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NUOVO AMORE

Dopo quella passione si pura e si calda, farà maraviglia vedere da altri amori occupata l'anima dell' Allighieri. Quali`dis'colpe l'infelice uomo avrebbe potuto addurne, io non cerco: ma la memoria di Beatrice non lasciò mai di sedergli in cima alla mente, spirituale sì, che lasciando il cuore quasi libero, confortava di sè l'intelletto. Sul primo fiore degli anni egli aveva trovata una donna che alla forma di perfezione concetta nella severa sua mente bene rispondeva: una donna gli sarà forse giovata a meglio delineare e stampare essa forma. Le cose belle del mondo, contemplate dall'anima, sono ad essa occasioni di abbellire o deturpar sè medesima, non cagioni. Raccogliendo in questa vergine diletta quanto di gentile e di grande gli presentavano le memorie de' tempi andati e la dottrina de' libri, e gli spettacoli dell'arte nuova, e della sempre rinascente natura, e aggiungendo del proprio le ricchezze dell'affetto, egli se n'era formato un idolo al quale prestare il suo culto. Meglio era certamente prestarlo ad altro che a fugace bellezza; ma certo è altresì che fra gli amori umani nessuno è poggiato tant'alto. Sotto a quest'altezza altri amori si vennero poi collocando; ma la fiaccola accesa in sommo alla mente non ispensero mai. Alcuna cosa bisogna, in casi tali, donare (non dico perdonare) all'immaginazione, alcuna al cuore, alcuna all'orgoglio (conciliatore facile degli amori men degni); poi pensare alla cura con che gli amorosi affetti erano, quasi a sempre presente antidoto dell'odio (inefficace antidoto e sovente stimolo), accarezzati; molto finalmente alle pericolose

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varietà della incerta ed errante sua vita. Sopra ogni cosa, quel fomentare con istudio tanto sollecito, e quasi stillar l'amore, e farne scienza e professione, doveva di piaghe perpetue essere perenne cauterio.

Dalla morte di Beatrice poco più d'un anno era corso, e già un nuovo amore s'insinuava furtivo nell'anima del Poeta. Egli narra come il sentirsi, il temersi infedele alla morta donna, gli paresse orribile cosa.

"Vidi che una gentildonna giovane e bella molto da una finestra mi guardava.... sentii li miei occhi cominciare a voler piangere.... Mi partii dagli occhi di questa gentile..... e proposi di dire un sonetto nel quale io parlassi a lei.... Là dovunque questa donna mi vedea, si facea d'una vista pietosa, e d'un color pallido quasi come d'amore.... Mi venne volontà di dire anche parole, parlando a lei; e dissi: Color d'amore e di pietà sembianti...... »

Recati i versi, soggiunge: «Questo sonetto è chiaro; e però non si divide ». Perchè gli altri sonetti e canzoni, e'si prende cura di dividere in due, tre, quattro parti, come fanno i sacri oratori le predichie, e di mostrar l'ossatura del componimento e dichiararne i sensi nascosti. Úso che oggidi pare, e non immeritamente, pedantesco: ma che pure dimostra com'egli solesse i veli della fantasia alle misure del raziocinio adattare, e desiderar ch' altri vegga com'e' li avesse adattati. Della qual cura, parecchi sono, e non sempre poetici, nella Commedia gli esempi. Da questo difetto i moderni si sono con tanta felicità liberati, che non solo disdegnano far parere che nelle opere dell' immagina

zione il raziocinio, abbia parte, ma non ne manca a cui non parrebbe essere poeti se, usando la facoltà del dire, non buttassero via, come arnese incomodo, la facoltà del pensare.

