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Chè noi a pena, ei lieve, ed io sospinto, Potevam su montar di chiappa in chiappa. 42. E se non fosse che da quel precinto

Più che dall'altro era la costa corta, Non so di lui; ma io sarei ben vinto. 13. Ma perché Malebolge invêr la porta Del bassissimo pozzo tutta pende, Lo sito di ciascuna valle porta 44. Che l'una costa surge e l'altra scende. Noi pur venimmo alfine in su la punta, Onde l'ultima pietra si scoscende. 45. La lena m'era del polmon si munta,

Quando fui su, ch'i' non potea più oltre:
Anzi m'assisi nella prima giunta.

16.

Omai convien che tu così ti spoltre (Disse 'l maestro); chè seggendo in piuma, In fama non si vien, nè sotto coltre; 17. Senza la qual chi sua vita consuma, Cotal vestigio in terra di sè lascia, Qual fummo in aere od in acqua la schiuma. 18. E però leva su: vinci l'ambascia

Con l'animo, che vince ogni battaglia Se col suo grave corpo non s'accascia. 19. Più lunga scala convien che si saglia. Non basta da costoro esser partito: Se tu m'intendi, or fa şi che ti vaglia. 20. Levámi allor, mostrandomi fornito Meglio di lena ch'i'non mi sentia; E dissi: - Va; ch'i'son forte e ardito. 21. Su per lo scoglio prendemmo la via, Ch'era ronchioso, stretto, e malagevole, Ed erto più assai che quel di pria. 22. Parlando andava per non parer fievole: Onde una voce uscio dell'altro fosso, A parole formar disconvenevole.

(F) CONSIGLIO. Som.: S'oppone alla precipitazione il consiglio (Del consiglio che precede l'elezione, 1, 2, 14).

9. (L) CHE ADOPERA ED ISTIMA: che opera insieme e ragiona. PROVEGGIA a quel che dee seguire.

(SL) PROVEGGIA. Novellino, VII: Salomone si provvide di.... ordinare sì lo reame. Simile in G. Villani. (F) ISTIMA. Altrove stimativa per facoltà di raziocinare. Sap., VIII, 8: De futuris æstimat. AVVISAVA: notava. TI REGGIA: non ceda.

10. (L) RONCHIONE: masso. SCHEGGIA: rupe.

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(SL) CONSUMA. Semint.: Consumarono il dì.

(F) FUMMO OS., XIII, 3: Erunt quasi nubes matutina... et sicul fumus de fumario. En., V: Fugit, ceu fumus, in auras. Psal. CXLHI, 4: Dies ejus sicut umbra prætereunt. Psal. CI, 4: Defecerunt sicut fumus dies mei. SCHIUMA. Os., X, 7: Transire fecit Samaria regem suum quasi spumam super faciem aquæ. Sap., II., 3: Transibit vita nostra tamquam vestigium nubis, et sicut nebula dissolvetur. - V, 15: Tamquam spuma gracilis, quæ a procella dispergitur: el tamquam fumus, qui a vento diffusus est. 18. (L) LEVA: Lévati.

(SL) LEVA. Medit. sopra l'Alb. della Croce: Leva su...ANIMO. Qui per forza di cuore, alla latina. Purg., XVI, t. 26. — BATTAGLIA. Cavalca: Battaglia dell'anima.

(F) ACCASCIA. Horat. Sat., II, 2: Corpus onustum Hesternis vitiis, animum quoque prægravat una, Alque affigit humo divinæ particulam auræ. Epist., 1, 6: Defixis oculis, animoque et corpore torpet. Æn., VI: Tarda... corpora. - Igneus est ollis vigor, et cœlestis origo Seminibus quantum non noxia corpora tardant, Terrenique hebetant artus, moribundaque membra. Sap., IX, 15: Il corpo che si corrompe aggrava l'anima. 19. (L) PIÙ LUNGA SCALA per veder Beatrice. STORO: dannati.

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(F) COSTORO. Non basta, dice l'Anonimo, lasciare il male, convien giungere al bene. Il Poeta esce a stento da' barattieri; a stento dagl' ipocriti: l' allusione è chiara.

20. (L) LEVAMI: mi levai.

(SL) FORTE. Parole dettegli da Virgilio nel Can

to XVII.
21. (L) RONCHIOSO tutto massi.

(SL) ERTO. Lo scarico delle pietre rotolate dal tremuoto da via men dura che l'argine, tutto scoglio. 22. (L) FIEVOLE : abbattuto.

