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CANTO XXV.

Argomento.

Siamo ancora tra' ladri: e a mostrare quanto fosse loro intrinseca la malizia, le serpi s'immedesimano in essi: e son nudi acciocchè per tutto possan ricevere le trafitture; e in continuo terrore d'esser puniti; e corrono senza potersi involare ai morsi della coscienza, figurata ne'serpi. Le mani si pronte al furto, qui son legale; e siccome in tante guise si trasformarono per fuggire alla pena, cosi qui si mutanò d'uomini in serpi, e a vicenda.

1.

Nota le terzine 2, 3, 7, 8, 11, 12, 15; 17 alla 31; 34 alla 47; 49, 50.

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Le mani alzò con ambedue le fiche, Gridando:-Togli, Dio: ch'a te le squadro.— 2. Da indi in qua mi fur le serpi amiche; Perch' una gli s'avvolse allora al collo, Come dicesse: - I'non vo' che più diche; · 3. E un'altra alle braccia; e rilegollo, Ribadendo sè stessa si dinanzi Che non potea con esse dare un crollo. 4. Ahi Pistoia, Pistoia, chè non stanzi D'incenerarti, si che più non duri, Poichè 'n mal far lo seme tuo avanzi ?

1. (L) FICHE. Tra l'indice ed il medio mettendo il pollice atto di spregio. — SQUADRO: misuro, squaderno.

(SL) ALZò. Novellino, LVIII: Fece la fica quasi infino all' occhio, dicendoli villanie. Dice Giovanni Villani che sulla rocca di Carmignano era una torre molt' alta con due braccia di marmo che facevano le fiche a Firenze.

(F) Dio. Zach., V, 3: Hæc est maledictio, quæ egreditur super faciem omnis terræ; quia omnis fur, sicut ibi scriptum est, judicabitur. Nello Statuto di Prato chiunque ficas fecerit vel monstraverit nates versus cœlum vel versus figuram Dei o della Vergine, paga dieci lire per ogni volta; se no, frustato. Sfogatosi contro Dante, si sfoga contro Dio, e mostra il bestiale ch'egli era. Atto degno di sacrilego.

--

DICHE: tu dica.

2. (L) AMICHE: che lo punirono. (SL) COLLO. Æn., II: Bis collo squamea circum Terga dati. DICHE. Cavalc.: Voglio che 'l dichi. 3. (SL) BRACCIA. Æn., II: Manibus tendit divellere nodos, RILEGOLLO. Æn., II: Corripiunt, spirisque ligant ingentibus. — Ribadendo. Gli si fa quasi anello alle braccia, gli si avvolge dietro, poi un altro giro dinanzi ; l'imagine è tolta forse dal noto passo di Virgilio: Bis medium amplexi, bis collo squamea circum Terga dati, superant capite et cervicibus altis (Æn., II ). - DARE. D'un serpe, Virgilio: Ne quicquam longos fugiens dat corpore tortus (Æn., V).

4. (L) STANZI: risolvi. SEME TUO di Catilina. (SL) STANZI per deliberi. G. Villani. -INCENERARTI come il ladro tuo cittadino, poich' avanzi in mul fare i

5. Per tutti i cerchi dello Inferno oscuri Spirto non vidi in Dio tanto superbo; Non quel che cadde a Tebe giù de' muri. 6. Ei si fuggì, che non parlò più verbo. Ed io vidi un Centauro pien di rabbia Venir gridando: — Ov'è, ov'è l' acerbo î 7. Maremma non cred'io che tante n'abbia, Quante bisce egli avea su per la groppa, Infino ove comincia nostra labbia.

8. Sopra le spalle, dietro dalla coppa

Con l'ale aperte gli giaceva un draco;
E quello affuoca qualunque s'intoppa.

soldati di Catilina, rifuggiti nell' agro tuo de' qualt tu esci (Sallust., Cat.). Simili imprecazioni nel XXXIII dell'Inferno e nel XIV del Purgatorio. Dino, LXII: Naturalmente i Pistoiesi sono uomini discordevoli, crudeli e selvatici.... - LXIV: Come villa disfatta rimase.

