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più nobile città del mondo. Bocc.: Firenze tra le altre città italiane più nobile.

(F) LOQUELA. Nel Convivio parla del naturale amore della propria loquela: Il nostro volgare, il quale naturalmente e accidentalmente amo e ho amato. Matth., XXVI, 73: Loquela tua manifestum te facit. Il Boccaccio, nella Vita di Dante, dice il poema scritto in fiorentino idioma: e nella Volgare Eloquenza Dante dice essere più nobile la lingua parlata: Quam, sine omni regula, nutricem imitantes accipimus: più nobile perchè prima ad usarsi, e perchè tutti l'usano, e perchè naturale. Adunque la nobile sua loquela lo dimostrava nativo di nobile patria. MOLESTO. Marc., XIV, 6: Quid illi molesti estis? Nella rotta dei Guelfi, che ne morirono diecimila. E dice forse per non s'incolpare affatto; e in quel forse è riposto il dubbio pensiero di Dante circa l'opportunità delle guerre civili (Vill., VI, 75).

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10. (SL) TEMENDO. Il Guelfo teme un suon ghibellino. E il ghibellino Farinata, che a Dante ancor guelfo parla contro i Guelfi crudeli, è scena di profonda bellezza.

(F) Uscio. Is., XXIX, 3, 4: Jaciam contra te aggerem, et munimenta ponam in obsidionem tuam. Humiliaberis, de terra loqueris, et de humo audietur eloquium tuum; et erit quasi pythonis de terra vox tua, et de humo eloquium tuum mussitabit. Æn., III: Gemitus lacrymabilis imo Auditur tumulo, et vox reddita fertur ad aures.

11. (SL) FARINATA. Non credeva l'immortalità: voluttuoso, intemperante nel vitto.—CINTOLA. Vite ss. Padri: Si scoprisse dalla cintola in su.

12. (L) Viso: occhi. DISPITTO: dispetto.

tus.

(SL) FITTO. Æn., XII: Figitque in virgine vulDISPITTO L'usa il Petrarca (Son. 81), e l'Ariosto (XXX); e dispetto in senso di dispregio in G. Villani. Somiglia al Mezenzio di Virgilio (Æn., X): Manet imperterritus ille, Hostem magnanimum opperiens, et mole sua stat. Il Tasso, di Dante: Quando introduce qualcuno a parlare, gli fa fare quei gesti che sono suoi proprii.

(F) ERGEA. Arist. Eth., IV: Il magnanimo ama in ogni cosa essere manifesto: più sotto Farinata è detto magnanimo, che è l'aggiunto degli eroi in Virgilio (Georg., IV; Æn., VI).

13. (L) PINSER: spinsero. CONTE: chiare e nobili. (SL) ANIMOSE. Georg., III: Animosum pectus. (F) CONTE. A contemporanei parla Dante, agli antichi Virgilio. (V. i Canti III, V, VI, XII, XIV, XV, XVI, XVII, XVIII, XIX, XXI. Nel XIII e nel XXII, non così.)

15. lo ch'era d' ubbidir disideroso,

Non gliel celai, ma tutto gliele apersi: Ond' ei levò le ciglia un poco in soso; 16. Poi disse: Fieramente furo avversi

17.

--

A me, e a' miei primi, e a mia parte: Si che per duo fiate gli dispersi.

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S'ei fur cacciati, e' tornår d'ogni parte (Risposi lui) l'una e l'altra fiata; Ma i vostri non appreser ben quell'arte. 18. Allor surse alla vista scoperchiata

Un'ombra, lungo questa, infino al mento: Credo che s'era inginocchion levata. 19. D'intorno mi guardò, come talento Avesse di veder s'altri era meco;

Ma poi che il sospecciar fu tutto spento, 20. Piangendo disse: Se per questo cieco Carcere vai per altezza, d' ingegno, Mio figlio ov'è? e perchè non è teco? 21. Ed io a lui: Da me stesso non vegno. Colui ch'attende là, per qui mi mena, Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.

