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Le digressioni di storia e di scienza non mancano: nell' Inferno sola una, dell'origine della città di Mantova, forse per rendere onore a Virgilio: così come quella del vigesimo secondo del Purgatorio, in memoria di Stazio, un de' poeti a Dante diletti. Ma nella seconda Cantica i tocchi geografici non son forse rapidi assai; nella terza, la dissertazione sulle macchie della luna è a pompa d'ingegno e di stile. Ma quello che nel diciottesimo del Purgatorio è toccato dell'amore, e nel Paradiso dell'inviolabilità del voto, del merito della Redenzione, delle facoltà innate, della sapienza di Salomone, de' giudizii temerarii, della predestinazione, della salute eterna de' Pagani, delle virtù teologiche, del peccato di Adamo, è parte essenziale del sacro poema.

Il Bettinelli, tranne poche terzine, il resto avrebbe buttato via; l'Alfieri, trascritto ogni cosa. Lpiù si fermarono nell'Inferno, e non videro come le bellezze della seconda Cantica fossero più pure e più nuove, della terza meno continove ma più intense, e, dopo la Bibbia, le più alte cose che si sieno cantate mai. Gli ammiratori lo calunniarono: chi fa di lui un altro Maometto, chi un libero muratore, chi un empio, chi un deputato fran

cese de' meno regi. Il Ginguené volle la visione tutta quanta d'invenzione sua: e pochi, se questo fosse, l'avrebbero intesa, nessuno sentita. Il Monti lo loda del dire le cose per perifrasi, ch'è lode direttamente opposta di quella che gli dava a miglior diritto il Rousseau: il Perticari lo fa nemico della sua lingua materna; gl' interpreti gli danno del loro mille astuzie ingegnosctte, di quelle che son l'unica suppellettile de'mediocri. Ma Dante le tradizioni religiose, popolari, scientifiche del suo tempo ha con riverenza raccolte: ogni suo concetto informò del presente e del passato: mai rinnegò l'alta fede de' padri suoi: fin laddove e' fulmina i preti indegni, all'autorità che lor viene dall'alto s'inchina. Le circonlocuzioni fugge: e va quasi sempre per la via più spedita: e attesta egli stesso, che mai la rima lo trasse a dire altro da quel ch'e' voleva: e pone per norma dell'arte, che sempre la veste poetica debba coprire un' idea vera o viva. Della sua lingua materna nulla immutò; ma trascelse. E fu poeta grande, perchè seppe con vincoli possenti congiungere natura ed arte, meditazione e dottrina, il sentimento suo e l'italiano, il culto del bello e del retto, la passione e l'amore del vero.

AMORE DI DANTE

Il Boccaccio nelle prose ci dava la parte prosaica dell'amore, intantochè la parte poetica ne dava nelle rime il Petrarca. Nel secolo decimosesto l'amore, tranne quel di Gaspara Stampa, ed altri che non lo verseggiarono nè prosarono, e in prosa e in rima era prosaico del pari: prosa i sonetti e prosa i sospiri del cardinale Bembo e de' molti commilitoni di lui. Nel decimonono pare che dalla melma dell'amore prosaico cominci a spicciare una vena di poesia, la quale per suo canale presceglie alla canzone il romanzo ed il dramma. Ma in fatto d'amore la poesia più vera è la prosa che le donne innamorate fanno quando dicono il vero. Non parlo della stampata: ma se tutti i pensieri e i dolori e gli inni dell'amore femmineo si potessero in un volume raccogliere, quello sarebbe il più poetico libro umano e il più grave d'arcani. Or noi lasciando le donne innamorate del secolo decimonono e la prosa loro, saliremo alle rime amorose di Dante.