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(SL) Vivi. Inf., XXIX, t. 18: Fu la mia vista più viva. — Fa. Dante, Canz.: Faccia, che gli occhi d'e`sta donna miri,

25. (L) Dall'altro cingh:o: l'argine tra l'ottava e la settima bolgia, più basso, di dove si vedrà meglio.

(SL) MURO. Il ponte si leva più alto dell' argine; onde per andare dal ponte all' argine si scende e la scesa dal ponte all'argine non deve essere tanto corta; se, non vedendo nulla dal ponte, dall' argine la bolgia gli si fa manifesta.

(F) ODO. Dan., XII, 8: Audivi, et non intellexi. 26. (SL) RENDO. En., VI: Huic responsum..... reddidit.

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(SL) STIPA. Lucan., IX: Quem serpentum turba tenebat, Vix capiente loco. - Stipare in Virgilio più volte per circondare con moltitudine fitta, MENA. Nel senso del virgiliano agmen, che esprime il dimenar de' serpenti: Agmine certo Laocoonta petunt (Æn., II).

29. (SL) VANT:. Georg., 1: Nullo tantum se Mysia cultu Juctal. - LIBIA. Ov. Met., IV: Libycas... arenas. Lucan., VI Libyci... cerastæ. Virgilio (Georg., III), Lucano (Phars., III), ed altri. — CHelidri. Lucan., IX: Huc Libycæ mortes... tractique via fumante Chelydri: Et semper recto lapsurus limite Cenchris... Et gravis in geminum surgens caput Amphisbæna... Jaculique volucres, Et contentus iter cauda sulcare Pareas. Georg., II: Nigris... Chelydris. Il chelidro, anfibio; il iaculo si Jancia dagli alberi contro l' uomo ; il cencro, di vario colore; l'anfesibena credevasi avere un altro capo là dove gli altri hanno la coda; il farea va ritto, con sola la coda strisciando il suolo.

30. Nè tante pestilenzie, nè si ree

Mostró giammai, con tutta l'Etiopia, Nè con ciò che di sopra 'l mar Rosso ée. 31. Tra questa cruda e tristissima copia Correvan genti nude e spaventate, Senza sperar pertugio o elitropia. 32. Con serpi le man dietro avean legate: Quelle ficcavan per le ren' la coda E' capo; ed eran dinanzi aggroppate. 33. Ed ecco ad un ch'era da nostra proda, S'avventò un serpente, che 'I trafisse Là dove 'l collo alle spalle s'annoda. 34. Nè O si tosto mai nè I si scrisse, Com'ei s'accese e arse e cener tutto Convenne che cascando divenisse. 35. E poi che fu a terra si distrutto,

La cener si raccolse, e per sè stessa In quel medesmo ritornò di butto. 36. Così per li gran savii si confessa

Che la Fenice muore e poi rinasce,
Quando al cinquecentesimo anno appressa.

30. (L) ÉE, in Egitto.

(SL) PESTILENZIE. Lucan., IX: Sed majora parant Libyce spectacula pestes. Virgilio, d' una serpe: Pestis acerba boum (Georg., III). Fior. s. Franc. Pestilenze (d'animali dannosi). Ciò. En., I: Quidquid ubique est Gentis Dardaniæ. - V: Quidquid tecum invalidum, metuens quepericli est. Giambull. Tutto ciò che viveva nella città. Questo di Dante sovranamente imitato dall' Ariosto: Quanto Velenoso erra per la calda sabbia.

31. (L) PERTUGIO, ove salvarsi, come ladri. ELITROPIA, che li renda invisibili,

(SL) [ELITROPIA. Solino, c. XXVII, e Boccaccio, Decam., Gior. VIII, Nov. 3.]

(F) ELITROPIA. Pietra, dice Pietro, verde, rossa o persa, che bagnata nel sugo della cicoria quam dicimus mirasolem, rende invisibile chi la porta. Era credenza comune a que' tempi. E ognun sa la novella di Calandrino. Jer., VIII, 17: Ecce ego mittam vobis serpentes regulos, quibus non est incantatio; et mordebunt vos, ait Dominus.

32. (SL) LEGATE. En., II: Spirisque ligant ingen-· tibus. DINANZI. En., II: Bis medium amplexi. — AcGROPPATE. Æn., II: Tendit divellere nodos.

33. (L) NOSTRA PRODA: parte dell' argine ov' eravam noi. LA DOVE'L COLLO ALLE SPALLE S'ANNODA: alla collottola.