15. (L) Soso: su:

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(SL) ARTE. Cacciati a pasqua del 1267 al venir di Guidoguerra mandatovi da Carlo d'Angiò, nessuno ne tornò per allora; ma taluni nel febbraio del 68, per intercessione del Legato apostolico (Vill.). Lo sdegno di Farinata move Dante, malgrado la riverenza, ad acerba risposta. Forse voll' egli rimproverare ai compagni d'esilio, che non sapessero riacquistare la patria.

18. (L) VISTA SCOPERCHIATA: finestra, apertura.

(SL) VISTA. Purg., X: Ad una vista D'un gran palazzo. Così finestra dal verbo greco che vale apparire. ·MENTO. Farinata, come più forte, sovrasta. 19. (L) TALENTO: voglia. SOSPECCIAR: sospetto. Poi che vide ch'io ero solo con Virgilio..

(SL) TALENTO. Novellino: Aveva talento di dor

mire. 20. (SL) PIANGENDO. Dante quasi dimentica il padre dell' amico suo per pensare alle parole dell' eroe ghibellino. CIECO. Æn., VI: Carcere cœco. Semint. Ciechi tetti - cieca via. Caro: Cieche strade. Qui l'allegoria traspare. Ott.: Amendue studiarono in Firenze, amendue amarono per amore.... amendue seguitaronò un volere in governare la repubblica di Firenze. FIGLIO. Guido, amico di Dante (Pelli, p. 80, 84). Il Boccaccio, di Guido: Alquanto tenea della opinione degli epicurei. Ma forse confuse il padre col figlio. Vill., VIII, 44 (del figlio): Virtudioso uomo in molte cose, se non che era troppo tenero e stizzoso. Ov'E? Rammenta il divino: Hector ubi est? (En., III.)

-

21. (F) FORSE. Guido non curò l'eleganza dello stile

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e lo studio degli antichi così come Dante, e cel prova la canzone: Donna mi prega... guazzabuglio peggio che prosaico; ma in alcune ballate il dire è di tutta freschezza (Vita Nuova). Non mai però l'arte e lo studio sono quanto in Dante profondi. Allegoricamente intendendo: la filosofia naturale e politica di Virgilio era religiosa insieme e ghibellina; Guido non così religioso e guelfo : ma in cuore aveva i semi del gbibellinesimo come li aveva già Dante nel 1300: però dice forse, e fu nemico a Corso Donati, e tentò un giorno d' ucciderlo..... Parecchi Cavalcanti furono poi confinati con Dante (Dino).

22. (L) LE SUE PAROLE E'L MODO DELLA PENA. Dalla pena lo seppe incredulo, e dalle parole, padre e uom d'alto ingegno. — LETTO: detto.

(SL) LETTO. Leggere in questo senso usa Arrighetto, e o val dico.

23. (L) DRIZZATO. Era ginocchioni. LOME lume di vita.

FIERE: ferisce.

(SL) Viv': Æn., III: Vivisne? aut si lux alma recessit... - FERE. Lucret., I, II, III, VI. Tela diei. LOME per lume, come addotto per addutto. Altri antichi l'usano fuori di rima.

(F) DOLCE. Æn., VI: Cœli jucundum lumen. Eccles., XI, 7: Dolce lume è e dilettevole agli occhi vedere il sole. Non gli basta dire: viv'egli ? Insiste sulla dolcezza della vita, il tormentato, il padre. In Virgilio, Hlioneo Quem si fata virum servant, si vescitur aura Etherea, neque adhuc crudelibus occubat umbris (En., I). Che è men bello, perchè meno passionato che nella bocca del padre.

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(SL) MAGNANIMO. Capaneo, la cui figura somiglia questa di Farinata. Stazio lo dice magnanimo. — MUTò En., VI: Nec magis incœpto vultum sermone movetur, Quam si dura silex aut slet Marpesia cautes. Non fece mossa nè col capo nè col corpo, tutto il tempo ch'io discorsi con l'altro. Queste pitture dipingono Dante ancor meglio che Farinata. Del suo attendere immobile in un pensiero parla il Boccaccio. 26. (L) EGLI: essi. di foco. (SL) DETTO. V. sopra, terzina 17. sto motto scolpisce l'uomo ed il secolo.