Come lo sdegnoso uomo le abbia sapute cospargere di tanta soavità, parrà meno mirabile a chi pensa che ne' forti ingegni s'accoppiano le qualità apparentemente contrarie, che nè vera forza senza delicatezza, nè vera delicatezza è mai senza forza. E ben dice egli stesso, ripetendo il verso di Guido Guinicelli, che amore e cor gentile sono una cosa. E in questo nome io comprendo non pur l'amore della femminile bellezza, ma di quante bellezze ai nostri occhi profondono instancabili la terra ed il cielo: l'amore del giusto, l'amor della patria che tutti in sè gli altri umani amori comprende. Pure non resta che rara cosa non debba a tutti parere

tanta soavità quanta spira da' versi scguenti:

Negli occhi porta la mia donna amore
Perchè si fa gentil ciò ch'ella mira ........
Fugge dinanzi a lei superbia ed ira,
Aiutatemi, donne, a farle onore.

Quanto spirito lirico in questa invocazione alle donne, che ad onorar Beatrice lo ajutino, come se tanta gentilezza potesse da sole le donne essere sentita e onorata degnamente! Più fina lode alla bellezza dell'anima femminile non ha forse la poesia italiana di questa:

Ogni dolcezza, ogni pensiero umile

Nasce nel core a chi parlar la sente: Ond'è laudato chi prima la vide. Quel ch'ella par, quand'un poco sorride, Non si può dicer nè tener a mente; Si è nuovo miracolo e gentile.

E questi sono versi antichi' di cinquecento sessanta e più anni, e sono più chiari che i versi di tanti chiarissimi poeti viventi.

Sovente nelle Rime di Dante ricorre la parola umiltà; e Beatrice si chiama d'umiltà vestita; e dicesi che umili pensieri nascono in chi la sente e che ogni cosa si fa umile alla sua vista. Perchè l'altero uomo conosceva quanto gentil cosa l'umiltà fosse, e quanto la superbia villana: conosceva quanto giovi a far miti i pensieri l'aspetto d'una pura bellezza. Oh questa tutta umile Fiorentina è ben più sublime cosa della Francese umilemente altera, alteramente umile, che il canonico Petrarca cantava.

Domanderete in quali ore e in che luoghi amasse più Dante onorare ne' versi la

donna sua; se nel sorriso della solitaria natura, o nel frastuono della città popolosa; se passeggiando dal Gardingo, o fuor della cerchia antica, o salendo l'altura di Trespiano, o scendendo ne' luoghi dov'ora villeggia più d'uno tra' moderni Fiorentini a tutt'altro pensando che a versi. A cotesto una sola cosa io posso rispondere, che la bella canzone la qual comincia: Donne, che avete intelletto d'amore, fu imaginata da lui passando per un cammino, lungo il quale sen giva un rivo chiaro molto. Allora gli venne volontà di dire; e la sua lingua parlò, quasi per sè stessa mossa, quel primo verso che ho detto, ed egli lo ripose nella mente con gran letizia, onde poi, ritornato alla città, pensando alquanti di, scrisse la intera canzone. Non so se quel verso caduto nella mente a lui passeggiante lungo le acque d'un chiaro ruscello a voi paja più dolce. E veramente non è forse cosa tra le visibili che più soave parli all'anima, e più soave la ispiri, d'una pura acqua corrente. Quell'umore che fugge, rende imagine lieta insieme e malinconica degli umani piaceri; quella vita diffusa in ogni minuta stilla, raffigura la vita d'un'anima che in sè non ristagni, ma corra al bene come per dolce pendio; quella copia modesta pare gradito alimento ai pensieri dell' uomo, così come ai fiori del campo; pare che rinfreschi con l'erbe del margine l'imaginazione appassita; quel placido mormorio par che accompagni ed inviti l'armoniosa parola; e quello specchio fedele sempre offerto alle bellezze del cielo e della terra par che disponga l'anima del Poeta a farsi specchio essa stessa di quante bellezze intorno diffondono la terra ed il cielo.

Parla in quella canzone alle donne e alle donzelle amorose, chè non è cosa da parlarne altrui, e per isfogar la mente (perchè nella mente non meno che nel cuore è il suo fuoco) ragiona. Or quali imagini sceglie il poeta alla lode? Fa che un angelo parli a Dio d'una maraviglia che si vede nel mondo:

Lo cielo, che non ha altro difetto
Che d'aver lei, al suo Signor la chiede:
E ciascun Santo ne grida mercede.

