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46. Le lagrime che col bollor disserra A Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo, Che fecero alle strade tanta guerra.

46. (SL) CORNETO. Assassino alla spiaggia di Roma. PAZZO. De' Pazzi di Valdarno, famiglia nominata anco nel XXXII dell'Inferno. D'accordo con Federico II e'ru

47. Poi si rivolse e ripassossi 'l guazzo.

bava i prelati di Roma circa il 1228, ond' ebbe scomunica, e contro lui e' suoi furon date leggi in Firenze. (F) Pazzo. Da Attila a Sesto, tiranni; da Sesto a Rinieri, predatori.

47. (L) RIPASSOssi: Riempitivo il si.

I Tiranni.

Non paia strano che nell' entrare alla pena de' violenti il Poeta esclami: Oh cieca cupidigia, oh ira folle ! L'Apostolo chiama radice di tutti i mali la cupidità, cioè la volontà naturale disordinata di cosa qualsiasi: però c'entra l'ira violenta e rapace si degli omicidi, si de' ladroni di strada, e si de' governanti non giusti. Stazio (1): Cœcumque cupidine regni. Orazio: Fervet avaritia miseroque cupidine pectus (2).

Dice Aristotile (3) meno turpe l'incontinenza dell'ira che della concupiscenza. Ira, dice Tommaso (4), è meno di concupiscenza, e con quella ricchezza che fa maravigliosa la sua parsimonia, lo prova con quattro argomenti: perchè nell'ira è un principio di ragione, dove nella concupiscenza soverchiano i sensi; perchè nell'ira può più la subita forza del temperamento, il quale trasmetlesi anco per la generazione, onde più spesso da iracondi nascono iracondi, che da incontinenti incontinenti; perchè l'ira si sfoga apertamente, la concupiscenza ama tenebre e frodi: perchè in questa è diletto, in quella il male stesso è accompagnato da pena. Ma d'altra parte l'ira, nota Tommaso (5), è più grave in quanto fa al prossimo maggior nocumento.

L'ira incontinente è fuor di Dite; l'ira bestiale de' tiranni, dentro. Il Minotauro, bestia e figlio di re, figura l'ira e la rapina tirannica, la quale si nutre di carne umana e di giovane sangue.

La rapacità si contiene sotto la violenza, della quale è una specie (6). La cupidigia muove i tiranni a rapina, l'ira a dare la morte. Ne' Centauri figura, dice il Boccaccio, gli uomini dell'arme, co' quali i tiranni tengono le signorie contro a' piaceri de' popoli. Virgilio li pone alle porte d'Inferno, a posare (7): stabulant. Meglio

metterli in caccia. I violenti in Ezechiele (1) son detti cacciatori, e nella Genesi Nemrod. E i Centauri in Inferno saettano i tiranni come fossero flere selvagge; il che rammenta la storia di Nabucco.

Della rapina e privata e pubblica, così la Somma (2): La rapina è violenza e costringimento per cui togliesi contro giustizia ad altri quel che è suo. Chi per violenza toglie cosa altrui, se è persona privata opera illecitamente e commelte rapina, siccome apparisce ne' ladroni; ai principi poi la podestà pubblica commettesi per questo che sieno della giustizia custodi, e però non è lecito ad essi usare violenza e costringimento se non secondo il tenore di giustizia, e ciò contro i nemici con la guerra o contro i cittadini rei con la pena. Se poi contro giustizia essi prendono violentemente le altrui cose, commettono rapina e sono alla restituzione tenuti. E quanto alle prede di guerra, è da distinguere che se s'ha guerra giusta, le cose con forza acquistate in guerra diventano di chi le prende; e questa non è rapina; sebbene si possa anche in guerra giusta peccare con l'intenzione per cupidigia di preda; cioè, se non per la giustizia principalmente combattesi, ma per la preda (3). E quanto a' principi, se eglino da' sudditi esigono quel che è ad essi dovuto secondo giustizia per conservare il comun bene, anco se violenza s'adoperi, non è rapina. Ma se indebitamente per violenza estorcano, gli è rapina siccome il latrocinio, onde dice Agostino (4): Remota justitia, quid sunt regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna? Ed Ezechiele (5): Principes ejus in medio illius quasi lupi rapientes prædam. Onde sono tenuti alla restituzione siccome i ladroni, e tanto più gravemente peccano

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de' ladroni, quanto più pericolosamente e più comunemente contro la giustizia pubblica fanno: della quale son posti a custodi.