LETTO

ARTE di tornare.

LETTO. Que

27. Ma non cinquanta volte fia raccesa

1

La faccia della donna che qui regge, Che tu saprai quanto quell'arte pesa. 28. Deh, se tu mai nel dolce mondo regge, Dimmi: perchè quel popolo è si empio Incontr' a' miei in ciascuna sua legge? 29. Ond' io a lui: Lo strazio e 'l grande scempio Che fece l'Arbia colorata in rosso, Tale orazion fa far nel nostro tempio. 30. Poi ch'ebbe sospirando il capo scosso: - A ciò non fu' io sol, disse, nè certo Senza cagion sarei con gli altri mosso. 31. Ma fu'io sol, colà dove sofferto

32.

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DONNA CHE... REGGE: Pro

27. (L) VOLTE: mesi. · serpina ch'è lume in cielo. Qui in Inferno. ARTE di tornare. -PESA: è difficile e dura.

(SL) RACCESA. Georg., I: Accendit lumina vesper. — DONNA. En., VI: Dominam Ditis. SAPRAI. Le pratiche del Cardinale Albertini, mandato nel maggio del 1304 da Benedetto X per far rientrare in Firenze gli usciti,

tornarono vane.

28. (L) SE.... MAI: così. REGGE: rieda, torni. EMPIO spietato. A' MIEI: agli Uberti.

(SL) SE. Modo frequente in Dante per conciliare favore al discorso. Buc., IX: Sic tua Cyrneas fugiant examina taxos... Incipe. - REGGE. Come veggia da veda. – ExPIO. Buc., I: Impius... miles. Hor. Carm., III, 24: Impias cædes; ma qui ancora più proprio, dacché le leggi dell'odio erano portate in un tempio. MIEI. Da tutti i perdoni concessi a' Ghibellini, gli Uberti erano esclusi (Vill.). Piena d'affetto è questa domanda della crudeltà di Firenze contro il sangue suo.

29. (SL) ARBIA. Fiume presso Montaperti nel Senese, dove fu data la battaglia, dopo la quale i Guelfi fiorentini andarono fuorusciti alla lor volta co' Guelfi di Pistoja e di Prato. Gli Uberti sottoposero la città al re Manfredi, finché, vincitore l' Angioino, andarono in bando. [Machiav., Ist. Fior., lib. II.] Rosso. L'Ariosto, quasi sempre più languido: Per farle far l'erbe di sangue rosse. — ORAZION: Le deliberazioni pubbliche facevansi allora in chiesa (Benvenuto da Imola e il Machiavelli). Dino: Tennono consiglio nella chiesa di San Giovanni.

30. (L) A ciò a combattere Firenze. sarei.

SAREI: mi

(SL) CAGION. Esule, perseguitato. Scuse che Dante prepara a sé stesso. ALTRI. Vill., VI: I conti Guidi e i Senesi e i Pisani, e anco gli Uberti. 31. (L) PER: da.

che...

TORRE VIA: distruggere.

(SL) PER CIASCUN. Compagni: Per tutti si disse - TORRE. Volevano trapiantare altrove la città. Farinata, più generoso di Camillo, dissuase. 32. (L) SE... MAI: così. RIPOSI in patria. - SEMENZA: discendenza. NODO: difficoltà. SENTENZA: opinione.

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(SL) VOSTRA. Per riverenza al forte Ghibellino usa il roi, come all'avolo Cacciaguida (Par., XVI). —SENTENZA. Alla latina. En., V: Quæ nunc animo sententia constet. Hor. Ep., 1, 1: Mea cum pugnat sententia secum.

33. E' par che voi veggiate, se ben odo,

34.

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Dinanzi, quel che il tempo seco adduce;
E nel presente tenete altro modo.

