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40. Tosto che 'l duca ed io nel legno fui, Segando se ne va l'antica prora Dell'acqua più che non suol con altrui. 11. Mentre noi correvam la morta gora, Dinanzi mi si fece un, pien di fango, E disse Chi se' tu che vieni anzi ora?— 12. Ed io a lui: S'i' vegno, non rimango. Ma tu chi se', che si se' fatto brutto? Rispose: Vedi, che son un che piango. 13. Ed io a lui: O Con piangere e con lutto, Spirito maladetto, ti rimani :

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Ch'i' ti conosco, ancor sie lordo tutto. 14. Allora stese al legno ambe le mani; Per che'l maestro accorto lo sospinse Dicendo: Via costà con gli altri cani. 15. Lo collo poi con le braccia mi cinse, Baciommi'l volto, e disse: Alma sdegnosa, Benedetta colei che 'n te s'incinse! 16. Que' fu al mondo persona orgogliosa: Bontà non è, che sua memoria fregi; Cosi s'è l'ombra sua qui furiosa.

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(SL) ANCOR. S'usava anco in prosa. L'omissione del che è amata dal popolo minuto vivente toscano. 14. (L) AMBE LE MANI per ribaltarlo. - PER CHE: onde. (SL) AMBE. Era (dice il Boccaccio) uomo grande e nerboruto e forte.

(F) VIA. Prov., XXII, 24, 25: Non camminare con l'uomo furioso; non forse tu impari le vie sue. CANI. De' cani la rabbia impotente. Purg., XIV: Botoli... Ringhiosi più che non chiede lor possa. I Ghibellini in Firenze chiamavano i popolani cani del popolo. Basil.: Gl' iracondi infuriano a guisa di cani.

15. (SL) COLLO. En., II: Collo dare brachia circum. SDEGNOSA. Ha qui nobil senso che non degna il male. BENEDETTA. Rammenta s. Luca (XI, 27): Beato il ventre che ti portò. 'N TE. Tuttora in Toscana: essere nel primo, nel terzo figliuolo.

16. (L) Que': Quegli. S'. Riempitivo.

(F) FURIOSA. Basil. Molti divennero padroni di coloro dai quali erano stati offesi; ma per essersi vilmente portati, niun nome di sè lasciarono a'discendenti. Solo coloro che seppero affrenare lo sdegno, la memoria loro all' immortalità consacrarono.

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(F) BRAGO: Hor. Ep., 1,2: Vixisset canis immundus vel amica luto sus. Prov. X, 7: La memoria del giusto con lodi, e il nome degli empi infradicerà. Is., XXVIII, 3: Da' piedi sarà conculcata la corona della superbia. Job, XX, 6, 7: Superbia... quasi sterquilínium in fine perdetur. Ecclesiastic., X, 21: Dissipò Dio la memoria de'superbi. Sophon., I, 12: Fitti nelle loro fecce. Pietro di Dante cita qui l'altro biblico: Reg., II, XXII, 43: Quasi mota delle piazze li calpesterò. LASCIANDO. Ecclesiastic., XXIII, 36: Lascerà memoria in maledizione. Baruch, III, 19: All'inferno discesero e altri sorsero in luogo loro.

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BIZZARRO: iracondo.

(SL) ARGENTI. Bocc. Un cavaliere chiamato M. Filippo Argenti, uomo sdegnoso, iraeoodo e bizzarro più che altro. Post. Cod. Caet.: Ricco e forte, che fece il suo destricro ferrare d'argento. Ottimo: Di grande vita e di grande burbanza, e di molta spesa, e di poca virtude e valore. - BIZZARRO. Il Boccaccio, di lui: Bizzarra, spiacevole e ritrosa. Arios., XVIII: Pien d' ira e bizzarro. Bizza in Toscana vive tuttavia. - VOLGEA. Æn., VII. Vertere morsus... in... Bocc.: M. Filippo... era rimasc feramente turbato, e tutto in sè medesimo si rodea. 22. (L) DUOLO: grido dolente. SBARRO: apro.

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24. (L) MESCITE: moschee. - CERNO: Scerno.

(SL) MESCHITE per moschee (Tasso, II). Sigoli: Chiese de' Saracini che si chiamano moschette. Meschite s' usava anco in prosa. Meschite le chiama, come se le moschee fosser cosa diabolica; e così Sinagoga dicesi per luogo di confusione o di trame. Æn., XII: Duri sacraria Ditis. — GERNO. È in Armannino. En., VI: Cyclopum educta caminis Mœnia conspicio. VERMIGLIE. En., VI: Respicit Encas subito, et sub rupe sinistra Mania lata videt, triplici circumdata muro; Quæ rapidus flammis ambit torrentibus amnis Tartarcus Phlegethon.