Tyranni maxime violentias subditis inferunt (1); e Aristotile (2): I tiranni che guastano la città e rubano le cose sacre non chiamiamo semplicemente illiberali, cioè avari. Il motto di Geremia (3): prædo gentium corrisponde al titolo che dà Lucano al Macedone di felix prædo (4); e forse ad ambedue i passi avrà Dante avuta la mira. L'Ottimo a questo luogo: È da notare come la tirannica signoria è pestilenziosa e malvagia... Intende il tiranno solamente il suo bene proprio di che elli è male di tutto il rimanente. Item è iracondo acciocche li sudditi per forza non sperino in alcuna sua tranquillitade... Ed è senza ragione rubesto e fiero... e questo perocchè non si fida: elli crede che ciascuno procuri il suo distruggimento. Ed è salvatico, che mai colli suoi cittadini non usa, nè ha con loro dimestichezza o familiarilade; e questo perchè nol conoscano, e perchè nol trovino lascivo e abile alli loro voleri... Toglie le forze d'ogni singolare persona, perchè non li possano rubellare; vive con gente strana e di mala condizione, li quali per la loro crudeltade tengono sotto paura tutto il popolo... E però che li tiranni hanno tali

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condizioni nel mondo, si li accompagna là con quelli centauri animali mostruosi.

Tommaso (1): Tyrannorum dominum diuturnum esse non potest cum sit multitudini odiosum: che rammenta quello dell' VIII del Paradiso: Se mala signoria che sempre accora Li popoli suggetti. Ma quella sentenza è per terrore ed ammaestramento de' popoli temperata dall'altra (2): Tyranni sunt instrumentum divinæ justitiæ ad puniendum delicta hominum.

Due volte, a quel ch'io rammento, ha Dante la voce tirannia (3), due volte la voce tiranno, laddove dice che Romagna non è, e non fu mai Senza guerra ne' cuor de' suoi tiranni (4), e che le terre d'Italia tutte piene Son di tiranni (5): egli che tante volte pronunzia con riverenza i nomi di re e imperatore, e che da Tommaso apprendeva a distinguere re da tiranno. Regnum non est propter regem, sed rex propter regnum, quia ad hoc Deus providit eis, ut regnum regant et gubernent, et unumquemque in suo jure conservent: et hic est finis regiminis, quod si aliud faciunt in seipsos commodum retorquendo, non sunt reges, sed tyranni (6).

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CANTO XIII.

Argomento.

Nel secondo girone de' violenti penano i suicidi, trasformati in aspri tronchi sensibili, come il corpo di Polidoro in Virgilio. Le Arpie li divorano, come in Virgilio l'avoltoio divora il cuore di Tizio. Ele Arpie da Virgilio son poste sulla soglia d'Inferno. Il Poeta trova Pier delle Vigne, secretario di Federigo II. Poi rincontrano anime nude inseguite da cagne nere che vanno per lacerarle, e sono i prodighi che disperati si uccisero o si lasciaron morire, prodighi bestiali, non che incontinenti.

Canto pieno di vita e di varietà, perchè storico la miglior parte.

Nota le terzine 1, 2, 5, 8, 9, 12, 14, 15, 19, 22; 24 alla 27; 31; 33 alla 48.

1.

Non era ancor di là Nesso arrivato, Quando noi ci mettemmo per un bosco Che da nessun sentiero era segnato. 2. Non frondi verdi, ma di color fosco; Non rami schietti, ma nodosi e 'nvolti; Non pomi v'eran, ma stecchi con tosco. 3. Non han si aspri sterpi, nè si folti,

Quelle flere selvagge che 'n odio hanno, Tra Cecina e Corneto, i luoghi colti. 4. Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno,

Che cacciâr delle Strofade i Troiani Con tristo annunzio di futuro danno. 5. Ale hanno late, e colli e visi umani,

Piẻ con artigli, e pennuto 'l gran ventre.
Fanno lamenti in su gli alberi strani.

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(SL) MENTRE. Inf., XVII: Mentre che torni. Ha senso anche di fino a che, come il dum de' Latini. Pandolf.: Starà con voi, mentrecchè non l'abbandonerete. 7. (L) TORRIEn fede al mio sERMONE: non le crederesti a me.

(SL) TORRIEN. Petr.: Sospiri Che acquistan fede alla penosa vita. FEDE. Æn., III: Dictu video mirabile monstrum... Eloquar, an sileam?

(F) TORRIEN. I suicidi sono incarcerati in un tronco, perché avendo gittata via la spoglia mortale, non meritano riaverla. Chi si priva della vita sensitiva, avrà solo la vegetante.

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11. (SL) PORSI. Æn., III: Accessi, viridemque ab humo convellere silvam Conatus. SCHIANTE? Æn., III: Gemitus lacrimabilis imo Auditur tumulo, et vox reddita fertur ad aures: Quid miserum, Enea, laceras ? 12. (L) SCERPI: laceri.

(SL) BRUNO. Æn., III: Nam, quæ prima solo ruptis radicibus arbos Vellitur, huic atro liquuntur sanguine gullæ, Et terram tabo maculant. — SPIRTO. BOCC.: Se in lui fia spirito di pietà alcuno.