Noi veggiam, come quei ch'ha mala luce, Le cose (disse) che ne son lontano: Cotanto ancor ne splende il sommo Duce. 35. Quando s'appressano, o son, tutto è vano Nostro intelletto; e, s'altri non ci apporta, Nulla sapem di vostro stato umano. 36. Però comprender puoi che tutta morta Fia nostra conoscenza da quel punto Che del futuro fia chiusa la porta. 37. Allor, come di mia colpa compunto,

Dissi: Or direte dunque a quel caduto, Che 'l suo nato è co' vivi ancor congiunto. 38. E s' io fu' dianzi alla risposta muto,

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34. (L) LUCE: vista. -NE: ci. IL SOMMO DUCE: Dio. (SL) LUCE. Petr.: A guisa d'orbo senza luce. Vive in qualche dialetto, DUCE. Che mena dritto... per ogni calle (Inf., I).

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35. (L) APPORTA novella. SAPEX: sappiamo.

(SL) APPORTA: Afferre i Latini. Cic., pro Cæl., 21; Liv., VII, 39, in questo senso. En., IV: Fama furenti Detulit armari classem.

(F) INTELLETTO. Som. Nessuna potenza conoscitiva rimane nell'anima separata, se non l'intelletto. 36. (L) DA QUEL PUNTO, che DEL FUTURO FIA CHIUSA LA PORTA dopo il giudizio non c'è più tempo, ma eternità. (SL) CHIUSA. Æn., VI: Aperitque futura.

37. (L) DI MIA COLPA: d' aver tenuto in ambascia il cuore del padre. NATO: figlio.

(F) CONGIUNTO. Anime separate era il modo delle

scuole. 38. (L) I: gli. presente.

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41. Indi s'ascose. Ed io inver l'antico Poeta volsi i passi, ripensando

43.

A quel parlar che mi parea nemico. 42. Egli si mosse: e poi, così andando, Mi disse: Perchè se' tu si smarrito ? Ed io gli soddisfeci al suo dimando. La mente tua conservi quel ch'udito Hai contra te (mi comandò quel saggio). Ed ora attendi qui. E drizzò 'l dito Quando sarai dinanzi al dolce raggio Di quella il cui bell'occhio tutto vede, Da lei saprai di tua vita il viaggio. 45. Appresso volse a man sinistra il piede. Lasciammo il muro, e gimmo invêr lo mezzo Per un sentier ch' ad una valle fiede, 46. Che 'nfin lassù facea spiacer suo lezzo.

44.

nicato nel 1250, mori senza pacificarsi alla Chiesa. Conv.: Federico fu laico e chierico grande. L'Ott.: Soppe latino e greco e saracinesco: fu largo, savio, operò d'arme; fu lussurioso, soddomita e epicureo; fece a ciascuna caporale cittade di Sicilia e di Puglia un forte e ricco castello. Di lui nel XIII dell' Inferno. CARDINALE. Ottaviano Ubaldini, il quale ebbe a dire: Se anima è, io l'ho perduta pe' Ghibellini. Chiamato per antonomasia il Cardinale (G. Villani).

(F) MILLE. Inf., IX: Molto Più che non credi son le tombe carche. Molti dunque erano al suo tempo gl'increduli. Tanto più notabile in Dante l'amore di libertà tanto ardita con fede si schietta. Prova di nobile ingegno. 41. (L) L'ANTICO POETA: Virgilio. · PARLAR di Farinata: saprai quanto quest'arte pesa. 43. (L) ATTENDI : bada.

(F) CONSERVI. Prov., VI, 20: Conserva, figliuol mio, i precetti del padre tuo. Dan., VII, 28: Conservai in cuor mio le parole. Apoc., XXII, 7: Beato chi conserva le parole di profezia di questo libro. DITO. Per eccitar l'attenzione, e per additare ov'è Beatrice. Atto simile nel VII e nel XXIII del Purgatorio. Som. Il dito significa discrezione.

44. (L) DI QUELLA IL CUI BELL' OCCHIO TUTTO VEDE: Beatrice.

