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Poteva egli ancora con Gian Giacopo stesso ripetere : « Quanto m'è caro ritornare di tempo in tempo a' bei momenti della mia giovanezza! Erano pur dolci, e durarono pur brevi, e venivano si rari, e si poco mi costava il gioire! Ah la sola memoria mi rinfonde nell' anima una voluttà pura, necessaria troppo a ravvivare il mio stanco coraggio, e a vincere il tedio de' miei dolorosi anni.

è ministra la morte! Ella è che insegna ai felici il dolore, ai prepotenti la paura, agli scellerati il rimorso, ai pii la speranza: ell'è che santifica chi va, e nobilita chi resta; e fa, più della viva persona, o terribile od amabile un nome. La morte è il gran pernio così degli umani destini, come delle umane virtù; la morte è il germe che si nasconde e poi sorge da terra; la morte è il fiore che allega in frutto; la morte è l'Angelo dell'Onnipotente; la morte è il quotidiano miracolo della creazione: adorate la morte.

Tempo era che l'anima di Dante, dopo avere dall'amore di donna, quasi da notturna rugiada, bevuta freschezza, s'aprisse rigogliosa al vivo sole del vero. Già troppo sdolcinate saranno a voi parse alcune di quelle sue parole amorose, e troppo devota quella maraviglia, e troppo teologico quel dolore. Io credo al Boccaccio, il quale attesta. che egli « di questo libretto, composto nel ventesimo sesto anno, negli anni più maturi si vergognasse molto". Non già che si vergognasse di quella schietta eleganza, e di quelle immagina

Dante, per certo, non ha voluto svelarci tutte intere le pure gioie dell'amor suó: non le notturne ore passate nel contemplare dalla sua le finestre della vicina casa di Beatrice (chè gli Allighieri stavano in Porta san Piero, e i Portinari presso al canto de' Pazzi, e i Portinari e gli Allighieri erano del popolo di Santa Margherita); non l'allegrezza delle civili solennità festeggiate nella patria comune; non le preghiere da entrambi forse alla medesima ora innalzate a Dio nel suo bel San Giovanni; non le prolungate speranze; non l'immaginato o forse vero ricambio ch'ella rendeva a si timido affetto. Ma quel tanto ch'egli ne dice, già basta a farci conoscere, Jui essere stato ben più contento in quel-zioni leggiadre, ma del peso dato a cose l'amore, che fini in un saluto, che non altri in quelli i quali da più forte cosa che da un saluto incominciano.

Moriva Beatrice nell'età d'anni ventiquattro, nell'anno 1290, venticinquesimo della vita di Dante: moriva lasciandogli in retaggio un affetto immortale, un tesoro di memorie senza rimorsi, un' imagine che doveva di luce serena irradiare i versi di lui, e con la sua gentilezza accrescere potenza a quel gagliardo intelletto. Oh venne pure opportuno alla gloria d'entrambi, e forse alla loro innocenza, la norte! Tempo era che Dante ad altro che ad amorose contemplazioni indirizzasse l'ingegno, e per altro apprendesse a palpitare che per bellezza di donna. La patria lo chiamava, la patria, e la religione, e il diritto, e la natura, e quanti mai possono amori capire in cuor d'uomo. Se Beatrice viveva, noi non avremmo nè la Commedia quale abbiamo ora, nè la vita Nuova stessa; avremmo un precursor del Petrarca, un Petrarca più guerriero, più uomo. Occupato dall'amore, non avrebbe forse Dante ambito le cure della discorde repubblica, non forse sofferta la dignità dell'esilio; bella non sarebbe del nome e dell'esempio suo la sventura. Oh di grandi arcani

cui non iscusa l'estasi dell' amore. Altri cita, in contrario la menzione che della Vita Nuova si fa nel Convito: dove le cose in quel volumetto esposte conferma. Ma il Convito stesso fu scritto poco innanzi o poco dopo il quarantesim' anno; e poteva ben Dante nell'ultima età vergognarsi di certe sottigliezze peripatetiche ben più che platoniche. E già l'amore stesso era si alto in lui che maggiori cose chiedeva di quelle. « Apparve, dic' egli, apparve a me una mirabile visione, nella quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dir più di quella benedetta insino a tanto ch'io non potessi più degnamente trattare di lei; e di venire a ciò, studio quanto posso, siccom'ella sa veramente ». Il Gesuita Venturi crede che Beatrice l'amasse, e la chiama civettina tutta smorfie, e ride i parossismi dell'amore di Dante e le sue languidezze, e con semplicità maliziosetta conchiude: « Io di questi loro delirii non me ne intendo".