Torniamo al novello amore di Dante, che gli è consolazione insieme e rimorso. Quel cercar di vedere la donna cara e maledir gli occhi suoi che in essa si pascono; quel voler piangere la beata estinta, pur sospirando alla viva, e fremere quasi di non poter piangere e far suo dovere del lutto, e guardar con terrore la speranza; questa vittoria delle memorie sul senso, d'un'idea sugli affetti; questa morta rivale della viva; questa pietà che concilia l'amore; questo lutto mezzano all' infedeltà; questa tomba che s'interpone, quasi anatema, fra due cuori desiderosi; questa leggiadra giovanetta che impallidisce al pianto di lui, che sparge forse in segreto lagrime più cocenti; questo amore insomma del quale la donna è manifestatrice e quasi istigatrice, senza punto perdere della sua dignità, non vi par egli cosa che valga per cinquecento sonetti di Francesco Petrarca? Solo colui che in sua vita sperimentò alcuna cosa di simile, può sentire quanta poesia si nasconda in questa particella della vita di Dante, può conoscere come in questa battaglia amorosa sia rivelato al cuore dell'uomo un de' suoi più cari secreti e tremendi.

Nell'amore ammettendo gli scrupoli della pietà, col nome di tentazione egli chiama il solletico del nuovo affetto, e gli occhi suoi condanna per penitenza a più abbondanti lagrime e a non più mirare bellezza di donna. La religione era allora si fonda negli animi, che religioso colore prendevano le passioni più terrene, religiosa forza gli odii stessi, la libertà religioso linguaggio. Ora che la religione è a' mondani fatta spettacolo o maschera, spettacolo o maschera son fatti insieme e l'amore di donna e l'amore di patria, e molte delle umane virtù. Profanazione era quella; ma dimostrava fede ancor viva alle verità profanate.

Osservate come a ravvedersi del novello amore gli fosse cagione una fantasia nella quale Beatrice gli apparve viva, e nell'età giovinetta ch'egli in prima la vidé, e de' medesimi panni vestita. Codesta apparizione basterebbe sola a mostrare, non simbolico ma reale essere stato l'amore di cui

ragioniamo; ed è, com'ora lo chiamano, fenomeno psicologico da meditare. Perchè le impressioni dell'amore infantile sogliono agli uomini tutti (anche l'amore cessato, e spentane fin la memoria) tornare, non foss'altro, ne 'sogni: e la donna che prima piacque, sotto varie spoglie e in diversi moti atteggiata si presenta all'animo, stanco e dei piaceri e dei dolori, e al piacere e al dolore lo rinnovella. Or questo pensare che fa l'amante la donna sua non già nella grande bellezza ma fanciulletta, questo sentirsene tanto profondamente commosso, è fatto che importa non meno alla scienza del pensiero che alla scienza del cuore.

Anco al Petrarca, men vivamente però, vale a dire men poeticamente, simile avventura seguiva, che, morta Laura, altra donna minacciava di fargli per un'altra quindicina d'anni il medesimo gioco. Ed egli allora scrisse la canzone: Amor, se vuoi..., dove l'eleganza è tanto squisita e i concetti con si lungo amore accarezzati, che ben dimostrano quanto delle tentazioni di Dante quelle del Petrarca fossero men gagliarde.

In questa avventura agli amori del Petrarca quelli dell' Allighieri somigliano, in altra somigliano a quelli del Tasso: chè ambedue sotto il velo d'altro affetto coprivano il verace, e'l nome della vera amata volevano a tutti nascoso; ma il Tasso per salvare la fama d'una duchessa, Dante per giovanile verecondia, o per fine a noi sconosciuto, e certo meno ducale di quello del Tasso.

Pochi giorni durò la febbre amorosa a turbargli l'imagine della morta donna: e ritornarono poscia le tristezze di prima. Delle quali il Boccaccio: « In tante lacrime rimase, che molti de' suoi più congiunti e parenti ed amici niuna fine a quelle credettero altro che solamente la morte.... Egli era già, si per lo lagrimare e si per lo non avere di sè alcuna cura di fuori, divenuto quasi una cosa salvatica a riguardare....."