(SL) SARAI. Par., XVII.

(F) Occmo. Purg., VI: Che lume fia tra'l vero e lo 'ntelletto. Conv.: Gli occhi di questa donna sono le sue dimostrazioni, le quali dritte negli occhi dell' intelletto innamorano l'anima. Virgilio tutto sa umanamente; Beatrice tutto vede di scienza religiosa. 45. (L) APPRESSO : poi. FIEDE: ferisce, finisce.

dium.

(SL) Mezzo. Æn., VI: Còrripiunt spatium me

46. (SL) LASSů. A paragon dell'abisso, erano tuttavia molt' in alto. Joel, II, 20; Ascenderà la sua putredine, perchè superbamente operò. LEZZO. En, VI: Loca senta situ. Fauces graveolentis Averni.

Antiveggenza delle anime de' trapassati. Macchina del Poema.

Il Foscolo loda Dante, come d'un suo trovato, del fare che le anime veggano il futuro lontano, e del presente non sappiano; acciocchè sia così fatta al Poeta comodità di raccontare ad esse la storia di certe cose, e di certe altre sentirsela raccontare da loro. Il trovato sarebbe ingegnosetto, e proprio da dramma o da romanzo moderno; ma trovato non è; e come altrove, qui Dante attinge alla gran sorgente delle tradizioni, ch'è la vera fonte de' veri poeti. I quali più che inventare, trovano; e non nelle nuvole, ma edificano sul fondamento fermo delle credenze de' tempi. Non sarebbero a Dante mancati altri spedienti molti e più semplici a cantare e il presente e il futuro, come voci e apparizioni di spiriti celesti, o digressioni, e impeti lirici suoi (delle quali cose il poema abbonda) se lo spediente notato non gli si fosse offerto dall'opinione de'Padri intorno alla conoscenza delle anime separate, opinione fondata non solo in alcune parole della Bibbia, ma e nella filosofia dominante.

Insegna Tommaso che l'anima separata conserva la scienza acquistala (1); vede e i demonii e gli angeli, come il ricco crudele vede dai tormenti la gloria del povero già spregiato (2). Ma se degli angeli ha cognizione imperfetta, dell'altre anime l'ha più piena. La sostanza separata dal corpo intenderà quel che è sopra e sotto di lei al modo che porta la natura sua propria; intenderà non volgendosi ai fantasmi, ma alle cose che sono intelligibili in se; onde intenderà sè per sè stessa. Gli angeli hanno perfetta e propria cognizione delle cose; e le anime separate, confusa: onde gli angeli conoscono anche i singolari sotto le specie contenuti; ma quelle anime non possono conoscere per via d'esse specie se non que' singolari soltanto ai quali sono in certo modo determinate, o per precedente cognizione, o per alcuna affezione, o per naturali abitudini, o per divina ordinazione : dacchè ogni cosa ricevula in altra ci sta al modo. che porta la natura del soggetto ricevente.

Dottrina dell'antica filosofia raffermata e illustrata in nuovo modo e più ampio da Antonio Rosmini, alla quale invano s'oppose taluno con leggerissima loquacità, si è che l'intelletto per natura sua vede gli universali, e quindi per opera

(1) Som., 1, 2, 89: e gli altri passi della Somma son tutti di questa medesima Questione. —(2) Luc., XVI, 23.

