seguenti secoli pullulò si molesta al buon seme. Ma lasciando le esagerazioni, ognun vede come que' vecchi le civili sventure dalla morale corruttela credessero originate, come i più l'abuso della religione distinguessero dall' essenza sua, sempre ai lor occhi venerabile e santa. E di questo congiungere costantemente le idee religiose alle politiche, un singolar documento ho recato più sopra nel passo d'Armannino, che qui riporto di nuovo con una variante notabile tratta da altro codice, la quale dimostra ancor meglio l'idea ch'io voglio indicare: La Toscana (di cui prima aveva detto che il Diavolo, memore degli antichi oracoli, vi tiene ancor nido), la Toscana è quella provincia sola

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che commosse tutte l'altre terre a maggiori fatli fare che mai facesse niuna altra gente. E questo diviene per lo malizioso ingegno assai più che per loro virtude. Ma quel gran Veltro che caccerà la lupa sarà quello che scuoprirà gli agguati, e farà parere i più sottili essere i più grossi, e..... Vale a dire che la Toscana nel secolo XIV era a un dipresso quale a molti sembra la Francia nel decimonono.

(1) Magliabechiana, clas. I, cod. 31. (2) ALXIX dell' Inferno. — (3) Riandando questi antichi commenti nelle tre biblioteche di Firenze, scopersi che il cod. 40, classe VII, dato dal signor Witte come unico, aveva nella Laurenziana medesima due compagni; l'une al num 160 degli Strozziani, l'altro al num. 165. Il primo contiene assai più abbondanti note che quello accennato dal signor Witte, il quale apparisce non essere che un estratto: se non che manca il commento del Purgatorio. Il 465 manca del principio e della fine, e non contiene che il commento dell' Inferno. Esaminando poi varii passi, trovo che in luogo d'essere questo il citato dall' Ottimo, spesso e si riscontra col'Ottimo nelle stesse parole. A togliere il dubbio gioverebbe indagare nella Marciana se il codice rammentato del Mehus corrisponda a questo del sig. Witte. Non sarebbe però la prima volta che il sig. Mehus pigliasso sbaglio nell' attribuire a tale o tal altro autore gl' inediti commenti di Dante.

E qui giova recar l'autorità d'altro anonimo che vede nel Veltro un universale signore salute d'Italia, parole che al nostro principe di città famosa, al capo della lega ghibellina, potrebbero bene adattarsi, non mai ad Uguccione che sorse quasi capitan di ventura; il cui dominio, quand'ebbe più forza, non passò il territorio di due città: che, chiamato or da questi or da quelli a combattere sovente per causa non sua, fu preludio di que' condottieri il cui nome ad orecchio italiano suona si doloroso.

Un commentatore, a quelle parole che fa Cacciaguida dello Scaligero, osserva che questi poco curava la persona e la Commedia di Dante: ma quell' anima superba non avrebbe chiamato suo benefattore l'uomo che lo dispregiava: nè la novelletta che si spaccia dei buffoni della sua corte, è documento da reggere al paragone di lode si franca e si manifesta. Né l'ospite di Dante e di molti altri esuli può, come il signor Troya vorrebbe, essere tacciato di disprezzator degli studii, nè la predizione che fa Cunizza nel Paradiso, della vittoria di Cane, è tale che potesse punto dispiacergli od offenderlo; nè il motto dall'Allighieri lanciato nel Convivio contro Alboino della Scala, dall'Allighieri che si spesso maledisse a'congiunti de' proprii amici, poteva torcersi contro Cane, di tutt'altro animo e coraggio che quell'Alboino. Nè finalmente poteva al signor di Verona spiacere quel tocco:

Tu proverai sì come sa di sale
Lo pane altrui . . . . (1).

Questi versi venivano agli ospiti ch' ebbe il Poeta innanzi che toccasse Verona; venivano ad Uguc cione stesso, se vero è che Uguccione fosse, come il signor Troya afferma, onorato dell'ospizio di Dante.

E piuttosto che dispiacere allo Scaligero que' versi, dovevano al Faggiolano parere amarissimi quelli del Purgatorio dove si acerbe cose son dette di Corso Donati, e quindi d'Uguccione medesimo, che, al dire del signor Troya, ambiva di mettere ad effetto le inutili ambizioni di Corso.

Tutto ciò che l'Allighieri diceva de'pigri e dei negligenti, vizio che alla serietà sua stessa pareva ridicolo (2), tutto cadeva contro il Faggiolano che, per sedere agiato alla mensa, perdette la signoria di Pisa insieme e di Lucca.

Ma quello che più mette sospetto del ghibellinesimo di Uguccione, è, ripetiamo, il vedere che Lucca, dopo la cacciata di lui, pone in alto Castruccio, e riman ghibellina; indizio chiarissimo che Uguccione non serviva se non alla propria tirannide. E lo prova il saccheggio da noi rammentato di Lucca stessa.

(1) Par., XVII. - (2) Troya, p. 143.

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