Sempre venerabile una creatura umana che piange, per qualunque cagione ella piange; e tale era l'indole di quell'anima, tale la natura di quel secolo, che le gioie stesse prendevano qualità di dolore. Ma intanto che Dante piangeva d'amore, I'I

minio di Carlo; e i marchesi di Fossano, spossessati dell' avito castello, vanno in Puglia a mendicar pane ed onta dal tristo Angioino. Il quale, tolto a' Genovesi il castello d'Aiaccio, ode bruciati da loro in Sicilia i suoi legni; ode saccheggiata l' isola di Gozzo; li vede, gli alteri cittadini della feroce repubblica, venir sotto Napo

nel mare le reali bandiere. Vincitori per tutto fuorchè a Mentone, dove infelicemente s'azzuffano col siniscalco del re.

talia piangeva di rancore e di rabbia; e l'anno che l'amor suo cominciò, il 1274, fu, non meno degli altri, anno di sventure all'Italia. Nel mese appunto di maggio, quando lo spirito della vita prese a tremare ne' polsi di Dante fanciullo, e un Dio più forte a signoreggiarlo, in quel mese la maledetta discordia signoreggiava una delle più fiorenti tra le città italiane, Bo-li a gridargli improperii e a sommergere logna; e i guelfi Geremei s'azzuffavano co ghibellini Lambertazzi; e più giorni durava la strage, l'incendio più giorni. Accorrono, de' Guelfi, Parma, Cremona, e Modena e Reggio, e giungono sino al Reno; ma dalla nuova concordia delle città fatto inutile il soccorso, ritornano. Breve e infida concordia: perchè nuova rabbia gli azzuffa, e a sostegno de' Geremei accorrono di nuovo da Parma, da Reg-prendeva anch'egli la croce ; e in guidergio, da Ferrara, da Modena, da Firenze: onde i Lambertazzi sono forzati lasciare la patria in numero di quindici mila, e a portar l'ira e l'onta nella vicina Faenza. Quivi correva poscia ad assaltarli il popolo di Bologna, ma invano: bene scacciava da Imola i Ghibellini, e la muniva di guelfo presidio. Vicenda orribile di vittorie e sconfitte, dove il vanto del va lore era infamato dalla stoltezza dell'ire.

In quel mese stesso che fu primo all'amore di Dante, in Modena la fazione de' Rangoni e de' Boschetti caccia i Grassoni; e i fuorusciti assaltano la città, e rompon l'esercito de' vincitori. In quel mese Astigiani, Pavesi e Guglielmo di Monferrato, il rammentato da Dante, guastano le torri d'Alessandria, immemori della grande concordia che creò quella città, che tanta gloria fruttò all'Italia, e tanta vergogna allo straniero nemico. Tommaso marchese di Saluzzo abbandona l'alleanza di Carlo. Il Piemonte si sottrae quasi tutto al do

In questo mese stesso dell' amore di Dante, Gregorio X convocavá splendido concilio a Lione, di cinquecento vescovi, e piucchè mille prelati; e Michele Palcologo ritornava, per paura de' crociati e di Carlo, alla Chiesa latina. Rodolfo d'Austria

done il Pontefice a lui confermava non so che diritti sull'impero d'Italia, ad Alfonso negandoli, il re di Castiglia. Ma il re di Castiglia mandava trecento de' suoi soldati a Pavia; intantochè Napoleone Torriano, precursore di Lodovico il Moro, offriva all'imperatore d'Austria il dominio di Milano, e n'era eletto Vicario e riceveva a tutela della città soldati tedeschi. Così tra un re spagnuolo e un imperatore austriaco era conteso in que' tempi il diritto d'un regno, sul quale e Austria e Spagna dovevano interi secoli dominare.