zione seconda i singolari: e di qui Tommaso deduce che l'intelletto, separato dagli organi corporali, conosce per ispecial modo alcuni singolari, ma non tutti, neppur quelli che sono al presente. E reca quel di Giobbe: Sive nobiles fuerint filii ejus, sive ignobiles, non intelliget (4). E dichiara cosi: L'anima separata conosce i singolari per questo, ch'è determinata a quella conoscenza per il vestigio d'alcuna precedente cognizione o affezione, o per ordinazione divina. Or le anime de' morti segregate dalla conversazione de' viventi e congiunte a quella delle sostanze spirituali separate da' corpi, ignorano quel che si fa tra di noi (2). E siccome le cose corporee e le incorporee sono diverse di genere, cosi sono meno distinte di cognizione (3). Quanto all'anime de' beati, Gregorio afferma che nel lume divino esse veggono le cose del mondo; Agostino par che ne dubiti là dove dell'amata sua madre dice: S'ella vedesse il dolor mio, non può che non venisse a consolarmi in visione. Ma codesto, ben nota Tommaso, è detto in forma dubitativa, e potrebbe soggiungere che è voce di troppo umano dolore, sfuggita all'uomo non ancora maturo nella meditazione e nell'esercizio delle cristiane cose, e di spiriti pagani imbevuto. E non è questo il solo passo dove Agostino poteva parere men che maturo a' Cristiani cosi fortemente severi com'era Girolamo, e meritarsi parole di querela sdegnosa, alle quali egli, giovane tuttavia, mal rispose con affettata e quasi schernevole riverenza.

Segue Tommaso: Le anime de' morti possono avere cura delle cose de viventi anco che ignorino il loro stato, come noi abbiamo de' morti ancorche il loro stato ignoriamo. E posson anco conoscere i fatti de' viventi, non di per sè, ma per le anime di coloro che di qui vanno ad esse. Agostino: Fatendum est nescire mortuos quid agatur, dum agitur, sed postea verum audire ab eis qui hinc ad eos moriendo pergunt. O per gli angeli, o pe'demonii, o che lo spirito di Dio lo riveli. Ecco dunque la prima parte della supposta invenzione di Dante, cioè l'opportunità del narrare egli vivo a' morti le cose del mondo, fondata

(4) Job, XIV, 24. — (2) Qui cita Greg., Mor., II. (5) Aug., de cura pro mort., XIII: Animo mortuorum rebus viventium non intersunt. Ibi sunt ubi ca quæ hic funt scire non possunt.

nella tradizione de' tempi. Quanto al preconoscere esse anime il futuro, sebbene nell' Ecclesiaste sia detto: Sed nec eorum quidem, quæ poslea futura sunt, erit recordatio apud eos, qui futuri sunt in novissimo (1); e sebbene Tommaso anch'egli affermi che l'anima separata non conosce le cose future, le quali, non essendo enti in atto, non sono in sè conoscibili, perchè quel che manca d'entità manca di conoscibilità; nondimeno egli stesso concede che esse conoscono l'avvenire in parte nelle cagioni di quello, e dietro agl'indizii delle cose passate, la cui memoria non è spenta in essi. E possiamo aggiungere, che l'intelletto, sgombro dal peso de' sensi, siccome Dante dice dell'anima dormente (2), raccogliendo in sè più chiaramente il passato, ne deduce, meglio che gli uomini non possono, l'avvenire. Forse avrà Dante di ciò avute agli occhi altre autorità che a noi non ricorrono (per esempio i Bollandisti, 4-1050: Diabolus licet totius caput obtineat mendacii, multa tamen, conjiciendo de his præcipue quæ frequenter evenerunt, prænoscit), ed avrà forse pensato che la ignoranza del presente ai

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dannati era pena; ai purganti diminuzione di pena; e così l'antiveggenza del futuro a quelli maggiore tormento (4) pe' mali che leggevano in esso cagionati da' proprii peccati e dagli altrui; a questi cagione di pentimento, ed insieme anticipazione di quel soddisfacimento che le anime rette provano nel vedere adempito come che sia l'ordine della giustizia infallibile. A sostegno di questa, che non è mera invenzione, viene anco la comune opinione de' Padri (2), che il demonio innanzi l'avvenimento di Cristo lo prevedesse, e nato lui non lo sapesse riconoscere come vindice della schiava umanità: pensiero, lasciando stare gli argomenti teologici, di filosofica sapienza, che accenna ad una generalissima legge, cioè, gli spiriti erranti conoscere sempre tanto della verità quanto basta o ad illuminarli o a punirli, e l'ignoranza di alcuna parte d'esse verità esser loro data in pena dell'averla disconosciuta e oppugnata.

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