Iddio risponde: Aspettate alquanto, si che gli uomini la possano ancora godere,

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E dopo aver detto che la sua vista umilia l'uomo, sì da fargli dimenticare ogni offesa, le attribuisce virtù santificatrice dell'anima, e afferma:

Che non può mal finir chi le ha parlato.

Ecco in queste due stanze i germi della Divina Commedia. Già di Beatrice ancor viva, Dante udiva parlare gli Angeli in cielo, e nell' Inferno i dannati; già le imagini degli eterni destini dell'uomo s'erano nella sua mente congiunte al nome d'una giovanetta toscana; già di lei diceva Amore:

Per esempio di lei beltà si prova.

Non solo bellissima, ma l'esempio ell'era della bellezza vera: qual maraviglia che il Poeta la convertisse in forma ideale non solo di corporea, ma di spirituale bellezza?

Alle donne sovente questo duro uomo amava rivolgersi, e a loro confidare i suoi secreti dolori. Vedendo schiere di donne tornare da un compianto, e udendole parlare del dolor di Beatrice per la morte del padre, si dà a piangere, e finge in un sonetto d'interrogare quelle donne pietose, ed esse in un altro rispondono:

Ella ha nel viso la pietà si scorta,
Che qual l'avesse voluto mirare
Saria d'inanzi a lei caduta morta.

Voi risponderete con simile severità, che nè uomini nè donne cascano morti per così poco; e io non voglio rispondere alla vostra senile severità: dirò solo che un giovane di venticinque anni, il quale tant'altamente idoleggia l'amore, era nato per scrivere a'trentacinque altra cosa che versi amorosi. Tra l'estasi dell'amante e la visione del politico, tra le teologiche aspirazioni a Beatrice visibile e i teologici inni a Beatrice simbolo di sapienza civile, voi scorgerete potente armonia.

E siccome, al dir di lui, la luce di sua salute nelle altre donne si diffondeva, cosi nel proprio amore comprendeva egli

quant'erano belle donne, tutte ponendole sotto a quella bellezza regina. E' rincontra un giorno l'amata di Guido Cavalcanti, il primo amico di Dante; e'l nome suo era Giovanna; ma, forse per la bellezza, la chiamavano Primavera. Dietro le veniva la mirabile Beatrice. Allora parve che amor gli parlasse nel cuore per dirgli: quella gentil donna non per altro ha nome Primavera, se non perchè doveva un giorno precedere Beatrice. E qui fantasticando sui nomi di Giovanna e di Primavera, e'rinvenne che ambedue significano la medesima cosa; perchè Giovanni Battista precesse Gesù, come Giovanna, Beatrice; e cita qui l'Evangelio dell'altro Giovanni; e in certa guisa assomiglia la donna sua al Redentore del mondo. Se amore cosiffatto non finiva in un dramma sacro, io non so qual miglior esito avesse potuto sortire.

Ma le cose dal poeta cantate son eglino simboli o realtà? Il canonico Biscioni crede Beatrice nè figliuola del nobile Fiorentino, nè donna vera; ma la sapienza in largo significato presa, il saluto di Beatrice essere la capacità della scienza; le donne che Beatrice accompagnano, scienze anch'esse. Il Biscioni non nega però che la Bice sia stata in questo mondo e dotata, com'egli gravemente dice, di riguardevoli prerogative. Ma un altro canonico, forte anch'egli in filologia, il canonico Dionisi, nega che Beatrice sia cosa fantastica, condanna il Filelfo, condanna il Biscioni. E voi pure, o signori, darete ragione, io spero, al canonico Dionisi, e vagheggerete in Beatrice la figlia di quel Portinari che Dante chiama buono in alto grado, al quale Firenze deve la fondazione del suo spedale di Santa Maria Nuova; per merito del quale gentile atto e pio, è da credere che il Cielo abbia dato alla sua Bice vivere splendidamente ne' libri di Dante. E questo pensiero, sappiatelo, non è mio, ma i'ne reco l'onore all'illustre autore del discorso su Michelangelo Buonarroti. Del resto, che per esaltar Beatrice e per riferire a lei i grandi effetti di sapienza nel cuor_suo dall'amore promossi, Dante in questa femmina viva è vera simboleggiasse talvolta or l'umana sapienza, or la sapienza delle cose celesti, ell'è cosa certa.