Ma le lagrime dell' amore dal pensier della patria non lo distoglievano: ch'anzi l'uno dolore con l'altro accoppiando, e i propri danni e que' della patria lamentava. E della morte di Beatrice diceva, Quomodo sedet sola civitas plena populo? Facta est vidua Domina gentium :-poi queste medesime parole scriveva ai prin

tria. Destino di questa Italia dolorosa,

cipi della terra, ragionando loro della sua desolata città. Con le medesime voci pian-ch'uomo non crudele e non istolto non le

geva e una donna e la patria: dell'un dolore e dell'altro eragli interprete Geremia. Basterebbe questo a comprovare, che amore, politica, religione, dottrina, erano in lui un sol tutto, e che da questa complicata unità risultava e la straordinarietà e la stranezza dello scrittore e dell'uomo. La lettera ai principi s'è perduta. Gioverebbe vedere con quali parole parlasse ai grandi della terra questo giovane di vense'anni e di li conosceremmo chiare le opinioni di Dante guelfo innanzi che gliele mutasse in parte l'amaritudine dell'esilio. Da questa lettera forse rileveremmo che siccome pretto Gghibellino e' non fu mai, ma il ghibellinesimo a certe sue proprie norme attemperava; cosi non fu mai Guelfo pretto; chè sotto i nomi di militi e di popolo, d'imperatore e di papa, e più cose e diverse comprendeva egli, che non facessero i più de' compagni suoi. Non incolpabili certamente vedremmo essere in lui le opinioni guelfe, come nè incolpabili le ghibelline: ma vedremmo, cred'io, che siccome dopo il mille trecento e'non intendeva troppo dare all' impero, troppo detrarre alla Chiesa ed al popolo; così avanti il mille trecento e' non intendeva ne distruggere il muro che divideva i nobili dalla plebe, nè congiungere le chiavi d'Italia alle chiavi del cielo, è fare un fascio della lancia e del pastorale. Mostrarsi tutto intero di parte non poteva l'Allighieri: ma pure ad una parte attenersi gli era quasi forza in que'tempi; a quella che meno infedelmente rispondesse alle sue dottrine, a' suoi desiderii, alle sue passioni. Dico passioni, poichè l'Allighieri er'uomo anch'egli: e cercare in lui il che rubino della giustizia divina, l'interprete delle dottrine del Lafayette e del Desmoulins, gli è un falsare i tempi, uno sconoscere gli uomini. Certo che vile non doveva essere la lettera di cui parliamo: e dalle prime parole vediamo assai che lieta

non era.

Anco il Petrarca di vense'anni intuonava Italia mia; e parlava delle piaghe mortali della sua patria; e accorgevasi di parlare indarno, e alle straniere spade indiceva l'infamia; e non i principi della terra, ma il re del cielo invocava. Ecco due grandi poeti nell'età delle ardite speranze condotti a piangere sulle calamità della pa

possa rivolgere parola che non sia parola di pianto! destino tristissimo che il suono delle sue querele sia sovente coperto o dallo strepito delle catene o dal cozzare de' ferri o dal grido de' vili! o dal vanto ancor più lacrimabile degli sciocchi! E il Petrarca piangeva presente quella forza che Dante lontana invocava. Contraddizione di lamenti quanto prossima tanto più terribile a ripensare. Non ad un imperatore, non ad un papa volgeva Dante in quella lettera il suo lamento, ma a tutti i principi della terra, perchè tutti vedeva i principi della terra immischiarsi nelle cose d'Italia; vedeva Firenze quasi centro di quella vita che per gran parte del mondo civile si diffondeva; in Firenze vedeva compendiato il destino d'Italia. E la voce di lui teneva allora vece di que'mille giornali che assordano di grida discordanti i popoli ei re; la voce d'un giovane fiorentino, ignorato è sprezzato da'vecchi politicanti, sperimentava la forza di quell'accento che doveva echeggiare canoro per tanta misura di secoli.

