Page images
PDF
EPUB

42. Poscia, per indi ond' era pria venuta,

L'aguglia vidi scender giù nell' arca Del carro, e lasciar lei di sè pennuta. 43. E qual esce di cuor che si rammarca,

Tal voce usci del cielo, e cotal disse:

O navicella mia, com' mal se' carca!» 44. Poi parve a me che la terra s'aprisse Tr'ambo le ruote; e vidi uscirne un drago Che per lo carro su la coda fisse; 45. E, come vespa che ritragge l'ago, A se traendo la coda maligna,

Trasse del fondo, e gissen vago vago. 46. Quel che rimase, come di gramigna Vivace terra, della piuma offerta (Forse con intenzion casta e benigna) 47. Si ricoperse; e funne ricoperta

E l'una e l'altra ruota, e 'l têmo, in tanto Che più tiene un sospir la bocca aperta. 48. Trasformato così 'I dificio santo,

Mise fuor teste per le parti sue,

Tre sovra' temo, e una in ciascun canto.

[blocks in formation]

(F) VOCE. Ezech., I, 25: Cum fieret vox super firmamentum quod erat super caput eorum. Pietro: Legitur hanc vocem auditum in aere Roma: hodie infusum est venenum in ecclesia Dei. Una voce nell' Apocalisse (XVIII, 4) esce dal cielo, voce di rammarico, appunto nella visione della femmina fornicante co' re.

44. (F) DRAGO. Il demonio. O l'avidità de' preti qui adoraverunt imaginem ejus (bestia) (Apoc., XVI, 2). Una leggenda satirica del tempo d' Urbano VI lo dipingeva sotto la forma d'un drago alato, con capo umano, con coda, con spada infocata: al suo venire gli uccelli fuggono, cadon le stelle. E nell'Apocalisse (XII, 3, 4): Ed ecco il grande drago rosso, che ha selle teste e dieci corna: e la coda sua traeva la terza parte delle stelle del cielo, e misele in terra. Dopo i doni profani, vien la ferita del diavolo; dopo la ferita, il carro si copre della piuma maligna. Altri nel drago vede Maometto; altri Fozio: non parmi.

[ocr errors]

45. (L) Aco: pungiglione. DEL FONDO parte del fondo. GISSEN VAGO VAGO: se n'andò altero.

(SL) AGO. In senso simile l'ha il Machiavelli ed il Rucellai. VAGO. Par., XIX, t. 12: Muove la testa, e con l'ale s'applaude, Voglia mostrando, e facendosi bello. 46. (L) CASTA: pura.

(SL) CASTA. Inf., XIV,t. 52: Sotto 'l cui rege fu già 'I mondo casto. E anco per contrapposto alla meretrice. 47. (L) IN TANTO CHE PIÙ TIENE UN SOSPIR LA BOCCA APERTA in men d'un sospiro.

48. (L) DIFICIO: edificio.

(SL) DIFICIO. Di candelabri. Nel Canto XXIX, t. 48: Il bello arnese.

(F) TESTE. Dalla ricchezza i peccati. Ezech., 1, 15, 16: Rola una..... habens quatuor facies. El aspectus

49. Le prime eran cornute come bue;

Ma le quattro un sol corno avean per fronte. Simile mostro in vista mai non fue. 50. Sicura, quasi rocca in alto monte, Seder sovr'esso una puttana sciolta M'apparve, con le ciglia intorno pronte.