(F) INCENERARTI. Ezech., XXVIII, 18: Trarrò fuoco di mezzo a te, che ti divori, e farò le cenere sopra la terra. 5. (L) IN: contro.- QUEL CHE CADDE A TEbe giù de' MURI: Capaneo.

(SL) IN. Bib. Volg.: Adirato in te. Tasso: Impugneransi in te l'armi di Giuda, Som.: In quem peccatur. QUEL. Inf., XIV, t. 16.

6. (L) E1: Vanni. — L'ACERBO: Fucci, duro, mordace. (SL) VERBO. Arios., XXX, 45: Non vuol più dell'accordo intender verbo. CENTAURO. En., VIII: Peclora semiferi. RABBIA. En., VIII: Furiis Caci mens effera. ACERBO. Nel XV dell' Inferno chiama i Neri lazzi sorbi; e di Capaneo: la pioggia non par che 'l maturi (Inf., XIV). Æn., IX: Acerba tuens. V: Sævire animis... acerbis. 7. (L) MAREMMA: padule. — LABBIA: viso; il di sotto avea di cavallo.

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Del grande armento ch'egli ebbe a vicino. 11. Onde cessår le sue opere biece

Sotto la mazza d'Ercole, che forse Gliene diè cento, e non sentì le diece. 12. Mentre che si parlava, ed ei trascorse: E tre spiriti venner sotto noi,

De' quai nè io nè 'l duca mio s'accorse, 13. Se non quando gridâr: Chi siete voi ? Per che nostra novella si ristette; E intendemmo pure ad essi poi. 44. I' non gli conoscea; ma e' seguette, Come suol seguitar per alcun caso, Che l'un nomare all'altro convenette,

Vulgus, et in vacua regnat Basiliscus karena. Altrove: Ducitis altum Aera cum pennis, armentaque tota secuti Rumpitis ingentes amplexi verbere tauros.

9. (L) SANGUE d'uomini da se uccisi.

(SL) CACO. Æn., VIII: Jam primum saxis suspensam hanc adspice rupem... Hic spelunca fuit...” Semihominis Caci facies quam dira tenebat, Solis inaccessam radiis, semperque recenti Code tepebat humus. - Sasso. Della preda di Caco, Virgilio: Saxo occultabat opaco (Æn., VIII). AVENTINO. Æn., VIII: Lustrat Aventini montem. Ov. Fast., I: Cacus, Aventinæ timor atque infamia silvæ. Ne parlano Ovidio ne' Fasti, e Boezio, letti da Dante. LACO. Ovidio, d' Aretusa in fonte: Quaque pedem movi, manat lacus (Met., V).

-

10. (L) Co' suo' FRATEI: co' Centauri nella bolgia de' tiranni. DEL GRANDE ARMENTO (d' Ercole): Caco ne rubò otto capi.

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(SL) FRATEI. Inf., XII. - Æn., VIII: Semihominis Caci. GRANDE. ED., VIII: Alcides aderat, taurosque hac victor agebat Ingentes; vallemque boves amnemque tenebant.

11. (L) BIECE: perverse. -CENTO percosse per l'ira. (SL) BIECE. Arios., XXIX, 12: Atto bieco (lo stupro). Biece nelle lettere di Guittone.MAZZA. Virgilio lo fa morire strozzato; Ovidio sotto la clava. Æn., VIII: Desuper Alcides telis premit; omniaque arma Advocat, et ramis vastisque molaribus instal... Rapit arma manu, nodisque gravatum Robur..... Corripit in nodum comple- DIECE. Reg. 1, XXVI, 8: Perfodiam cum lancea in terra semel, et secundo opus non erit. Tanto gliene diede, preso com'era dall'ira: Fervidus ira... Furens animis... Furiis exarserat atro... Felle dolor (Æn., VIII).

xus.

(F) BIECE. Bieco in Dante è contrario di giusto, poichè nella Monarchia definisce la giustizia: Rectitudo sive regula, obliquum hinc inde abiiciens. Som.: Obliquitas et deflectio animæ a lege Dei.