E ben aveva di che lamentarsi Firenze in quell'anno, dico il MCCXCI, quando il Soldáno di Babilonia, con grand'oste attorniando la città d'Acri, difesa indarno da'prodi Templari, la saccheggiò tutta, e sessantamila rimasero tra morti e presi; e il commercio fiorentino n'ebbe inestimabile danno; poichè Acri dal Villani è chiamata, come Bonifazio chiamò poi Firenze, uno elemento del mondo: il MCCXCI, quando Flippo re di Francia, per infame consiglio di due Italiani, fece prendere quanti Italiani erano nel suo regno, sotto pretesto di punir gli usurai, onde le ricche negoziazioni de' Fiorentini furono rovinate: il MCCXCI, quando Guido da Montefeltro, signore di Pisa, o per difetto di guardia o per baratteria de' custodi, prese a Firenze Pont'-ad-Era, il più forte castello d'Italia che fosse in piano; quando la deliberata oste generale contro Pisa, di cui capitano dovev'essere Corso Donati, andò repentinamente fallita per venalità, dicevasi, di certi grandi; quando morivano Niccolò IV, Alfonso d'Aragona, Rodolfo d'Ostericche; e Toscana e Romagna e Sicilia erano da nuovi turbini minacciate.

E osservate strano avvicendarsi e con

fondersi di virili a teneri affetti. Nel 1289 Dante guerriero in Campaldino; nel 90 Dante trasfigurato dalle angosce d'amore; nel 91 Dante scrittore di cose politiche a' re della terra. Combattendo per la patria, egli amava; amava, per la patria scrivendo: l'imagine della bellezza faceva più intenso il valore, l'imagine della morte faceva l'amor della patria più santo e più doloroso. La bellezza appunto che pare al volgo degli uomini si lieta cosa, la bellezza così posseduta come perduta, è all'anime forti sorgente d'affannosi desiderii, e d'arcani terrori, e di penetranti rimorsi, e di acute mestissime rimembranze. Oh come bene s'affratellano la bellezza e il dolore!

Indotto dai congiunti e dagli amici, for se desideroso egli stesso di trovar posa nel porto dell'affetto legittimo alle lunghe tempeste, e a' brevi e terribili riposi dell'altro amore, il Poeta delibera di farsi marito. Ma intanto che Dante Allighieri all'onor del suo letto assumeva la congiunta di Corso Donati, quale sarà stato il cuore della giovane donna che aveva tanta pietà dimostrata di lui, che impallidiva alla vista del suo dolore? Questa pietosa, della qual Dante ci tacque il nome, avrebbe forse meglio intesa l'anima sua, che la Gemma, e meglio forse che Beatrice stessa. E quando il giovane devoto a Beatrice estinta, per iscrupolo di dolore cansò di mirare al pallore di lei, chi sa quant'ella soffriva nel silenzio dell'anima! E quando le sarà giunta la novella delle nozze di Dante, e avrà veduto l'affaccendarsi degli amici e la gioja delle due case, e sentita la solennità de' conviti, chi mi sa dire quale affetto su lei prevalesse, se dispetto od invidia, o quel mansueto dolore ch'è non meno profondo in donna, che il dolor disperato? E chi ci vieta imaginarla accompagnante sempre con le rimembranze pie, co' taciti augurii, colle dolci preghiere, la vita dello sventurato

cittadino, dell'esule celebrato? Chi ci vieta imaginare il pensiero di lei che lo segue e quand'e' varcava gli Apennini e quando le Alpi, e quando per le città di Toscana pellegrinava, intorno a Firenze volgendosi come uccello intorno al nidio conteso; e quando il Friuli lo accoglieva, e quando Padova e quando Verona; e quando le stanche ossa posavano dai dolorosi errori in Ravenna? Egli è dolce pensare fra lo strepito delle armi e i tormenti dell'odio e le tetre speranze della vendetta, fra le vergogne dell'esilio e le strette della povertà, pensare il cuor d'una donna che, misero anch'esso, i vostri dolori indovina, che con l'imaginazione dell'amore li esagera, quasi innamorata del tormentarsi. E chi sa che, in quell'ore che l'anima corre, come in rifugio fidato, nelle memorie degli anni più giovani, chi sa che a Dante stesso non tornasse alla mente in atto d'amore il turbamento della nobile giovanetta? E l'infelice uomo, in rincontrando qualche suo cittadino, dopo interrogatolo della famiglia, de' figliuoli, della patria, avrà forse domandato se quella pietosa fosse ancor viva; e sognando il ritorno, avrà sperato di rivederla, e poi temuto di parere troppo mutato agli occhi di lei già mutata. Ma destino era, ch' e' non si dovessero rincontrar sulla terra. Che dunque è la vita se le poche anime che parevano nate a consolarsi di mutuo compatire, sono dall'impeto de'casi disperse, e costrette a cibarsi di mesto desiderio e di rimembranze? Ma quelle rimembranze sono tanto santamente tenaci, che la gioja del bene posseduto non ne potrebbe la soavità pareggiare. Non lamentiamo la condizione nostra quaggiù; ma accendiamoci un vivo lume di nobili affetti, che ci scorgano in fino al luogo ove tutte incontreremo le creature che avremo amate in silenzio, che ci avranno in silenzio amati.