rotarum, et opus earum, quasi visio maris. Dan., VII,4,6: Quattro teste aveva la bestia, e potestà era in lei... ali aveva d'aquila. TRE. Sette peccati mortali: i bicorni sono l'avarizia, la superbia, l' invidia, l'ira; il Costa : superbia, ira, avarizia. Ma nel VI dell' Inferno dice Dante: Superbia, invidia e avarizia somo Le tre faville ch'hanno i cuori accesi. E chiama i Fiorentini Gente avara, invidiosa e superba (Inf. XV). L'invidia, dic' egli coi Padri, stimolò la superbia di Lucifero (Par., IX), e dal superbo e invidioso Lucifero dice fondata Firenze, dalla quale usci il maledetto danaro che ha fatto il pastore lupo e all'avarizia nel I dell'Inferno e' dà istigatrice l' invidia, la qual diparti dall' Inferno la lupa. Perchè l'avaro è invido, e l'invido è una sorta d'avaro, è un superbo vigliacco. Si noti come quelle sette teste che nel XIX dell'Inferno son sacramenti, qui diventan peccati: quel ch'era bestia nell'Inferno qui è prima carro, poi bestia; la donna quivi siede sull' acque, qui sul carro come rocca sul monte. Ott.: Tre (teste) sopra il lemone... significano li tre principali vizii che più of fendono l'anima, e però sono in sulla principale parte del carro. E però dice, che ciascuna avea due corna, che sono sei; a denotare che sono contro a' sei comandamenti: e l'altre quattro significano li altri quattro peccati mortali, che sono circa li beni corporali, lascivia, gola, avarizia ed accidia. E però dice che ciascuno aveva un solo corno per testa; a denotare che sono contro a' quattro comandamenti della legge. 49. (F) CORNUTE. Dan., VII, 7: Habebat cornua decem. FUE. In Daniele (VII) una lionessa, un orso, un pardo e una bestia con dieci corna: due delle fiere rincontrate sul primo da Dante; e la bestia mostro è il medesimo che la lupa e lupa vale meretrice e ne' Latini e nel Segneri.

50. (L) SCIOLTA: discinta.

(SL) SCIOLTA. Dante, Rime: Donne andar per via disciolte.

(F) UNA. I pastori malvagi ed avari. Le ricchezze chiama nel Convivio false meretrici. Apoc., XVII, 1-3, 18: XVII, 2: La gran meretrice... colla quale fornicarono i re della terra, e s'innebriarono coloro che abitan la terra del vino della prostituzione sua... E vidi una donna sedente sopra una bestia di rosso colore..., avente sette capi e dicci corna. E la femmina che tu vedesti è la grande città, la quale ha il regno sopra i re della terra... Babilonia la grande, falta imitazione di demonii, e guardiana d' ogni immondo spirito, e d'ogni sozzo uccello ed orrible. Jer., II, 16: Filii... Mempheos el Taphnes constupraverunt te usque ad verticem... - III, 1,3: Fornicata es cum amatoribus multis... Frons mulieris meretricis facta est tibi, noluisti erubescere. - V, 7: Saturavi eos, et mæchati sunt, et in domo meretricis luxuriabantur. Ricorre frequente nella Bibbia questa imagine. Nahum, III, 4: Multitudinem fornicationum meretricis speciosa, et gratæ... quæ vendidit gentes in fornicationibus suis. Ezech., XVI, 8-59: Et ecce tempus tuum, tempus amantium... Et habens fiduciam in pulchritudine tua, fornicata es in nomine tuo... Et sumens de vestimentis tuis, fecisti tibi excelsa hinc inde consuta: et fornicata es super cis... Et post omnes abominationes tuas, el fornicationes, non es recordata dierum adolescientiæ tuæ, quando eras nuda... Et fornicata es cum filiis Egypti vicinis tuis magnarum carnium.,. Ecce ego

51. E, come perchè non li fosse tolta,

Vidi di costa a lei dritto un gigante; E baciavansi insieme alcuna volta. 52. Ma perchè l'occhio cupido e vagante A me rivolse, quel feroce drudo

La flagellò dal capo insin le piante.

extendam manum meam super te... et dabo te in animas odientium te... Fabricasti lupanar tuum in capite omnis viæ, et excelsum tuum fecisti in omni platea... Propterea, meretrix, audi verbum Domini... Dabo te in manus eorum... et denudabunt te vestimentis tuis, et auferent vasa decoris tui. - XXIII, 3-44: Fornicatæ sunt in Egypto... ibi subacta sunt ubera earum... Insanivit in amatores suos, in Assyrios propinquantes..... juvenes cupidinis, universos equites........ In omnibus in quos insanivit, in immunditiis eorum polluta est... Propterea tradidi eam in manus amatorum suorum... ipsi discooperuerunt ignominiam ejus... Insanivit super cos concupiscentia oculorum suorum... et recessit anima mea ab ea.. Adulteratæ sunt, et sanguis in manibus earum, et cum idolis suis fornicatæ sunt... Attrita est in adulteriis... Et ingressi sunt ad eam quasi ad mulierem meretricem. SCIOLTA. Osea, II, 3: Ne forte expoliem cam nudam, et statuam cam secundum diem nativitatis suæ. 51. (SL) GIGANTE. Re di Francia, voleva governar Bonifazio, riluttante, e voleva invece d' Arrigo VII esser re de' Romani. L' Ottimo intende pel drudo, Bonifazio stesso, non legittimo, secondo l'opinione di molti (Dio sa il vero)..... Il quale l'amava per li guadagni che traeva della sua fornicazione.