A celare l'amor suo vero, Dante si finse amante d'altra gentil donna; e durò la finzione alquanti anni e mesi; e per più

far credente altrui, feci (dic' egli) per lei certe cosette per rima.

La donna alla quale e' fingeva amore dovette partirsi di Firenze; ed egli per non tradire il secreto, scrisse versi di simulato dolore: tanto curava che il suo vero affetto non si scoprisse. Or perchè ciò? Ritegno di pudore non era, s'egli fingeva d'amare altra donna: ma forse modesto riguardo di non offendere la sua con istrane significazioni d'affetto sì veemente; forse timore del sorriso de' galanti di quella età; forse altezza di fantasia che temesse, manifestandolo, spogliar l'amore di quel velo ideale che lo fa sovrumano; era forse una di quelle tante prosaiche ragioni che è facile immaginare, che indovinare è difficile, che si frammettono tra l'occhio del poeta e i suoi fantasmi, e gli vieterebbero di contemplarli, s'egli, per vedere a suo agio, non avesse l'accorgimento di chiudere gli occhi.

Partitasi di Firenze quella donna ch'era velo all'amor suo, un'altra invece di quella ne sceglie il Poeta: e perchè queste dimostrazioni d'amore davano che dire alla gente, Beatrice se ne offende e gli nega il saluto. Egli allora che fa? « Misimi nella mia camera, là dove io poteva lamentarmi senza essere udito; e quivi chiamando misericordia alla donna della cortesia, e dicendo: Amore, ajuta il tuo fedele, m'addormentai, come un pargoletto battuto, lagrimando». E le gioie e le lagrime del Poeta, a quel che pare, finiscono in sonno: un saluto concesso lo fa dormire, un saluto negato lo fa dormire: fortunato Poeta!

Dopo tale vicenda e' potè mettersi tranquillamente a pensare, se amore sia o no buona cosa. Questo pensiero era, logicamente, diviso in quattro, e gl'inspirò il sonetto: Tutti li miei pensier parlan d'amore, dove il primo verso è il più bello di tutti: e più singolare si è 'l decimo che dice: E vorrei dire e non so ch'io mi dica; verso che, passati i trent'anni, Dante non avrebbe forse pensato.

È cosa notata già da Leonardo Aretino l'altezza de' generosi cominciamenti ne' versi lirici dell' Allighieri; nè al primo lancio sempre la tratta del volo corrisponde; e all'evidenza delle imagini l'astruseria de' concetti fa velo: ma ad ogni tratto il Poeta si ritrova animoso e più forte che mai: si che può bene affermarsi col Ginguené che, quand'anco alla gloria di lui

mancasse la Commedia, basterebbero a collocarlo primo poeta de' suoi tempi la Vita Nuova e le Rime. E a stimarlo il primo prosatore del suo tempo sarebbe titolo la Vita Nuova, e alcuni tratti del Convivio, se non fossero le Storie di Dino Compagni e di Giovanni Villani. Certo se quelle storie non fossero, ben si potrebbe dire che Dante insegnasse alla prosa e il numero e l'evidenza e la semplicità e la snellezza: e tanta dal Boccaccio a lui essere la distanza, quanto dall'arte gentile alla schietta natura.

Un giorno persona amica lo conduce dov'erano molte vaghe donne, e la vista della sua lo turba in fiero modo: sopra questo e' scrive un sonetto, ove dipinge Ainore

Che 'I fiere tra miei spirti paurosi;

rio. Altre avventure del suo amore non narra, se non l'ultima, la morte dell'angiolo suo.