DANTE E IL PETRARCA

Là dove l'acque spumavano, una scossa di fiamma sotterranea fa balzar le montagne; e rimangono le conchiglie fra le alte rupi; e da vulcani novelli scorre nel mare la lava; le isole più e più si dilatano e si congiungono alla terra lontana; i massi ignudi si vestono di musco, di macchia, di grande foresta. Similmente dall'anima agitata le passioni prorompono; e la rovinosa forza è pur tuttavia creatrice, che porta in alto il vero latente: e poi, freddato il primo impeto, le rovine, per benefizio del tempo e per la fatica dell'uomo, s'ingentiliscono di coltura fruttuosa. Per simil modo altresì, dal dolore e dall'amore violento si generano a poco a poco i grandi concetti e le imagini belle; quasi ripide alture seminate di fiori, quasi prospetti da' quali lo sguardo domina. gran tratto di cielo, e vagheggia tra 'l verde il raggio d'oro, e s'insinua tra valli amene, guidato dalla lucida striscia delle acque correnti.

Sui colli euganei non a caso vennero a riposare le stanche ossa del Fiorentino che amo di doloroso amore Laura e l'Italia. Nulla è caso nel mondo: ma nella vita degli uomini singolari appariscono in singolar modo distinte le cagioni e gli effetti delle vicende che paiono essere abbandonate alla fortuna cieca. Nella regione euganea memorie diverse di diverse età dovevano lasciare vestigi da Fetonte al Foscolo, e da Antenore a Napoleone. Padova e Roma e Firenze erano, secondo la favola, colonie di Troja: gli Euganei e gli Etruschi erano forse davvero il medesimo sangue. Nelle medesime mura dovevano a breve intervallo di tempo trovarsi due esuli fiorentini, del cui verso

l'Italia più s'onora: Dante sospirando amaramente alla patria perduta; il Petrarca freddamente gli inviti di lei rifiutando.

Certo che in tutta Toscana non facilmente potevasi trovare ricetto più ameno di Arquà, Ugo Foscolo, che in un de' Saggi intorno al Petrarca descrive si vivamente. Valchiusa, nelle Lettere di Jacopo Ortis non dipinge la bellezza de' luoghi si che il pensiero li riconosca, e salga e scenda per essi. Non vedi i poggi, ma l'aura ne senti. E in que' tocchi stessi che son più rettorici, è notabile, massimamente in giovane, la parsimonia, pregio ignoto agli abbaiatorelli ammiratori del Foscolo, e che fino i più comuni concetti fa parer singolari. Il vero si è che, tranne l'unico Dante, i poeti nella rappresentazione de' luoghi assai sovente tralasciano le particolarità minute e più proprie; e colgono que' punti di bellezza che sono comuni a numero grande d'oggetti; ma li scelgono tali che il comune tenga dell'universale anzichè del triviale, del semplice anzichè dell'abietto. In Dante la forma universale conserva insieme la fedeltà del ritratto; e tanto più mirabile è l'efficacia del suo dipingere, che poche pennellate gli bastano, o pure una sola, a far balzare alla mente l'imagine intera laddove nello Scott ed in altri moderni (senz' eccettuare il sommo nostro Manzoni) la cura del particolareggiare disperde, anzichè raccogliere, l'attenzione de' leggenti; e per aggiungere chiarezza, scema parecchie volte evidenza.

Non è parola che valga a rendere le tinte, con si delicata e si ricca varietà digradanti, dell'azzurro e del verde; il co

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