52. (SL) FLAGELLÓ. Strazio di Bonifazio. L'Ottimo in

53. Poi di sospetto pieno e d'ira crudo,

Disciolse 'I mostro, e trassel per la selva,
Tanto che sol di lei mi fece scudo

54. Alla puttana e alla nuova belva.

tende che il drudo Bonifazio per avere la Chiesa guardato a Dante, la strascinasse lontano, geloso ch' ella avesse guardato ad uomo buono. Ma l' interpretazione comune è più ovvia.

(F) CUPIDO. La donna dal cupido sguardo rammenta la lupa di tutte brame (Inf., I, t. 17); e l'occhio vagante, la bestia senza pace (Ivi, t. 20); e il mostro, lei della cui vista uscia paura (Ivi, t. 18); e il vizio, in forma di bestia, l' imbestialirsi del carro (Purg., XXXII, t. 48). DI LEI: della selva.

[ocr errors]

53. (L) DISCIOLSE dall'albero. - SCUDO, ch'io non vidi.

bello.

(SL) SCUDO. Varchi: Facendosi scudo d'uno sga

(F) TRASSEL. La corte romana sotto Clemente V, nel 1505, trascinata oltremonte. Isai., LVII, 17: Propter iniquitatem avaritiæ ejus iratus sum, et percussi eum; abscondi a te faciem meam, et indignatus sum: et abiit vagus in via cordis sui. -ALLA PUTTANA. Conv.: Questi adulteri al cui condotto vanno li cicchi. Som.: Può dirsi ch'anco per la bellezza spirituale alcuno possa commeltere fornicazione, in quanto di quella insuperbisce secondo quel d'Ezechiello: Si levò il tuo cuore nella tua bellezza; perdesti nella tua bellezza il senno (Ezech., XXVIII, 47).

54. (L) NUOVA BELVA: carro con sette capi.

Senso morale e civile e religioso della visione.

Dal vensettesimo all'ultimo Canto è un'azione che fa come il nodo dell'intero Poema; e di quest'azione le circostanze non interrotte da parlate nè dalle minori particolarità, giova raccorre acciocchè s'illustrino insieme.

Escono i tre poeti della fiamma che purga l'ultimo vizio, e un Angelo grida: Venite, o benedetti del Padre mio, ad annunziare la prova compiuta. Scende la notte; e Dante nel sonno vede in forma di Lia la virtù attiva che sta facendosi una ghirlanda di fiori. Il sole sorge; e Virgilio, già non più guidatore, lascia Dante al suo proprio arbitrio sanato e purificato, che vada da sè per la selva odorata di fiori. Quand'egli è tant' oltre che più non vede di dove egli entrasse, un ruscelletto gli toglie l'andare più innanzi; e di là dal ruscello vede Matilde, l'imagine della virtù attiva insieme e religiosa e civile, che coglie flori e cantando; e la prega d'appressarsi tanto da fargli intendere quel ch'ella canti. E Matilde viene laddove il ruscello la divide da Dante di soli tre passi, e gli rende ragione delle cose ch'egli vede lassù ; e canta poi: Beali di chi son coperte da perdono

le colpe. Poi cammina contro il corso del fiume, ella dall' una riva, dall'altra Dante; e fatti cento passi, svoltano secondo lo svoltare dell'acqua, e si trovano col viso a levante. Poco vanno così, ed ecco un lume quasi di lampo che cresce e viene con un'onda di canto: e il lume, fattosi più presso, appariscono prima sette alberi d'oro, poi sette candelabri, i sette doni dello Spirito, i sette sacramenti, e ogni perfezione di luce e immortale e mortale adombrata in quel numero. Dante aveva il suo ruscello a diritta, e quando si trovò tanto sull'orlo del margine che sola l'acqua lo dipartiva dalle cose vedute di là, si fermò, e vide i candelabri procedere lasciandosi dietro una striscia come lunghissima ifide che si perdeva al di là della vista, e tra la prima e la settima di quelle fiammelle colorate correvano pur dieci passi : altro numero simbolico in parecchi precetti e riti. Sotto à quest'iridi venivano ventiquattro seniori, i profeti coronati di gigli, cantando: Benedetta Beatrice, cioè la suprema Verità, e la scienza e coscienza di quella. Poi vengono quattro animali coronati di verde, gli Evangelisti nunzii della spe