12. (L) SOTTO NOI: i due Poeti erano sull'argine.

(SL) TRASCORSE. Virgilio, di Caco. Fugit ilicet ocior Euro (En., VIII).

13. (L) GRIDAR a noi. - NOVELLA: discorso. - PURE: solo.

(SL) NOVELLA. È nel Boccaccio, come favellare da fabula. PURE. Erano Fiorentini di famiglie note: però Dante li guarda si attento.

14. (L) SEGUETTE: seguì.

CONVENETTE: convenne.

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15. Dicendo:

1

Cianfa dove fla rimaso? Per ch'io, acciocchè 'l duca stesse attento, Mi posi'l dito su dal mento al naso. 16. Se tu se' or, lettore, al creder lento Ciò ch'io dirò, non sarà maraviglia; Che io che 'l vidi, appena il mi consento. 17. Com' io tenea levate in lor le ciglia, E un serpente con sei piè si lancia Dinanzi all' uno, e tutto a lui s'appiglia. 18. Co' piè di mezzo gli avvinse la pancia, E con gli anterior le braccia prese; Poi gli addento e l'una e l'altra guancia. 19. Gli diretani alle cosce distese,

E misegli la coda tr'amendue, E dietro per le ren' su la ritese. 20. Ellera abbarbicata mai non fue Ad alber sì, come l'orribil fiera Per l'altrui membra avviticchiò le sue. 21. Poi s'appiccâr, come di calda cera

Fossero stati, e mischiâr lor colore: Né l'un nè l'altro già parea quel ch'era. 22. Come procede innanzi dall' ardore,

Per lo papiro suso, un color bruno,
Che non è nero ancora, e 'l bianco muore.

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17. (L) LEVATE: inarcate guardando giù. UNO: Agnolo Brunelleschi.

(SL) E. Modo virgiliano comune in Toscana. Georg., 1: Si brachia forte remisit, Atque illum in præceps prono rapit alveus amni.—LANCIA. Lucan., IX: Ecce procul sævus sterili se robore trunci Torsit, et immi sit (Jaculum vocat Africa) serpens; Perque caput Paulli transactaque tempora fugit. Nil ibi virus agit: rapuit cum vulnere fatum, — APPIGLIA. Æn., II: Corpora... serpens amplexus... Implicat.

18. (SL) ADDENTÒ. Æn., II: Miseros morsu depascitur artus. Tanto era grande da abbracciargli col morso entrambe le gote. Significa, dice il Biagioli, che i ladri si assaltano e guerreggiano tra loro. 19. (L) GLI piedi DIRETANI.

(SL) GLI. Ariosto: Gli deretan ginocchi. 20. (SL) ELLERA. Horat. Epod., XV, 5: Arctius atque hedera procera adstringitur ilex, Lentis adhærens brachiis. Arios. Nè così strettamente ellera preme Pianta ov'intorno abbarbicata s'abbia. ORRIBILE. Virgilio, di Proteo che si trasforma: Horribilem feram. - Fict... subito sus horridus... Squamosusque draco (Georg., IV). 22. (L) INNANZi dall'ardore: prima che arda.

(SL) PAPIRO. Crescenzio, VI, 93: Quell'erba bianca che si metteva per lucignolo in lampane ed in lucerne, ed era una specie di giunco spugnosa e porosa. S. Paulin. de nat. Fel., III: Lumina ceratis adolentur odora papyris. Anon. Come il papiro d'una candela: quello che dinanzi alla fiamma viene oscurando. MUORE,

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Le cosce con le gambe, il ventre el casso Divenner membra che non fur mai viste. 26. Ogni primaio aspetto ivi era casso:

Due e nessun l'immagine perversa Panca e tal sen gia con lento passo. 27. Come ' ramarro sotto la gran fersa Ne' di canicular' cangiando`siepe, Folgore par se la via attraversa; 28. Così parea, venendo verso l'epe

Degli altri due, un serpentello acceso, Livido e nero come gran di pepe. 29. E quella parte donde prima è preso

Nostro alimento, all'un di lor trafisse:
Poi cadde giuso, innanzi lui, disteso.
30. Lo trafitto il mirò; ma nulla disse:
Anzi, co' piè fermati, sbadigliava,
Pur come sonno o febbre l'assalisse.
31. Egli il serpente, e quei lui riguardava.