13. (SL) UOMINI. Æn., III: Haud cruor hic de stipite manat. PIA. Æn., III: Parce pias scelerare maSERPI. Luc., III, 7: Genimina viperarum. 14. (L) GEME umore.

nus.

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(F) COME. Accenna a un passo di Aristotile (Meteor.).

15. (L) SCHEGGIA: ramo rotto.

(SL) SCHEGGIA. Æn., III: Ater et alterius scquitur de cortice sanguis. COME. Modo che rammenta il virgiliano: Similis tenenti... imploranti... laboranti (Æn., XII, VII; Georg., III), e l'oraziano: Similis metuenti (Sat., II, 5). TEME. Æn., III : Mihi frigidus horror membra quatit.

16. (L) PUR: sol. RIMA: parola.

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17. Non averebbe in te la man distesa; Ma la cosa incredibile mi fece Indurlo ad ovra ch'a me stesso pesa. 18. Ma dilli chi tu fosti; sì che 'n vece D'alcuna ammenda, tua fama rinfreschi Nel mondo su, dove tornar gli lece. 19. El tronco: Si col dolce dir m'adeschi, Ch'i' non posso tacere. E voi non gravi Perch' io un poco a ragionar m'inveschi. 20. Io son colui che tenni ambo le chiavi Del cuor di Federigo, e che le volsi, Serrando e disserrando, sì soavi,

21. Che dal segreto suo quasi ogni uom tolsi.
Fede portai al glorioso ufizio,
Tanto, ch' io ne perdei lo sonno e i polsi.
22. La meretrice che mai dall'ospizio

Di Cesare non torse gli occhi putti,
Morte comune, e delle corti vizio,

17. (L) OVRA : opera.

(SL) AVEREBBE. È nel Sacchetti.

18. (L) AMMENDA del dolore a te fatto. RINFRESCHI: rinnovi in bene. GLI LECE: può.

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19. (L) VOI NON GRAVI PERCII': a voi non sia grave che. 20. (L) TENNI AMBO LE CHIAVI DEL CUOR: l' aprivo al volere e al disvolere. SOAVI: dolcemente.

(SL) CHIAVI. Petr.: Del mio cor, donna, l'una e l'altra chiave Avete in mano. Par., XI: A cui, com' alla morte, La porta del piacer nessun disserra. - SOAVI. Inf., XIX: Soavemente spose il carco. Ott.: Per la virtù... e massimamente per lo suo bello dittare... fu tanto eccellente consigliere appo lo imperadore Federigo, che per suo operamento e consiglio solo, quasi tutte le cose ch'erano per lo impero si governavano.

21. (L) DAL SEGRETO SUO QUASI OGNI UOM TOLSI: Solo ebbi i suoi secreti. — LO SONNO E I POLSI: prima la pace, poi la vita.

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(SL) POLSI. Dante, Rime: Che fa da' polsi l'anima partire.

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CESARE: impera

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(SL) COMUNE. Æn., II: Troja et patriæ communis Erinnys.

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(F) MERETRICE. Sen., Phoen.: Simul ista mundi PUTTI. conditor posuit Deus, Odium atque regnum. Add. Aug. Conf., IV: Meretrices cupiditates. Conv.: La bocca meretrice di questi adulteri. Questo aiuta a spiegare lo strupo del VII dell' Inferno. L' invidia diabolica, cagione de' nostri mali, è stupro tentato contro Dio. MORTE. L'invidia, meretrice e morte comune, nel I dell' Inferno move dagli abissi la lupa (avarizia), la quale impedisce ed uccide. Accusarono Pier delle Vigne i cortigiani dell'avere tradito il secreto alla Chiesa di Roma. Ott. Per lo consiglio di costui l'imperadore ebbe sospetto Enrico suo primogenito, il quale elli avea fatto re della Magna, e temendo che non tradisse la corona, il mandò preso in Puglia, nel qual luogo il detto Enrico... alla sua vita impose fine, onde lo imperadore molto addolorò, siccome elli mostra in quella che comincia: «Misericordia pii patris...» E credesi che per questo trovasse cagione sopra il detto Piero, che elli medesimo a istanza del papa avesse falta una lettera contro a quella che lo imperadore avea fatta alli principi cristiani...