'ranza; ciascuno con sei ale, come nella visione del Profeta, a indicare la forza del volo dell'umanità, moltiplicata per la triade misteriosa; e piene d'occhi le penne, a significare la sicura intenzione del volo; e, aiutata dalla memoria che è fondamento di fede, la previdenza di quello. Tra i quattro è un carro, la Chiesa, tirato da un grifone, l'Uomo Dio, il qual tende l'ale, altissime da vincere lo sguardo umano, fra le tre iridi d'una e le tre d'altra parte, rimanendo sopra il capo suo quella di mezzo, sì che le ale non toccavano veruna delle sette, perch'egli venne non a sciogliere ma ad adempiere. Dalla destra del carro, più splendido che quello del sole, tre donne danzavano, Fede e Speranza e Carità, l'una tutta neve, l'altra tutta smeraldo, la terza tutta fiamma, e or Fede, or Carità va innanzi; ma il canto della Carità è che guida la danza. A sinistra le quattro Virtù cardinali vestite di porpora, manto di luce e di regno vero; e Prudenza con tre occhi le guida. Dietro al carro procedono Luca e Paolo, l'uno scrittore e l'altro in gran parte attore degli atti apostolici; poi i quattro Dottori umili in sembiante, perche l'umiltà è condizione di scienza vera; e dietro ad essi Bernardo solo in atto di chi dorme e contempla, solo, perchè già nel concetto di Dante, non ha più Dottori la Chiesa. Di Luca e Paolo e de' Dottori, siccome de' Profeti, l'abito è bianco sopra ogni candore terreno; ma questi sette hanno ghirlanda, non gigli, si rose e altri fiori di color vivo che fần quasi ardere di luce la fronte, indizio del sangue sparso, della carità, dello zelo. Quando il carro fu rimpetto al Poeta tuona dall'alto, e i candelabri si fermano, e tutti. I Profeti si volgono al carro; e un di loro, re Salomone (che nel Paradiso vedremo lodato come sapientissimo non tra tutti, ma solo tra i re) canta tre volte: Vieni, sposa, dal Libano, le sue parole di mistico amore: e a quel canto scendono intorno al carro divino cento Angeli, dicendo: Benedetto che vieni (nė senza perchè dice benedetto, e non parla di donna), e gettauo flori e su in alto ed intorno; e tra fiori apparisce sul carro a Dante Beatrice, coperta di velo candido e sul velo una ghirlanda d'uliva, e sopra una veste di porpora un verde manto: i colori delle tre Virtù teologiche, coronate di ghirlanda di pace, di quella pace in cui Dante poneva e la beatitudine celeste ed il bene terreno, quella che nell' esiglio egli andava cercando, e al cui servigio desiderava che l'impero venisse. Senza veder Beatrice nel viso, e' sente l'antica virtù di lei, e l'antica flamma, e si volge per dirne a Virgilio ma il poeta dell' umana civiltà era sparito all'apparire della ragione divina e della civiltà religiosa. Dante ne piange, e Beatrice per prima parola d'amore gli promette altre lagrime. Poi,