(SL) TRAFISSE. Lucan., IX: Aulum, Torta capul retro Dipsas calcata momordit. COLLO: Lucan., IX: Colubriferi rumpens confinia colli. 34. (SL) ACCESE. Lucan., IX: Ecce subit virus tacitum, carpitque medullas Ignis edax, calidaque incendit viscera tabe, — ARSE. Lucan., IX: Ardentem... virum. (F) CENER. Pena condegna alla loro viltà. Quanto tormentosa debb' essere questa dissoluzione frequente, per accorgersene basta pensare alla morte. 35. (L) Di BUTTO: subito.

(SL) SE. Virgilio, di Proteo, dopo trasformatosi in serpe e in altro: In sese redit, atque hominis tandem ore locutus (Georg., IV). 36. (L) PER : da.

CONFESSA: insegna, professa. (SL) SAVU. Cresc., II, 48: Gli antichi savii. Conv., 1, 8: Li savii dicono che... CONFESSA. Modo de' tre

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centisti e dei Latini; e nel Concilio di Trento, per affermare, Synodus fatetur et sentit. — FENICE. Ovid. Met., XV: Una est, quæ reparet, seque ipsa reseminet, alcs. Assyrii Phonica vocant: non fruge, nec herbis, Sed thuris lacrimis, et succo vivit amomi. Hæc ubi quinque suæ complevit sæcula vitæ, Ilicis in ramis, tremulæve cacumine palmæ, Unguibus et pando nidum sibi construit ore. Quo simul ac casias, et nardi lenis aristas, Quassaque cum fulva substravit cinnama myrrha; Se super imponit: finitque in odoribus ævum. Inde ferunt, totidem qui vivere debeat annos, Corpore de patrio parvum Phœnica renasci.

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(F) OPPILAZION. Nel ventricolo del cervello, dice l'Anonimo. Rinserramento delle vie degli spiriti vitali, o per opera diabolica, come negli ossessi; o naturalmente, come negli apoplettici, epilettici e simili. — DEMON. Dell'operazione de' demoni ne' sortilegi (Orig.) Lega. Frase solenne trattandosi di magia o d'altra forza straordinaria. Aug., Doct. Christ. Som.: La ragione è legata o da passione violenta o da perturbazione corporale.

39. (SL) ANGOSCIA. Vita Nuova: Si grande angoscia

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45. Poi disse: — Più mi duol che tu m'hai côlto Nella miseria dove tu mi vedi,

Che quand' io fui dell'altra vita tolto. 46. I'non posso negar quel che tu chiedi. In giù son messo tanto, perch'i' fui Ladro alla sagrestia de' belli arredi: 47. E falsamente già fu apposto altrui.

Ma perchè di tal vista tu non godi, Se mai sarai di fuor de' luoghi bui, 48. Apri gli orecchi al mio annunzio, e odi. Pistoia in pria di Neri si dimagra;

Poi Firenze rinova genti e modi.

43. (L) Mucci: fugga.

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PINSE: spinse.

(SL) Mucci. Vive in alcune parti di Toscana. Albert., 1, 40: Mucciar la contenzione. PINSE. ED., VI: Ne quære doceri Quam pœnam, aut quæ forma viros fortunave mersit. SANGUE. Psal. CXXXVIII, 48: Viri sanguinum. Eccl., XXXIV, 25: Homo sanguinis. Reg., II, XVI, 7: Vir sanguinum et vir Belial, Dante stupisce trovarlo fra' ladri: credeva fosse tra gl' iracondi o tra' violenti. [Psal. V, 6: Il Signore abbomina l'uomo di sangue e di frode.]

44. (SL) DRIZZò. Æn., XI: Convertêre animos acres oculosque tulere.

(F) TRISTA. C'è la vergogna Che fa l'uom di perdon talvolta degno (Purg., V). Eccl., V, 17: Super furem... est confusio, et pænitentia Som.: Vergogna è timore di atto turpe. - S. Ambrogio (Trad. di Bart. da S. Conc.): Bella virtù è vergogna e soave grazia. Hor. Epist., I, 46: Stultorum incurata pudor malus ulcera celat. Som.: Più si vergognano gli uomini del furto che della rapina. 45. (SL) COLTO. Ottimo: Il furto... ch' elli fece alla sagrestia de' belli arnesi di Mess. S. Jacopo di Pistoia, il quale ha più belli arnesi d'oro e d'argento e di pietre preziose, che uomo sappia, in calici, fornimenti, ornamenti nobili e di grandissimo valore... E quello furto... falsamente fu apposto a tali, che non v' avevano colpa; e questo fu per la potenza de' Cancellieri, de' quali costui era. L'innocente imputato era Vanni della Nona, che mori sul patibolo. Fucci era di parte Nera. Il Ciampi dimostra che il Fucci tentò il furto, ma nol potè con

sumare.