L'un per la piaga, e l'altro per la bocca
Fummavan forte; e 'l fummo s'incontrava.

Arist. Fis. Non in non album quodvis nigrum aut intermedium.

(F) MUORE. Arist. Fis., VIII: Album cum ortum est... cum interiit. Erit aut simul album et non album et ens omnino atque non ens simul esse necesse est. 23. (L) O ME: Oimè. AGNEL. Agnolo, Agnolello. (SL) COME. Ov. Met., IV: Cadme, quid hoc? ubi pes? ubi sunt humerique manusque? Et color, et facies, et, dum loquor, omnia? UNO. Lucan., VI: Nondum

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(SL) ACCESO. Armann,: A nuocere più accesi. 29. (L) QUELLA PARTE: bellico. UN DI LOR: Buoso degli Abbati.

-

(SL) TRAFISSE. Lucan., IX: Insolitasque videns parvo cum vulnere mortes. - At tibi, Leve miser, fixus præcordia pressit Niliaca serpente cruor.

(F) PRESO. Dottrina ch'era in Avicenna e in Egidio Romitano, della formazione del corpo dell' uomo. Tasso (IX, 68) e l'Ariosto.

30. (SL) SBADIGLIAVA. In Lucano (IX) è descritto un avvelenamento sonnifero di serpente.

31. (F) FUMMAVAN. Forse a indicare la caligine in che s'avvolgono i ladri. Lucan., IX: Tractique via fumante Chelydri.

32. Taccia Lucano omai là dove tocca
Del misero Sabello, e di Nasidio;
Ed attenda a udir quel ch'or si scocca;
33. Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio:

Che se quello 'n serpente e quella in fonte
Converte poetando, i' non lo invidio;

34. Chè duo nature mai a fronte a fronte
Non trasmutò si ch'amendue le forme
A cambiar lor materie fosser pronte.
35. Insieme si risposero a tai norme,

Che'l serpente la coda in forca fesse, E' feruto ristrinse insieme l'orme. 36. Le gambe con le cosce seco stesse S'appiccår si che 'n poco la giuntura Non facea segno alcun che si paresse. 37. Togliea la coda fessa la figura

Che si perdeva là: e la sua pelle
Si facea molle, e quella di là dura.

32. (L) SCOCCA : canta.

(SL) SABELLO. Lucan., IX: Miserique in crure Sabelli Seps stetit exiguus, quem fixo dente tenacem....... Parla dell'esercito di Catone ne' deserti di Libia ; quivi mori anche Nasidio. Sabello mori sfatto, Nasidio enfiato.

SCOCCA. Purg., XXV : L'arco del dir. Qui esprime la novità della cosa, che deve pungere con gli strali d' ammirazione. Par., II. - Arios., XXX, 69: Il pensiero ka differente Tutto da quel che fuor la lingua scocca.

33. (SL) CONVERTE. Del canto di Sileno, Virgilio: Tum Phaetontiadas musco circumdat amara Corticis, atque solo proceras erigit alnos (Buc., VI).

34. (L) FORME. Nel senso scolastico. L'uomo divien serpe, il serpe uomo.

(F) NATURE. Pietro di Dante: Non può naturalmente avvenire che la forma di un corpo si tramuti in altro corpo; chè altrimenti la qualità si convertirebbe in sostanza; il che Aristotele nega laddove dice, che sola la sostanza è suscettibile de' contrarii quanto a sè. Già s'intende che forma nel linguaggio scolastico non significa l'esteriore contorno e rilievo e apparenza de' corpi, ma l'intima sostanza che fa essere gli oggetti materiali e gli oggetti spirituali ciascheduno nella sua specie, quello appunto ch'egli è. Intende dunque il Poeta nelle trasformazioni cantate da altri, l' una forma, per esempio l'anima vivente dell'uomo, prende la materia d' animale o di pianta; ma qui la forma del serpente piglia il corpo dell' uomo, e a vicenda nell'atto stesso la forma dell'uomo piglia il corpo della serpe. Codesto baratto subitano, codesta confusione dalla quale riesce un distacco si nuovo, è il maraviglioso che vuolsi notare.