soggiunge un rimprovero d'ironia simile a quello che nella Genesi è volto ad Adamo. A quel suono, il Poeta china gli occhi, e vede l'imagine sua nel ruscello, e si vergogna, e non osa riguardarsi più a lungo, e si trae indietro: come fa l'uomo errante che, non bene ancora pentito, non osa affrontare l'esame di sè. Gli Angeli allora cantano un salmo e di dolore e di speranza; e a quel canto, l'affanno di Dante, che era ristretto intorno al cuore, esce in lagrime ed in singhiozzi. Beatrice che, per parlargli, s'era volta alla sinistra del carro, rimessasi alla diritta, la parte migliore, si volge agli Angeli per raccontare quel che Dio ed ella fecero a fine di nobilitare l'anima del Poeta, e com' egli mal corrispondesse a quegl' inviti d'amore sereno e severo. Volte agli Angeli queste parole, come non degnando di volgerle a lui stesso, richiede quindi da esso la confessione del fallo. Egli risponde si singhiozzando; ed ella per avere confessione più piena, e umiliazione e pentimento più salutare, gli domanda quante difficoltà lo stornarono dal seguire il bene, quante agevolezze al male lo invogliarono. Dante dice, che dopo la morte di lei, il piacer falso delle cose presenti lo traviò. Beatrice gli dimostra il suo errore; egli lo riconosce e tace vergognoso. Ella gli fa alzare il viso; c allora e' vede la pioggia de' fiori ristata, e Beatrice riguardare al Grifone, si bella negli atti, ancorchè velata la faccia, che, preso da pentimento, egli cadde. Riavutosi, si trova entro al ruscello, e Matilde, che lo passava intatta con piede leggero (forse e' correva quivi più largo che tre passi), tenervelo immerso infino a gola; e quando fu presso alla riva di là, tuffargli la testa dentro si ch'egli bevesse dell'acqua che fa dimenticare la trista dolcezza del male e ne spegne il sentimento troppo vivace; e poi togliernelo e collocarlo fra le quattro donne danzanti, che avevano, intanto ch'e' passava il ruscello (o esse sole, o con l'altre tre, o con gli Angeli, o insieme tutti), cantato quello del salmo di penitenza: M'aspergerai, e sarò mondo e candido più che neve. Ciascuna delle quattro Virtù, in cui si raccolgono tutte le altre umane, gli passa il braccio sopra la testa a proteggerlo e benedirlo; e lo conducono dinanzi al Grifone, e però a Beatrice. Dante mira fiso in lei, che mirava nella mistica fiera, e negli occhi di lei l'imagine ferma e una dell'Uomo Dio venivasi variando. Allora le tre Virtù teologiche si fanno innanzi cantando, e la pregano di mostrare a Dante gli occhi suoi senza velo; che è opera di virtù sovr' umana lo scoprire l'altissima verità. Ed ella si svela. Il lungo fiso mirarla di Dante è interrotto dall'ammonire delle tre a sinistra di lui, che lo invitano a riguardare le altre cose d'intorno, come per dirgli ch'anco la contempla

zione del bene maggiore può farsi importuna se ne consegua noncuranza de' beni minori. A lui, abbagliato dagli occhi di Beatrice, quell'altra luce si viva par come buia; ma poi acconciatasi a quella la vista, vede la schiera rivolgersi a diritta, e avere il sole di faccia; e dopo svoltati tutti, alla fine muoversi il carro, e le donne tornare al luogo di prima, e il Grifone tirarlo senza scuotere penna delle sue ali. Matilde e Stazio e Dante venivano dietro alla destra del carro; ed Angeli cantavano in alto. Fatto di via quanto un gettar di tre dardi, Beatrice scende là dov'era una pianta senza fiori ne foglie, altissima, e più larga più su. Tutti la circondavano mormorando il nome d'Adamo, e dicendo beato il Grifone che non ne tocca. E questi lega il carro all'albero co'rami suoi stessi, perchè la Chiesa, sebbene d'istituzione divina, e creata a fine di rilevare l'umanità, non distrugge però la natura d'essa umanità, nè tutti i germi del male che sono in lei decaduta. E l'albero si veste di fiori tra punicei e vermigli, come di sangue, Al canto di tutti il Poeta è preso da sonno; e svegliatosi a un nuovo chiarore e a una voce, vede Matilde pressogli, e Beatrice seduta sotto l'albero con intorno le sette donne co' candelabri, e il Grifone con gli Angeli, e gli altri salire in alto con più dolce canzone e profonda. Beatrice è la coscienza del vero lasciata a guardia della Chiesa, sotto quell'albero che per l'obbedienza di Cristo rifiori, inaridito già dalla colpa, e dilatantesi in vetta, perchè questo è il proprio della virtù, che s'amplia ascendendo. Qui comincia la storia della Chiesa e della civiltà cristiana, dopo salito al cielo Gesù, e dileguati dalla terra i primi banditori della sua verità. Un'aquila come folgore percuote nel carro, i tiranni persecutori, e lo fa barcollare come nave in fortuna. Poi nel bel mezzo di quello s'avventa una volpe magra, l'errore degli avversi alla Chiesa, più sottile che solido e più maligno che forte. Ma Beatrice la fa fuggire riprendendola di laide colpe, perché la doppiezza e l'inonestà sono indizii palpabili della falsità e dell'ignoranza trista. Poi, viene da capo l'aquila da alto, e ricopre il carro di penne, i beni temporali donati o lasciati prendere; ond'esce di cielo una voce che suona dolore. Poi s'apre tra le ruote la terra, e n'esce un drago, e col pungiglione della coda fitto nel carro, ne trae parte e lo lascia sfondato che significa forse non solamente Maometto, ma quanti tolsero alla Chiesa famiglie di seguaci, e forse Ario segnatamente, il quale appunto del tempo di Costantino fece una divisione che toglieva il fondamento divino alla fede, minacciava la cristianità tutta quanta. Le penne dell'aquila, i beni temporali, ricoprono in men d'un sospiro e trasformano il carro, che si fa mostro, e mette tre teste dinanzi