(F) MISERIA. Girol. Le eterne miserie. 47. (SL) LUOGHI. Æn., VI: Loca turbida. 48. (L) DIMAGRA spopola. RINOVA per gli esilii. MODI: Costumi e reggimenti a occasione de' Neri usciti di Pistoia.

(SL) ANNUNZIO. Nella Somma pronunziare era voce usata per vaticinare. DIMAGRA. Vill., VIII, 44: Gli abitanti sono come il succo della vita civile. Un Cancellieri, ricco mercante di Pistoia, ebbe due mogli, e l'una chiamata Bianca, i figli di lei furono Bianchi, Neri quelli dell' altra. Ne nacquero varie famiglie, si nimicarono, e straziarono la città. Coll'esilio portarono questa peste in Firenze, dov' erano potenti i Cerchi Donati, guelfi e questi e quelli:i Donati tennero da'Neri; i Cerchi da' Bianchi; onde i Guelfi fiorentini divisi in due sette. Nel maggio del 1500 i Bianchi da Pistoia, aiutati da que' di Firenze, cacciano di Pistoia i Neri; nel

49. Tragge Marte vapor di Val di Magra;

Ch'è di torbidi nuvoli involuto;

E con tempesta impetuosa ed agra

novembre i Bianchi di Firenze son cacciati da' Neri. Nel detto anno il Marchese Moroello Malaspina usci di Val di Magra a capitanare i Neri di Pistoia, e ruppe i Bianchi in Campo Piceno; onde i Bianchi di Firenze anch'eglino debilitati n'andarono in bando; e Dante con loro. Questo è Moroello figliuol di Manfredi, che nel 1510 giurò co' Fiorentini ubbidienza a Clemente: diverso da quello che nel 1311 andò ambasciatore d'Arrigo in Brescia. Questo amico d'Arrigo era il quarto Moroello a cui Dante voleva intitolare il suo Purgatorio. Il vapore di Val di Magra combatteva nel 1313 per Lucca contro Pistoia. Questo Moroello era marito di Alagia de' Fieschi (Purg., XIX), e Marchese di Giovagallo. Nel 1300 entrò in Firenze con Corso Donati, quando furono saccheggiate le case de' Bianchi, e quella di Dante distrutta. 49. (L) MARTE. Caso retto. - VAPOR: Moroello.

(SL) VAPOR. Nella Cronaca di s. Gallo rammentasi al venire di Carlo una nuvola da cui ferri lampeggiavano. Forse Dante così lo chiama perchè, dice il Villani, apparve a quel tempo una meteora annunziatrice di pubblici guai (VII, 42). Moroello, figliuolo di Manfredi, nato di Corrado I nel 1260, capitano de' Lucchesi contro Pistoia tra il 1304 e il 1306, mori nel 1315. VAL. Georg., I. Illum (imbrem) surgentem vallibus

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50. (L) Et: il vapore.

FERUTO: ferito.

(SL) PICEN. Benv.: Campo presso Pistoia nel quale fu rotto già Catilina, e ora dicesi ci sia un castello. Vill., VIII, 82. - SPEZZERÀ. Æn., IX: Torquet aquosam hyemem el cœlo cava nubila rumpit. Plutarco (Apopht.): Non v'ho io detto che quella nuvola della montagna ci manderà da ultimo pioggia? · NEBBIA. Æn., X: Nubem belli, dum detonet, omnem Sustinet. - XII: It toto turbida cælo Tempestas telorum, ac ferreus ingruit imber. Filicaja: Di Val d' Ebro attrasse Marte Vapor che si fer nuvoli e s' apriro, E piovver d'ogni parte Aspra tempesta sull'austriache genti.

51. (L) TEN DEBBIA: ne debba a te.

(SL) DOLER. Dante a quel tempo era guelfo; no poteva conoscere il vero senso del vaticinio di Vanni; il qual già prevede che il Poeta sarà un giorno de' Bianchi, e si dorrà della loro sconfitta.

Il furto.