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25. (F) Froco. Som., 3, 97; 6, 98; 1, 5, 6. Cypr.: Globus ignium arctatus obstruitur, et in varios pœnæ eritus relaxatur.

26. (L) PUR: alfine.

(SL) GIUGNEMMO. Æn., VI: Tandem trans fluvium incolumes vatemque virumque Informi limo glaucaque exponit in ulva, ALTE. Georg., IV: Altæ... paludi. MURA. Æn., VI: Monia lata videt triplici circumdala muro. FERRO. En., VI: Porta adversa, ingens, solidoque adamante columnæ... ferrea turris, Jer., XI, 4: Fornace ferrea. FOSSE. Gentile sconcordanza. Novellino, XXI: Una gragnuola che parea cappelli d'acciaio.

27. (L) 'L NOCCHIER FORTE: Flegiás. 28. (L) SENZA MORTE VIVO.

(SL) DA. Trecent. ined. Questo che da ciclo v'è mandato. PIOVUTI. Georg., IV: Pluit ilice glandis. Borgh. Gli angioli i quali, piovendo in terra, si trasmutano in diavoli.

29. (SL) MORTA. Georg., IV: Intima lethi Tartara. Ov. Met., XIV: Loca mortis adire.

30. (L) CHIUSERO: repressero. - QUEI: Dante.

(SL) REGNO. En., VI: Hæc Rhadamanthus habet durissima regna. Inania regna.

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33.

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31. Sol si ritorni per la folle strada: Pruovi, se sa; chè tu qui rimarrai, Che gli hai scorta la buia contrada. 32. Pensa, lettor, s'i' mi disconfortai Nel suon delle parole maladette; Ch'i' non credetti ritornarci mai. - O caro duca mio, che più di sette Volte m'hai sicurtà renduta, e tratto D'alto periglio che 'ncontra mi stette; 34. Non mi lasciar (diss' io) così disfatto. E se l'andar più oltre m'è negato, Ritroviam l'orme nostre insieme ratto. 35. E quel signor, che li m' avea menato, Mi disse: Non temer; chè 'l nostro passo Non ci può torre alcun da tal n'è dato. 36. Ma qui m' attendi, e lo spirito lasso

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31. (L) SA tornare. SCORTA: mostrata. 32. (L) RITORNARCI: ritornare al mondo. 33. (SL) PERIGLIO. En., III: Heu! tantis necquicquam erepte periclis. STETTE. Æn., XI: Stelimus tela aspera contra.

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(F) STETTE. Nella selva delle fiere; poi quando sciolse i suoi dubbi; poi quando lo prese per mano all'entrar della porta; poi quando rispose alle grida di Caronte, di Minos, di Pluto, di Flegiás; e quando gli rese ragione dell' improvviso pallore all' entrare nel Limbo. Son più di sette. Ma forse qui sette sta per numero indeterminato, come ne' Proverbii (XXIV. 16): Sette volle cadrà il giusto e risorgerà. E la divina legge evangelica della remissione: Non solo sette volte, ma settanta volte sette (V. anche Luc., XI, 26; VIII, 2: Marc., XVI, 9). Som. Il numero settenario significa il tutto (universitatem).

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34. (L) DISFATTO : perduto. RITROVIAM L'ORME NOSTRE: torniamo.

(SL) DISFATTO. Nella Vita Nuova si dice disfatto da amore. - NEGATO. Æn., X: Fortuna negárat..... reditus. RITROVIAM. Os., II, 6: Semitas suas non inveniet. Æn., IX: Vestigia retro Observata legit. 35. (L) DA TAL: Tale è chi cel dà, Dio.

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40. (L) RASE: contrario d' aggrottate.

(SL) RASE. Esprime e dipinge. Petr.: Dal cor mi rade ogni delira impresa. Dante, Rime: Mi spoglia D'ogni baldanza. Æn., VI: Frons læta parum, et dejecto lumina vultu. · CASE. Æn., VI: Tristes sine sole domos. Georg., IV: Domus... lethi. Semint., da Ovidio: Le case dell'Inferno.

41. (L) PERCH': quantunque. - QUAL: qualunque. (SL) PRUOVA. Bocc.: Il mulo passò avanti; per

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Ira e sdegno.

Il Poeta configge nel fango gl'iracondi orgogliosi e dappoco, e però furiosi; e respinge l'un d'essi con parole, e Virgilio con mano; e gode e ringrazia Dio dello strazio che gli altri iracondi ne fanno; e per avere chiamato lui spirito maledetto, fa che Virgilio l'abbracci e lo baci e benedica sua madre. Appare di qui come Dante distinguesse dall'ira rabbiosa lo sdegno onesto; distinzione conforme alla filosofia cristiana, siccome provano le seguenti autorità.