Nell'anno appunto di cui ragioniamo, Tommaso conte d'Aquino e Bonaventura di Bagnorea, che soli valevano un grande Concilio, due glorie immortali della scienza italiana, ingegni non meno alti di Dante, altamente da Dante celebrati, morivano: l'uno cinquantacinque giorni prima, l'altro settantacinque giorni dopo ch' egli apprendesse i primi fremiti e le prime lagrime dell'amore.

ANCORA DELL'AMORE DI DANTE

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Quanto d'intellettuale fosse nell'amore di Dante, tutti i luoghi dove di lei parla vel dicono: e se prova ne volete ben chiara, vedete là dov'egli narra la morte di lei seguíta il di nono d'ottobre; e a questo proposito si mette a ragionare del numero nove, numero a Beatrice amico, perchè i cieli son nove e tutti nella generazione di lei avevano di concordia operato; perchè tre via tre fa nove: e il tre non è altro che Padre, Figliuolo e Spirito Santo. « Beatrice dunque era un nove, cioè un miracolo, la di cui radice è solamente la mirabile Trinità ». In tali arzigogoli il cuore non ha, parmi, gran parte: e ben dice il Poeta stesso, che dalla mente a lui moveva talvolta l'ispirazione dell'amore; e nello spirito dell' amata donna già morta e' non vedeva che un nobile intelletto. Questo giova notare perchè nessuna letteratura, io credo, può mostrare un amore di si nuova maniera, di tanto caldi sentimenti e di tanto astrusi concetti.

E nessuna letteratura può mostrarne altro, dove a tanta serenità d'imagini sia congiunta tanta mestizia e tant'ombra di morte. L'amor di quest'uomo è simile a cenobita penitente che si tiene continovo dinanzi agli occhi la vista d'un teschio ignudo. Ogni pensiero all'aspetto di lei non si dilegua, ma muore, il viso tramortisce; morta è la vista Degli occhi ch'hanno di lor morte voglia. E per la ebrietà del gran timore Le pietre par che gridin: muoia, muoia.

Ma quello che meglio d'ogni altra cosa fa riconoscere nell'amante il cantore della gente morta, e nelle significazioni del suo

affetto un preludio dell'Inferno, è la fantasia che gli viene quand'egli si crede morire, e imagina morta la donna sua. La qual fantasia egli racconta di nuovo in una canzone dove la narrazione, per la evidenza e l'affetto ond'è colorata, si fa più lirica d'ogni più lirico volo; genere di poesia nuovo, il quale giunge a conferma d'una verità non indegna d'essere meditata: come nei grandi momenti di costituzione o di rinnovellamento intellettuale o sociale, la lirica e la drammatica siano dalla poesia narrativa comprese e quasi assorbite; di che la Bibbia ed Omero ed Eschilo stesso, de' cui drammi la narrazione è gran parte, e i poemi indiani, e il gran poema tedesco, e i frammenti d'Ossian, e la divina Commedia, e le ballate contenenti le tradizioni volgari, e i canti popolari della Grecia e que' della Serbia son prova.

Vedete come pieno di morte fosse l'amore in quell'anima; come dal sepolcro gli sorgesse più pura e più lieta che mai l'imagine di una immarcescibile bellezza. Forte, ben dice la Bibbia, come la morte è l'amore; e nessun uomo lo senti più che Dante. Amore, morte, immortalità erano nella sua mente una triade generatrice di sè, creatrice di nuovo universo. A questi tre nomi noi dobbiamo le tre cantiche. Quando il pensiero dell' amore è scompagnato da quel della morte, quel della morte dal pensiero dell' immortalità, e la morte si fa orribile, e l'amore diventa più abborrevole della morte.

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Che malinconico, perchè male ricambiato, fosse nell'Allighieri l'affetto, io nol vorrei dire. Schiava nel Trionfo d'Amore