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(SL) INFIAMMÒ. Mach., II, XIV, 11: Adversus Judam, inflammaverunt Demetrium. ANIMI. Dino: Accese gli animi di tutti contra ... INFIAMMAR. L'accusarono oltracciò d'avarizia e d'ambizione: onde Federigo lo fece acciecare e chiudere in carcere, dove nel 1249 s'uccise dando del capo nel muro. Del resto, se vere non erano quelle accuse, era ben vero che Pietro avea condotto Federigo a infierire contro Enrico suo figlio, e carcerandolo condurlo al suicidio; onde il padre prestò facil credenza alle cortigiane calunnie. Di Piero son le lettere scritte in nome di Federigo; abbiamo suoi versi italiani, mediocri, citati da Dante; abbiamo un'invettiva contro il papa in rima latina. Era di Capua. Nè a lui è da imputare il libro: De tribus impostoribus. — Lieti. En., V: Lætum... honorem. TORNARO. In una canzone siciliana citata da Dante: Vostro orgogliare dunque e vostra altezza... tornino in bassezza. Vit. ss. Padri : Il pianto di Giuliana fu tornato in grande letizia.

(F) TRISTI. Pare aggiunto superfluo a lutti; ma significa forse la morale tristizia del dolore. E anche il severo Aquinate: Malum est causa tristitia et luctus.

24. (L) PER DISDEGNOSO GUSTO, CREDENDO... Per l'amaro piacere che ispira la soddisfazione di fiero disdegno, credendo liberarmi dal peso dell'ira, fui ingiusto contro me che ero pure innocente dell' appostemi colpe.

(SL) Disdegnoso. Hor., Epod., XVIII : Fastidiosa tristis ægrimonia. MORIR. OV. Met., VII: Animam laqueo claudunt; mortisque timorem Morte fugant. — GIUSTO. Æn., VI: Sibi letum Insonles peperere manu. Giusto in questo senso nella Bibbia e in Virgilio.

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(SL) LEGNO. Giura per la nuova veste, come per la propria sua vita. Æn., IX: Per caput hoc juro. ONOR. Pure il Poeta lo caccia tra gl' increduli nelle fiamme. Federigo era degno d'onore come amico delle lettere, com' uomo di valore e di senno, e Ghibellino ardente; ma Dante doveva dannare l'empietà di lui, e le corrispondenze col nemico di tutta Europa, il Soldano. Cæsar amor legum, di lui gli uomini del suo tempo. E nel Convivio lo chiama l'ultimo imperatore de' Romani perchè tali non gli parevano nè Ridolfo, nè Adolfo, nè Alberto e Arrigo VII non era ancora. Lo loda poi come loico e cherico grande.

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(SL) ORA. Modo antico de' Greci. Armannino: In que' fuochi stanno per grande ora. Æn., VI: Flendo ducimus horas.

28. (F) SODDISFACCIA. Som.: Inquisivit ut per Christum satisfieret discipulis.

29. (L) Uom: non ombra. LIBERAMENTE: Con liberal volontà.

(SL) Uoм. Inf., I: Od ombra od uomo. LIBERAMENTE. Georg., 1: Tellus Omnia liberius, nullo poscente, ferebat. Novell., XIX: Della grande libertà e cortesia del re giovane.

30. (L) NOCCHI: piante nodose.-SPIEGA: sviluppa. (SL) SPIEGA. Nel senso del latino explicare. Georg., II: Frondes explicat.

(F) LEGA. Conv. II, 5: L'anima è legata e incarcerata per gli organi del... corpo. Lucan., VI: Exanimes artus, invisaque claustra timentem Carceris antiqui. 31. (L) FORTE: fortemente.

(SL) BREVEMENTE. Delle proprie sventure s'invesca a ragionare; del supplizio, breve. 32. (L) FEROCE in sè. --SETTIMA FOCE, ch'è questa. (SL) FEROCE En., VI: Lucemque perosi Projecere animas.- FOCE. En., VI: Faucibus orci. Fauces Averni. Ogni cerchio è come bocca che inghiotte e divora, dirà nel XXXI dell' Inferno.

33. (SL) BALESTRA. Nardi: La balestra era arme usata da' soldati meno apprezzati. GERMOGLIA. En., III: Telorum seges, et jaculis increvit acutis. La spelta mette di molti germogli. [ L'âme retombe dans un autre corps et y prend racine comme une plante dans la terre où elle a été semee. Plat., Phédon; Trad. di Cousin.]

(F) CADE. Ezech., XXIX, 5: Sulla faccia della terra cadrai: non sarai raccolta, nè raccattata; alle bestic della terra e ai volanti del cielo diediti a divorare. SCELTA. Gittaron la vita quasi a caso; a caso germogliano nella pena.

34. (L) PASCENDO sẻ. FANNO DOLORE, E AL DOLOR FINESTRA straziano, e di li esce parole e sangue.

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(SL) SURGE. Georg., II: Sponte sua quæ se tollunt... fortia surgunt. VERMENA. ED., III: Cornea virgulta. SILVESTRA. En., III: Hic confixum ferrea texit Telorum scges, et jaculis increvit acutis. — FINESTRA, Virgilio, di porta scassinata (Æn., II): Ingentem lato dedit ore

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