Aristotile (1), laddove dice dell'ira che non ascolta ragione, si conviene con Girolamo (2) laddove l'ira dal Vangelo ripresa dice quella che è senza causa; e Tommaso (3): L'ira si conviene con que' peccati che appetiscono il male del prossimo, come invidia e odio. Il che dichiara ancor meglio perchè gl'invidiosi sieno cogl' iracondi nel fango medesimo; il qual ribolle a dinotare il moto dell'iracondia ribollente (4). Ivi entro i dannati si percuotono, e si sbranan co' denti, perchè quando l'ira percuole la tranquillilà della mente, la perturba lacerandola in certo modo e scindendola (5). E quella

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(3) Som., 2, 2, (5) Greg., Mor., V.

lante fumo, che Virgilio e Dante (1) chiama amaro ed acerbo, perché quell'ira che Aristotile e Tommaso distinguono dalla acuta col nome di amara, non si scioglie presto, per la tristizia che nelle viscere tiensi rinchiusa (2), e quella è quasi fuoco che accieca l'occhio del cuore (3). E son brutti di fango, e ignudi, e con sembiante offeso, perchè nulla è più deforme del viso d'uom furibondo (4), e si gorgogliano voci nella strozza senza parola intera, perchè la lingua dell' irato forma pure un grido, ma ignora il senso di quello che dice (5). La Glossa ai Proverbii (6): Porta di tutti i vizii è l'iracondia, la qual chiusa, a tutte le virtù sarà dato quiete. E alla porta di Dite stanno diavoli stizzosi che respingono il Poeta e sono poi vinti dalle sdegnose parole dell' Angelo. E qui riapparisce la distinzione notata tra ira e sdegno.

Dice Tommaso: Secondo i Peripatetici, la cui sentenza più approva Agostino (De Civ. Dei, IX), l'ira e le altre passioni dell'animo diconsi moto dell' appetito sensitivo, o che sieno moderate se

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condo ragione, o che no (4). E però essa Somma dice l'accidia essere piuttosto originata dall'odio, cioè dall'ira non giusta, che dall'ira proprio, cioè dalla giusta indignazione. Non fa maraviglia che lo sdegnoso Girolamo dica; adirarsi è dell'uomo (2); ma Tommaso stesso dà l'ira ministra a fortezza (3); e il Certaldese affermando che l'alto sentimento negli uomini genera più sdegno, non fa che rendere il detto dell'Aquinate: excellentia irascentis fit causa iræ (4). Gregorio (5): allora più robustamente l'ira erge sè contro i vizii quando si fa suddita alla ragione. E il Grisostomo (6): L'iracondia che è con ragione, non è iracondia ma giudizio; perchè iracondia propriamente intendesi commovimento di passione. Tommaso con quell'acume severo e insieme indulgente che è proprio del grande intelletto congiunto ad anima grande, confessando pur difficile il non mescolare passione d'ira allo sdegno, afferma tuttavia essere nello sdegno una parte buona. L'ira giusta, anco che in qualche modo impedisca il giudizio della ragione, non però toglie la reltitudine d'essa ragione (7). Salomone dello sdegno fa debito e medicina laddove dice: Migliore è l'ira del riso: che per la mestizia del volto correggesi l'animo dell' errante (8). Parole illustrate dal Grisostomo sapientemente: Se sdegno non ci sia, nè la dottrina fa pro, nè i giudizii stanno, nè le ingiustizie raffrenansi (9). Chi non si sdegna quando n'ha cagione, pecca; perchè la pazienza irragionevole semina vizii, nutrica la negligenza, e non solo i cattivi invita al male, ma i buoni altresì. La Somma poi, determinando con l'usata precisione: Trovasi male in alcuna passione secondo la quantità di lei, cioè soprabbondanza o difello. Cosi può nell'ira trovarsi male quando taluno si sdegna più o meno della retta ragione. Ma chi si sdegna secondo la ragione retta, allora lo sdegno è laudabile. Ma se altri appetisce che facciasi vendetta a ogni modo contro l'ordine della ragione, come punire chi non ha meritato, o oltre a quant'ha meritato, o non secondo il legitlimo ordine, o non per il debito fine, che è la conservazione della giustizia e la correzion della colpa, l'appe

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tilo dell'ira sarà vizioso (1). Cosi svolge il Cristiano la sentenza arida del pagano: L'adirarsi in tale o tal modo è ora lode, ora biasimo (2).