pone il Petrarca Beatrice con Dante, e Selvaggia con Cino: di che si scandalezza il Castelvetro; e il Tassoni con la solita sveltezza risponde: « Quanto al dire che Beatrice e Selvaggia non riconoscessero gli amanti e poeti loro, altro testimonio che quello di loro stessi non ne abbiamo; tanto degno di fede, quanto merita l'insaziabilità degli amanti, che sempre ingrate e crudeli chiamano le donne loro ». Ma non è affatto vero, ben nota uno storico de' danteschi amori, che Dante, insaziabile sempre, chiamasse Beatrice ingrata e crudele. E sebben dica nelle sue Rime: Con lei non state, che non v'è Amore, narra pure altrove e l'arridere delle labra e l'arridere degli occhi di lei; narra come Beatrice al vederlo si facesse d'una vista pietosa e d'un color pallido; e fa dire a lei stessa che Amore le ha fatto sentir de' suoi dardi. Nè si tenace sarebbe durato nel Poeta l'affetto, se da qualche apparente lusinga almeno e' non fosse stato allettato od illuso. Dante, non bello, alla bellezza era non solamente amico, ma accetto, piucchè a poeta teologo non dovesse parere desiderabile. Nella Vita Nuova vediamo una schiera di donne sospirar de' suoi mali, una donna gentile piangere di compassione al suo letto, due donne chiedergli de' suoi versi; vediam poscia a lui dall' amore non so s'io dica rasserenato o contristato l'esilio. Ma quanto a Beatrice, rade e mal certe, e dal pudor della donna e dalla timidezza stessa di lui temperate gli venivano quelle gioie, onde cresceva e intensità e purità al desiderio che moveva vestito d'un velo quasi religioso, e come sull'ali della fede portato. Se a lui crediamo, questo culto tenevasi a lei dovuto da quanti la conoscessero e quando passava per via, le persone correvano per veder lei: e dicevano molti, poichè passata era: « Questa non è femmina, anzi uno delli bellissimi Angeli del Cielo ».

La morta donna egli colloca nel ciel dell'umiltà dov'è Maria; e prega il Sire della cortesia « gli piaccia che la sua anima se ne possa gire a vedere la gloria della sua donna ». Religiosa è la più bella parte d'una bella canzone ch'egli indirizzava a lei morta, e alle donne gentili. Questa santa speranza nell'amor d'un'estinta, questa ferma fede nella corrispondenza del mondo visibile coll' invisibile

e della terra col cielo, aggiunge all'amore altezza e tenerezza nuove.

E da questa altezza e parsimonia di concetti e di stile io non so se voi vorrete conchiudere meco, la lirica dantesca essere della petrarchesca e più virile e più schietta e più ispirata e più varia: non so se vorrete dar piena ragione al Tasso laddove dice: «Io ho Dante e l'Ariosto nel numero di coloro che si lasciano cadere le brache ». Ma se il Tasso se le fosse lasciate talvolta al medesimo modo cadere, si sarebbe, cred' io, mostrato e meglio uomo e meglio gentiluomo. Il Mu ratori pone le Rime di Dante accanto alla Commedia, e non erra; e quelle dove si riconosce il cantor de tre mondi, pajono degne di più attento amore, che fin ora non abbiano dai critici venerandi impetrato. A farne pregiar la bellezza, quel semplice quasi romanzo della Vita Nuova conferisce assai, perchè mostra l'occasione che ne detto parecchie e ne svolge il primo germe, e il concetto insieme ne rivela, e la ispirazione del poeta a filosofiche considerazioni assoggetta. Nella Vita Nuova abbiamo varianti, nella Vita Nuo va abbiamo frammenti. Abbiam la canzone da lui cominciata, quando pareva che amore gli si facesse più lieto, e interrotta per morte dell'amata donna. Intuona egli un inno di gioia; ed ecco la morte a troncarglielo: tant' era fatale alla sua vita il dolore.

L'anno in cui questa donna moriva era di grandi fatti ripieno e di grandi sventure, per le quali si venivano maturando i destini della sfortunata Italia e del suo sfortunato poeta. I popoli dall' un lato abusanti della libertà, mano mano condotti o dall'imprudenza propria o dagli altrui avvolgimenti a presceglier volon tarii come rimedio la tirannide; i tiranni dall'altra o impunemente audaci o infruttuosamente puniti. Scorrerò brevemente e i colpevoli successi loro, e le colpe sventurate de' popoli.