con due corna ciascuna, e quattro dalle bande con un corno ciascuna; a significare i tre vizii, superbia, avarizia, lussuria, più funesti negli uomini di Chiesa; e gli altri quattro capitali, che tutti insieme si contrappongono al numero delle virtù date ancelle all'altissima sapienza. Sul carro, in luogo di Beatrice, siede una donna svergognata e arruffata, e accantole un gigante, il potere profano dei re, che la bacia; ma poi vedendola rivolgere l'occhio a Dante amico di Beatrice, la flagella dal capo alle piante, e nel sospetto e nell'ira crudele scioglie il carro dall'albero, e lo trae per la selva. Le donne intorno a Beatrice, a tre e a quattro, cantano un salmo che piange gl'infortunii d'Israele: e Beatrice levatasi in piè dà parole di vicina speranza. Poi, precedendo le sette Virtù, s'avvia, e accenna a Dante, a Matilde e a Stazio che seguano. E fatti dieci passi, si volge al Poeta perché venga di pari seco, e gli dà animo a dire: e gli prenunzia la pena de' violatori della Chiesa e l'avvenimento di chi ucciderà la rea donna e il gigante, e gl'insegna che non solo il perseguitare essa Chiesa con violenze, ma il derubare de' suoi veri diritti dandole in cambio diritti non veri, è bestemmia di fatto. E perchè Dante si duole di non poter tutta comprendere la parola di lei, ed ella risponde questa essere colpa della scuola terrena, ch'egli ha seguitata; il Poeta che non si rammenta d'avere deposto il passato nell' acqua di Lete, dice che de' proprii errori non ha memoria o rimorso. Intanto è l'ora di mezzogiorno ;* e le sette donne si fermano all'ombra di grandi alberi, di dove escono due fiumi; de' quali il Poeta, immemore di quanto Matilde gli disse di Lete e d'Eunoè, interroga Beatrice ed ella si volge a Matilde che conduca lui e Stazio a bere d'Eunoè, il qual ravviva con la memoria tutte le virtù dell'anima e del pensiero. Egli quindi ritorna rinnovellato e disposto a salire alle stelle.

In questi sei ultimi Canti son anco bellezze e d'affetto e di stile notabili; ma nè di questo nè di quello tante forse così come in altri, se se ne tolga l'entrar della selva, e l'apparire di Matilde, e poi di Beatrice. Non intendo già dire di certe che a' più de' moderni paiono semplicità o negligenze, ch'io tengo essere bellezza vera e doppia in poema tanto artifiziato e scienziato; come sarebbe il verso: Vegnati voglia di trarreti avanti (1). E non intendo neanco di quelle citazioni che paiono note marginali: Ma luce rende il Salmo Delectasti (2); ne di quelle locuzioni da scuola: Un corollario ancor per grazia (3). - L'ultimo costrutto (4). Dal fummo fuoco s'argomenta (5); ma intendo

[blocks in formation]

di certi modi di dire e accozzamenti di parole affettati oltre al solito; come:

Ma Ellesponto là 've passò Xerse.
Più odio da Leandro non sofferse

Che quel da me perch'allor non s'aperse (1).

Intendo anco di certi suoni che non tengono con la cosa significata quella convenienza, la quale è sovente, più che in altri, mirabile nel nostro Poeta. Tali le rime spargo, essere largo (2); li dipigne, con nube e con igne (3); di sua caverna, divina basterna (4); sinistra, registra (5); cantaro,

[blocks in formation]

passaro (1); coscia, poscia (2); le quali,non pare che propriamente s'avvengano al luogo ove sono. Chi sa che nel comporre questi Canti, il Poeta, o stanco dalla prolungata meditazione che toglie freschezza all'ingegno, o maldisposto del corpo o dell'animo, e volendo pur raggiungere questa che era la prima meta della sua visione e il desiderio di lunghi affannosi anni, non si sia trovato in quel felice temperamento di forze e d'affetti, d'umiltà e di fiducia, che richiedesi alle sovrane creazioni dell' arte?

(1) Purg., XXX, t. 28. — (2) Ivi, t. 34.

[blocks in formation]
« PreviousContinue »