Salomone aveva già detto: quando cadrà il nemico tuo non godere (3). Se Dante gode dello strazio desiderato di quell'Argenti che era della schiatta Adimari, suo tracotante e vile nemico, è da credere che ne goda pur come di cosa conforme alla giustizia suprema. Ciò nondimeno sarà più sicura cosa, massime quando si tratta d'ingiuria propria e non della patria, attenersi ai consigli evangelici della carità generosa. Ogni ira... e indignazione sia tolta da voi (4). E Gregorio c'insegna che l'indignazione dello zelo, anche santo, turba l'occhio della ragione; e Tommaso, con quella conoscenza profonda del cuore che viene dalla meditazione virtuosa: La vendetta si appetisce sotto colore del giusto o dell' onesto che alletta con la sua dignità (5). E forse che il detto del Savio: In molta sapienza molta indegnazione, sia piuttosto osservazione del fatto che lode. Certo è che in Dante lo sdegno trascese talvolta, massime negli ultimi anni della infelice sua vita, all'ira feroce e alla rabbia. A lui la pena è troppo sovente religiosa preghiera. Se non che negl'imitatori di lui l'affettazione dell'ira è cosa imbecille. E frantendono anche il linguaggio del Poeta, dacchè in lui vendetta non suona ultio, ma vindicta, e risponde a pena giudicata e ordinata; la pena era il male in quanto dagli stessi colpevoli sostenuto (6). Similmente ira ha nel linguaggio di Dante senso più mite che nel moderno, appunto come ne' Salmi, dove la voce ebraica significa naso, la quale figura ai Latini denotava giudizio purgato e schizzinoso, e però sovente sdegnoso o schernevole. Così nella medesima imagine dalle varie lingue e civiltà troviamo congiunte le idee di passione e di giudizio, di sdegno e di spregio, di coscienza retta e di gusto delicato (7).

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(1) Som., 2, 2, 158. (2) Arist,, Eth. (3) Prov., XXIV, 17. — (4) Ad Eph., IV, 31. —(5) Som., 2, 2, 158. (6) Così s. Tommaso: La vendetta è da serbare a Dio, secondo quello del Deuteronomio (XXXII, 35): « Mia è la vendetta». E in Dante (Inf., VII), Michele fa vendetta degli Angeli. - La morte di Gesù Cristo è vendetta del primo peccato, vendetta poi vendicata sopra gli uccisori di lui (Par., VII ). — (7) Emunctæ naris. Naso suspendere adunco. E altri simili nell' italiano.

CANTO IX.

Argomento.

Dante minacciato dalle Furie; Virgilio lo salva: un inviato del cielo apre loro le porte di Dite. Entrano e veggono tombe infocate da famme sparse tra l'una e l'altra, dove penano gli eresiarchi e gli increduli.

Stige è chiamato in Virgilio amnis severus Eumenidum: però Dante le colloca in prospetto del fiume. Le Furie, il venire del messo, le tombe, ogni cosa poetico. Nell'Angelo è imitato un po' Stazio là dove Mercur io scende a cercare l'ombra di Laio.

Si notino le terzine 1, 2, 5, 13, 14, 17, 20, 22; 24 alla 30; 32, 34, 37, 38, 40, 41, 44.

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2. (L) A LUNGA: lontano. 3. (L) PUNGA: pugna. SE NON... se non errai. TAL NE S'OFFERSE... ma tal donna ci s'offerse ad ajuto ch'ingannare non può: Beatrice. TARDA A ME: io desidero. ALTRI : l'Angelo.

(SL) PUNGA. Come spengere per spegnere. È nel Villani. -SE NON... Tali sospensioni non sono frequenti in Dante, pur ve n' ha (Inf., XXIII; Purg., XXVII ). 4. (L) VIDI: il vidi. - RICOPERSE LO COMINCIAR...: esprimeva dubbio, poi si ritratta e lo assicura. - ALLE: dalle.

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(SL) CONCA. L' Inferno di Dante è concavo quasi CIONCA. Per monco vive in qualche dialetto. (F) CIONCA. Inf., IV: Sol di tanto offesi, Che, senza speme, vivemo in desio.

INCONTRA accade.

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7. (L) QUESTION: domanda. Nu: noi nel Limbo. 8. (L) CONGIURATO: scongiurato. Sui: loro; abitati dall' anime in vita.

(SL) CRUDA. Viveva in caverne, usava tra le sepolture. Lucano la chiama fera, effera, tristis. Fa che Eritone, maga tessala, lo scongiuri; perchè Virgilio era ne'bassi tempi creduto mago (Buc., VIII; Æn., IV), come lo chiama il Villani, e tuttavia il volgo di Napoli; e grande astrologo lo dice il Boccaccio. RICHIAMAVA. En., VI... Potuit Manes arcessere conjugis Orpheus. IV: Animas... evocat Orco. OMBRE. Luc., VI: Ad me redeuntibus umbris.

(F) Fui. Dante prende a guida Virgilio, non solo come descrittor d'un Inferno, ma come cantore di quell' Enea che fu principio all'impero di Roma. Or nell' Impero ideato da Dante (Mon., III) si richiede l'operazione delle morali e intellettuali virtù, secondo i filosofici precetti, i quali son mezzo alla felicità di questa vita. Ecco come si concilia l'opinione di taluni con quelle che fanno Virgilio simbolo della filosofia naturale.

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