Di quali corrispondenze lo confortass'elfa, non dice; e dopo avere narrato ch'ella rise di lui, non prende la cura di pur notare se Beatrice si pente di quel riso: tanto sincera e sì poco timida dello scherno (che all'anime piccole è gastigo insopportabile) era la sdegnosa anima del

Poeta.

Il Boccaccio fa lei maritata a un Simone de' Bardi; il quale fu nel 1300 condannato da Dante priore, come agitatore di civili discordie. E a voi dorrà veramente che la sua beatitudine fosse stata sposa a un Simone. Ma il Pelli, lo spietatamente prosaico Pelli, nota il testamento del padre, rogato a' dì 10 di gennajo 1287, dove lascia cinquanta fiorini Bici filiæ suæ et uxori Domini Simonis de Bardis. Il perchè nella Vita Nuova l'abbia egli taciuto, non è difficil cosa a vedere. A questo schietto romanzo della Fita Nuova Dante non intese affidare tutti quanti i secreti dell'amor suo, ma solo esporre l'occasione e l'argomento dell'amorose sue rime.

Nè comento poteva farsi più gentile di questo che pare la storia de' giovanili moti di quell'anima e dello svolgersi che faceva l'ingegno, quasi fiore ai raggi di un candido e fervente affetto. Però l'amore quivi si considera come cosa seria, come parte d'educazione, come professione, per dir così, come scienza. Qui si ha la storia interiore di un uomo a cui pochi somigliano degli uomini presenti; e la storia amorosa di un tempo, al quale il presente quasi nulla somiglia. E negli annali della passione, nella pittura di quant'ha più delicato e ineffabile l'anima umana, risiede la più profonda bellezza e la vera efficacia del romanzo. A questo pregio molti difetti perdonansi: senza questo gli altri pregi languiscono. E di quello scritto potrebbe Dante dire quel che d'ott'anni della sua vita diceva il Rousseau:

E quale ancide, e qual caccia di fora, Sì ch’ei solo rimane a veder vui. Più nobile e più civile questa imagine d'Amore prepotente guerriero, che non del molle e alato e bendato fanciullo, di quel che il Ghiabrera dipinge Viperetta, Serpentello, Dragoncello: diminutivi eloquenti perchè dimostrano come l'amore italiano si venisse collo impiccolire degli altri affetti ogni di più restringendo. Or che è egli a' giorni nostri l'amore? È egli volatile o rettile? Fanciullo o guerriero? Bestia o nume? Non mai forse volò tant'alto, non mai strisciò si basso' come a' giorni nostri l'amore. Ora puro spirito, ora carne morta; ora un pensiero, ora un calcolo; or astro, or fango; or sottile e tenace, or pesante e volubile; sconosciuto a chi più ne parla, a chi meno lo studia rivelante i suoi casti misteri; vergognoso dell'antica mollezza, avido di opere e di gloria; allegro di mesta gioia, mal pago di sè e delle cose, conoscendo di non essere più fine sufficiente a sè stesso, non più idolo unico della umana natura; sollecito egli stesso d'inchinarsi innanzi agli altari della virtù, della patria, di Dio. Tale a' giorni nostri è il guerriero di Dante, la vipera del Chiabrera, il fanciullo de' Greci.« In questo spazio poche avventure avrò Ma finalmente si fa noto a molti il sea raccontare, perchè la mia vita fu tanto greto del Poeta, e chi lo deride, e chi lo semplice quant' era soave; e di tale unicompiange. Muore il padre di Beatrice formità aveva appunto di bisogno l'indole nel 1289 il di trentuno di dicembre (nel 1285 avea fondato lo spedal fiorentino); ed egli canta il dolore di lei. Inferma egli stesso, e delirando imagina che Beatrice sia morta, e canta l'ambascia di quel deli

mia per formarsi. In questo prezioso tempo l'educazione che fin allora fu sparsa e interrotta, s'assodò, e tale mi rese qual poscia rimasi per tutto il corso della procellosa mia vita ».

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