35. (L) RISPOSERO: corrisposero.ORME: piedi. (SL) RISPOSERO: Æn., I: Dictis respondent cetera matris. ORME. Æn., V: Vestigia primi Alba pedis. 36. (L) SI PARESSE: apparisse.

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(SL) GIUNTURA. Ov. Met., IV: Commissaque in unam Paullatim tereti sinuantur acumine crura. 37. (L) TOGLIEA LA CODA... LA FIGURA CHE SI PERDEVA LÀ: la coda prendea figura di gambe. SUA: dell'uomo. (SL) TOGLIEA. Æn., VI: Sumere formas. Lucan., IX: Pereunte figura. DURA. OV. Met., IV: Duratœque culi squamas increscere sentit. D' un'altra trasformazione in albero: In magnos brachia ramos; In parvos digiti; duratur cortice pellis (Met., X). - PERDEVA, OV, Met., XIII: Perdidit....... hominis... formam,

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38. I'vidi entrar le braccia per l'ascelle; E i duo piè della flera, ch'eran corti, Tanto allungar quanto accorciavan quelle. 39. Poscia li piè dirietro, insieme attorti,

Diventaron lo membro che l'uom cela: E' misero del suo n'avea duo pôrti. 40. Mentre che 'l fummo l'uno e l'altro vela Di color nuovo, e genera 1 pel suso Per l'una parte, e dall'altra il dipela;

44. L'un si levò, e l'altro cadde giuso;

Non torcendo però le lucerne empie, Sotto le quai ciascun cambiava muso. 42. Quel ch'era dritto, il trasse 'nvêr le tempie; E di troppa materia, che 'n là venne, Uscir l'orecchie delle gote scempie. 43. Ciò che non corse indietro e si ritenne, Di quel soverchio fe' naso alla faccia, E le labbra ingrossò quanto convenne. 44. Quel che giaceva, il muso innanzi caccia, E le orecchie ritira per la testa, Come face le corna la lumaccia. 45. E la lingua, che aveva unita e presta Prima a parlar, si fende; e la forcuta Nell'altro si richiude; e 'l fummo resta.

38. (L) BRACCIA all'uomo. - QUELLE: le braccia dell'uomo.

(SL) ACCORCIAVAN. In Ovidio (Met., V) è una trasformazione in lucertola con imagini simili, che per brevità non rechiamo.

39. (L) MISERO uomo. N' AVEA DUO: aveva due piedi di serpe.

40. (L) PER L'UNA PARTE al serpe fatt' uomo. DALL'ALTRA... DIPELA l' uomo già serpe.

(SL) COLOR. Il fumo, emanazione dell'una e dell'altra natura, då il colore del serpe all'uomo, dell'uomo al serpe. Ovid. Met., IV: Nigraque cœrulcis variari corpora guttis. D'altra trasformazione: Et maciem numorumque pedum, nigrumque colorem Pontre; et humanam membris inducere formam (Met., VII). 41. (L) LUCERNE occhi.

(SL) CADDE. Ovid. Met., IV: Ut serpens, in longam tenditur alvum... In pectusque cadit pronus. — LuCERNE. È nel Burchiello e nell'uso toscano. Matth., VI, 22: Lucerna del corpo tuo è l'occhio tuo. Gli occhi rimanevan ferini nel novell' uomo, umani nel serpe.

42. (L) TRASSE 'nvèr le tempIE: l'angolo faccial crebbe. GOTE prima SCEMPIE, senza orecchi.

48. (L) Ciò CHE NON CORSE INDIETRO... FE' NASO. La materia del muso di serpe che non va negli orecchi si fa naso umano.

44. (L) LUMACCIA: lumaca,

(SL) LUMACCIA. G. Villani.