Il furto che e occullo offende meno della rapina che è violenta (1), perchè la rapina offende più direttamente la volontà dell'uomo, e perchè oltre che nelle cose, ella può fare ingiuria nella persona (2). Ma quantunque e la rapina e l'omicidio (3) sieno in sè più gravi del furto, Dante colloca i ladri più sotto de' violenti e degli omicidi, perchè quello è vizio vile e la frode è a lui più rea della forza; e perchè non tutti i ladri intendonsi messi in questa bolgia, ma i sacrileghi (4), come il Fucci; e coloro che sciolsero i vincoli dell'umana civiltà, come Caco nemico d'Ercole uno de' padri della civiltà greco-italica; e coloro che, essendo in alto grado, con l'esempio di colpa si turpe, contaminarono la città, come esso Fucci e i Fiorentini di poi nominati.

La questione del furto si collega a quella oggidi tanto agitata e agitante della proprietà delle

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cose materiali, la quale la legge mosaica praticamente sciolse in modo mirabile, e la legge evangelica può sciorre in modo più mirabile ancora; e i Padri della Chiesa la dichiararono con l'usata rettitudine e acume. Ambrogio (1): Proprium nemo dicat quod est commune. Tommaso (2): Quanto all'uso de' beni esteriori non deve l'uomo averli come proprii ma come comuni, cioè facilmente comunicarli all'altrui necessità. Il ricco non opererebbe illecilamente se preoccupando la possessione di cosa che da principio era comune, la comunica ad altri. Ma pecca se indiscretamente allontani altrui dall'uso d'essa cosa. E Basilio (3): Siccome chi va primo a spettacolo mal farebbe a impedire altri che vengano, appropriando a sè l'ordinato a comune uso; cosi sono i ricchi i quali le cose comuni che preoccuparono, stimano essere proprie. Ambrogio (4): Non è meno colpa togliere a chi ha, che, potendo e abbondando, negare a chi n'ha di bisogno. Plusquam sufficeret sumptui, violenter obtentum est (5).

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Tommaso, venendo al noto fatto degli Israeliti in Egitto, lo dichiara così: Furto non fa che i figliuoli d'Israello si presero le spoglie degli Egizii secondo il precetto del Signore, per le afflizioni con che gli Egizii gli avevano senza cagione afflitti. La proprietà non è di jus naturale, ma di positivo. Il furto è detto non essere grande colpa per la necessità che v'induce, la quale diminuisce o totalmente toglie la colpa; onde Prov., VI, 30: Perchè egli ruba ut esurientem impleat animam. Nella necessità tutte le cose sono comuni: e però non pare che sia peccato se alcuno prenda cosa altrui fatta ad esso comune per causa della necessità. Tommaso con logico ardimento soggiunge: In casi di simile necessità può l'uomo eziandio occultamente prendere cosa altrui per sovvenire al fratello indigente (1).

Ma la ragione suprema che interdice il furto, è da Tommaso segnata così: Se tutti gli uomini si rubassero l'un l'altro, perirebbe l'umana società. Anzi, eccedendo apparentemente in rigore quanto prima pareva eccedere in indulgenza, sem

(1) E però Dante stesso (Par., XIII): Non creda monna Berta e ser Martino, Per vedere un furare, altro offerere, Vederli dentro al consiglio divino; Chè quel può surgere, e quel può cadere.

pre però rimanendo nei limiti della rettitudine, aggiunge: Se il ladro nel rubare anco minime cose ha animo di portar nocumento, può essere colpa mortale, come può essere pur nel consentire in pensiero. Onde deducesi che l'intenzione del nuocere può rendere reo di furto e di peccato maggiore di furti molti anco colui che richiede il suo o lo ritiene, ma con cuore a' fratelli nemico; con

cuore nero.

Perchè fur, dice Isidoro (1), da furvus, o piuttosto le due voci hanno entrambe comune origine dall'idea d'oscurità, che ad ogni furto e materiale e morale è accomodata. Ogni occultazione è una specie di furto, anche la frode e il dolo (2). E però Dante che usa fuio per oscuro (3), chiama fuia l'anima rea (4), come nera (5), e fuia la chiama nel cerchio de' violenti contro le persone e le cose, così come il diavolo messo a caccia de' barattieri è paragonato al mastino che corre a seguitar lo furo (6): e delle fiamme che vestono gl'insidiatori e consiglieri fraudolenti è detto che nessuna mostra il furto, Ed ogni fiamma un peccatore invola (7); ed appunto tra i barattieri e i consiglieri rei stanno i ladri.

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