Guglielmo, marchese di Monferrato, incorreva nel Novarese e in quel di Milano e in quel di Piacenza. Se non che in Alessandria, da precipitata sommossa di cittadini sopraffatto, egli è preso e chiuso in gabbia di ferro; quivi freme per ben diciassette mesi, quivi lo coglie, preceduta certo da' rimorsi della vergogna e forse dal pentimento, la morte. Perchè

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la gabbia di ferro era nel medio evo la scure e lo scoglio di Sant'Elena preparato ai principi soggiogati. E i popoli d'allora, nella forza propria e nella costanza del proprio volere sicuri, temevano il dominio, non il nome dell'uomo; contenti di togliergli ogni strumento di nuocere. Barbara, chi lo nega? era quella gabbia di ferro: men barbara forse de' moderni spedienti, e certo men vile. Fintanto dunque che Dante Allighieri piangeva sulla tomba della leggiadra donna fiorentina, fremeva in gabbia il reo Guglielmo: e giova collocarsi dinanzi alla mente cosiffatti contrapposti, perchè in essi è il mistero e la poesia della vita.

Il giovane figliuolo di Guglielmo fuggiva intanto in Provenza ad invocare il soccorso straniero; antica e sempre funesta speranza degli italiani signori. Intanto i Beccaria s' impadronivano della pavese libertà; ed un Visconti si faceva per cinque anni capitano, cioè signore di Vercelli; e Obizzo da Este, signore di Modena e di Ferrara, dai discordanti cittadini di Reggio, in ciò solo eoncordi, era eletto signore: e signore perpetuo di Piacenza sorgeva fra i tumulti civici Alberto Scotto: e signore di Pisa per tre anni il conte Guido da Montefeltro, il dannato da Dante; onde il Papa scomunica e gli eleggenti e l'eletto. E intanto che questo Nicolò IV fulminava la città toscana al dominio suo non soggetta per aver voluto ubbidire a quella volpe astutissima, egli, il Papa, ubbidiva ai Colonna, e i Colonna di molti favori privilegiava, e un di loro su cocchio trionfale condotto per le vie di Roma era onorato col titolo imperiale di Cesare; onde dai Romani, alla satira da gran tempo usi, fu dipinto il Papa rinchiuso in una colonna, con sola fuori la testa mitrata e due colonne dinanzi. Un Colonna frattanto era marchese di Ancona, un Colonna conte della Romagna; e ambedue a loro posta le cose romagnole volgevano, s'immischiavano ne' negozii

di Cesena, di Rimini, d'Imola, di Forli; mandavano un Malatesta a confino; nè la cosa aveva termine se i Ravennati, levati a rumore, non imprigionavano questo franco negoziatore di negozii non suoi. Malatesta tornava signore di Rimini; i Manfredi non perdevano il dominio di Faenza se non per dar luogo a Mainardo ed al Polentano. Giacomo di Sicilia mandava indarno Giovanni da Procida al Papa per offrire le sue forze alla nuova crociata, perchè il Papa obbediva al cenno straniero; invano Carlo Martello, il lodato di Dante, figliuolo al re di Napoli e nipote al re d'Ungheria, la corona ungarica s'aspettava. Per raccogliere molte cose in una, i forti, dalle reciproche ambizioni fiaccati, tramando ruina agli altri, la preparavano a sè; i piccoli tiranni della discordia de' popoli e delle brighe de' principi approfittavano per farsi grandi. Le libertà frattanto d'Italia perivano.

Invano Milanesi, Cremaschi, Bresciani, Cremonesi, Comaschi a danno del Monferrino invasore s'univano; poscia Astigiani, Milanesi, Piacentini, Cremonesi, Bresciani e Genovesi: invano al soldo de' liberi popoli accorreva un conte di Savoja con cavalieri, con balestrieri, con fanti, Brevi erano le concordie, fugaci della concordia gli effetti, instancabili le ire, i frutti dell'ira immortali. Piacenza già s'arma contro Pavia, Genova contro Pisa; frá le mura di Rimini risse e sangue; in Imola gli Alidosi coi Nordili a fiera battaglia: e Bologna accorre per dare vittoria ai Nordili, e per adeguare a terra ogni bellico guarnimento della città. La pace gravida di nuove sventure, feconda di servitù nuove la guerra. La causa dei popoli incauti ogni giorno più in basso, ogni giorno più in alto la causa degli astuti oppressori. Tale era nel 1290 l'Italia. E già le sventure della patria a più forti pensieri chiamavano e à più maschi affetti l'infelice Allighieri.

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