45. (L) RESTA: cessa.

(SL) FENDE. Biforcute credevansi le lingue de' serpi. Ovid. Met., IV: Lingua repente In partes est fissa duas.

46. L'anima ch'era fiera divenuta,

Si fugge sufolando per la valle: E l'altro dietro a lui, parlando, sputa. 47. Poscia gli volse le novelle spalle;

E disse all'altro: - I' vo' che Buoso corra, Com'ho fatt' io, carpon per questo calle. 48. Cosi vid'io la settima zavorra

Mutare e trasmutare. E qui mi scusi La novità se fior la lingua abborra. 49. Ed avvegna che gli occhi miei confusi Fossero alquanto, e l'animo smagato; Non potêr quei fuggirsi tanto chiusi 50. Ch'io non scorgessi ben Puccio sciancato: Ed era quei che sol, de'tre compagni Che venner prima, non era mutato. 51. L'altro era quel che tu, Gaville, piagni.

46. (L) PARLANDO, SPUTA. Parlare e sputare, proprio dell' uomo.

(SL) FUGGE. Ovid. Met., IV: Junctoque volumine serpunt; Donec in adpositi nemoris subiere latebras. SUFOLANDO. Il fischio è de' ladri, dice Pietro. Ov. Met., IV: Quotiesque aliquos parat edere questus, Sibilat.” 47. (L) NOVELLE SPALLE. Prima era serpe. — ALTRO: Puccio sciancato. Buoso il novello serpente.

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(SL) NOVELLE. Armannino, de' golosi : D'ora in ora mutano loro forma: ora paiono porci, or lupi, or draghi, per divorare parati.

48. (L) ZAVORRA: rena; che per zavorra si mette anco rena. SE fior la lingua ABBORRA: se la lingua alcun poco erra; non è ferma, precisa al solito.

(SL) NOVITÀ. Nelle Rime: Cose ch’uom non può ritrarre Per loro altezza e per loro esser nove... E altrove: Udite il ragionar ch'è nel mio core; Ch'ï' nol so dire altrui, si mi par novo. — FIOR. Inf., XXXIV, t. 9: S'hai fior d'ingegno. - ABBORRA. L'usa Fazio. O: abborrisce i fiori del dire; o si stende (da borra, cosa soverchia e dappoco) più che non converrebbe. Inf., XXXI, t. 8: Nel maginare abborri. I Latini: A vero abhorrere. Conv., I: Lo latino molte cose manifesta concepute nella mente, che il volgare non fa.

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50. (E) Puccio De' Galigai. 51. (SL) L'ALTRO che ferì Buoso, e tornò uomo, Francesco Guercio o Guelfo Cavalcante, ucciso in Gaville, castello di Val d'Arno; il qual pianse non la sua morte, ma per la sua morte, da che per vendetta di lui molti furono uccisi di quegli abitanti. Tre de' fiorentini ladri appariscon da prima: Agnolo, Buoso, Puccio; Agnolo domanda ov'è Cianfa: Cianfa, in forma di serpe a sei piedi, viene e s'incorpora a lui. Buoso, assalito da un serpentello, ch'è Guercio Cavalcante, si trasforma in serpe; Guercio in uomo. Il solo che non muti, gli é Puccio.

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Caco, Ercole ed i serpenti.

Caco, centauro, è messo a punire non già con saette i tiranni, ma i ladri, appiccandoli con un drago ch'egli ha dalle spalle, tutte orride di serpenti. E questo perchè il ladro d'Ercole è dipinto da Virgilio come mostro violente insieme e frodolento: ne quid inausum Aut intentatum scelerisve dolive fuisset (1). Caco figliuolo di Vulcano, si difese da Ercole per alcun tempo, riempiendo la caverna di fiamme e di fumo: onde il drago che Dante gli mette dietro le spalle corrisponde al virgiliano atros ore vomens ignes (2) e all'imagine dell'elmo di Turno con la chimera: efflantem faucibus ignes: Tam magis illa fremens, et tristibus effera flammis, Quam magis effuso crudescunt sanguine pugnæ (3). Della Medusa del Vinci, il Vasari con potente parola: avvelenava con l'alito e faceva l'aria di fuoco (4).

Caco e Vanni Fucci, uom d'ire e di sangue, da' violenti il Poeta li caccia ne' ladri. Avrà forse trovato qualche prossimità tra il nemico de' Bianchi e il nemico di quell' Alcide che venne in Italia ospite al padre di Pallante, all'alleato di Enea, congiunto anch'esso ai destini dell' italico impero. Tanto più che Ovidio citato da un inedito trecentista, accenna come taluni de' seguaci di Ercole rimasero ad abitare dov'è oggi Roma, partendosi Ercole poich' ebbe morto Caco. Cosi Virgilio. Il Rossetti vede in Caco quel Giovanni fratello di Roberto re di Napoli, guelfo ardito che Cæsarem continuis contumeliis vexabat ad scopulum Aventini montis (cosi il Mussato); e mori alla battaglia di Montecatini.

Ma senza questo, Ercole che veniva d' Ispagna in Italia maximus ultor Tergemini nece Geryonis spoliisque superbus (5), vincitore cioè di quel mostro in cui Dante simboleggia la frode; Ercole che aveva combattuti i centauri (6); Ercole che aveva tentato il viaggio de' regni d'Inferno, che aveva spento il leone nemeo, altro simbolo politico del nostro Poeta al cui viaggio contrasta fra le altre fiere un leone; Ercole che in culla schiaccia i serpenti avventatigli da Giunone nemica; e

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che aveva per l'odio d'essa dea sostenuti duros mille labores Rege sub Eurystheo (1), doveva tanto più pensatamente esser qui rammentato, che Giunone essendo insieme nemica e a Troia e ad Ercole distruggitore di Troia, sarà parso a Dante d'esercitare anche in questa allusione quella sua certa equità politica, della quale egli dà saggi strani ma pur generosi. Non però che egli non potesse insieme col pensiero accennare a quel titolo che Virgilio ad Ercole dà di maximus ultor; e che consuona col fiero verso avventato a guisa di serpe contro il bestemmiatore Fucci: Da indi in qua mi fur le serpi amiche. Sempre severo agl'insultatori di Dio, e a tutti i rei di delitto religioso, il Poeta (2). Ed Ercole in Virgilio è concetto religioso insieme e civile: chè Evandro ad Enea fa notare, la sua festa non essere vana superstitio, veterumque ignara Deorum (3), ma riconoscimento di salvezza ottenuta da crudeli pericoli. E quel chiamare Ercole dio comune a'Troiani ed a' Greci, siccome piaceva a Virgilio, conciliatore delle due civiltà e per istudio e per istinto, doveva piacere in certi suoi rispetti anco a Dante: il quale poi nel vedere i sacerdoti d' Ercole venuti d'Arcadia in Italia pellibus in morem cincti (4), avrà vagheggiato in fantasia l'alto Bellincione cinto di cuoio e d'osso (5); ch'era una specie d'Arcadia politica sognata dal nostro Poeta.

I serpenti, non senza perchè, son dati tormento a'ladri. Cipriano: Inimicus cum latenter surripit fallens, occultis accessibus serpit. Come la serpe, così il ladro, dice l'anonimo, son nemici dell' uomo nascosti. E si trovano aver legate le mani e le braccia per averne fatto mal uso. Bene le serpi striscianti son pena del vile delitto. Così nella Genesi, il tentatore che di furto sedusse, è condannato a strisciarsi sul corpo proprio, e mangiare la polvere: cosi ne' Salmi (6): Inimici ejus terram lingent. In una visione pagana un tiranno è tagliato in Inferno a foggia di vipera (7). E come le serpi tra loro, così s'offendono ladri con ladri. E la rena feconda di serpenti e sterile d'ogni altra vita, rammenta non solo le gocciole che il verso di Lucano spreme dalla Gorgone a stilla a stilla, ma e quello di Geremia: Dabo Jerusalem in acervos arena, et cubilia draconum (8).

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