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21. Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
De' ben che son commessi alla Fortuna,
Per che l'umana gente si rabbuffa.
22. Chè tutto l'oro ch'è sotto la luna,

E che già fu, di quest' anime stanche Non poterrebbe farne posar una. 23. Maestro (dissi lui), or mi di' anche: Questa Fortuna di che tu mi tocche, Chee, che i ben del mondo ha si tra branche?——— 24. E quegli a me. O creature sciocche, Quanta ignoranza è quella che v'offende! Or vo' che tu mia sentenza n'imbocche. 25. Colui, lo cui saver tutto trascende,

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cielo. PAROLE NON CI Appulcro: non l'abbellisco con parole, che già lo vedi.

(SL) PULCRO. Il Pulci l' usa fuor di rima (Morg., XVI, 58). Le belle stelle per ciclo l' ha nel XVI dell'Inferno.

SI RABBUFFA: si crucia e

21. (L) BUFFA: gioco. pena. 22. (SL) LUNA. Dan., IX, 12: Male qual mai non fu sotto tutto il cielo.

(F) POSAR. In una canzone dice che le ricchezze raccolte Non posson quictar, ma dan più cura. Ch' è la bestia senza pace (Inf., I). Boezio, citato nel Convivio (IV, 12): Se quanta rena volge lo mare turbato dal vento; se quante stelle rilucono, la Dea della ricchezza largisca, l'umana generazione non cesserà di piangere. 23. (F) BRANCHE. Parola di spregio. Onde Virgilio lo rimprovera e mostra che la Fortuna è spirito celeste ministro di Dio.

24. (L) SENTENZA: ragionamento.

(SL) SENTENZA. En., X: Nec te sententia fallit. (F) IGNORANZA. Nella Monarchia parla della ignorantia regum atque principum talium. Som.: Ignoranza dell' intelletto talvolta precede l'inclinazione dell' appetito ed è cagione di quella; e però quant'è maggiore l'ignoranza, più scema il peccato e lo fa involontario; ma c'è un' ignoranza che segue all'inclinazione dell'appetito, e questa fa il peccato maggiore.

25. (L) COLUI: Dio. CH: l'Angelo. OGNI PARTE ad ogni parte spLENDE: ogni sfera ha uno spirito corrispondente.

(F) SAVER. Psal. CIII, 24: Tutto facesti in sapienza. Psal. CXLVI, 5: Della sapienza di lui non è numero. — TRASCENDE. Modo famigliare alla Somma. FECE. PS. XCV, 5: Cœlos fecit. CONDUCE. Par., II e XXVIII. Ad Epb., VI, 12: Principes et potestates (Degli angeli, assolutamente.) SPLENDE. Allo splendore di ogni cielo risponde un lume spirituale; e da questo diretti tutti i cieli riflettono la propria luce a vicenda in armonica proporzione.

26. (L) SPLENDOR MONDANI: di ricchezza e di fama. MINISTRA E DUCE: la Fortuna, angelo.

-

(SL) SIMILEMENTE. Modo famigliare alla Somma di s. Tommaso.

(F) Distribuendo. Som. Nulla vieta di dire che gli angeli inferiori furono per divino volere distribuiti ad amministrare i corpi inferiori, i superiori ad am

27. Che permutasse a tempo li ben vani

Di gente in gente, e d'uno in altro sangue, Oltre la difension de' senni umani. 28. Perch'una gente impera e altra langue, Seguendo lo giudicio di costei, Ched è occulto com' in erba l'angue. 29. Vostro saver non ha contrasto a lei: Ella provvede, giudica, e persegue Suo regno, come il loro gli altri Dei. 30. Le sue permutazion non hanno triegue; Necessità la fa esser veloce;

Si spesso vien chi vicenda consegue.

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ministrare i corpi superiori, i supremi ad assistere innanzi a Dio. DUCE. Le ricchezze, la fama, la potestà sono beni che vengono il più da cause esteriori e dalla fortuna: ond' anche diconsi beni della fortuna. 27. (L) OLTRE LA DIFENSION DE' SENNI UMANI: il senno umano non se ne può difendere.

(SL) PERMUTASSE. En., XI. Multa dies, variusque labor mutabilis ævi Rettulit in melius: multos alterna revisens Lusit, et in solido rursus fortuna locavit. DIFENSION. In senso simile usa l'Ariosto: Del ponte.... Che Rodomonte ai cavalier difende (XXXI, 63).

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(F) TEMPO. Le alterazioni dal bene al male non possono essere se non circa le cose che soggiaciono al tempo e al moto. GENTE. Prov., XXVII, 24: Non avrai perpetuamente potestà, ma la corona passerà da generazione a generazione. Dan., II, 21: Egli trasferisce i regni e gli stabilisce. Eccl., X, 8: Il regno trasportasi di gente in gente per le ingiustizie.

28. (L) PERCH': ond'. CHED: ch'.

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(F) OCCULTO. Lucrezio chiama la Fortuna vis abdita. En., X: Nescia mens hominum fati sortisque futuræ.

29. (L) PERSEGUE: fa eseguire.

(F) PERSEGUE. Nel senso latino di persequi suum jus, che seguiva all'atto del giudizio. Nota i tre atti di vedere, giudicare, operare secondo la sentenza data. DEI. Così, dic' egli nel Convivio, chiamano i Gentili le intelligenze celesti. E gli angeli nelle Scritture si chiamano Dei. Nel Paradiso le gerarchie degli Angeli chiama Dee (XXVIII, t. 41).

30. (L) Sì SPESSO VIEN CHI VICENDA CONSEGUE: son tanti che debbon passare alla volta loro, che poco spazio resta a ciascheduno.

(SL) NECESSITÀ. Orazio, alla Fortuna: Te semper anteit sæva Necessitas (Carm., I, 35); ma quivi intende la morte. [Cecco d'Ascoli, Acerba, lib. I, c. 1: In ciò peccasti, o fiorentin poeta, Ponendo che li ben della fortuna Necessitati sieno con lor meta. Non è forluna cui ragion non vinca; Or pensa, Dante, se prova nessuna Si può più fare che questa convinca. Questo Cecco non ha inteso Dante. ]

(F) CH. Se intende primo caso, conseguire vale ollenere; se quarto, conseguire val seguire; la vicenda allora segue, insegue l'uomo. En., XII: Qui me casus, quæ... sequantur Bella. Forsan miseros meliora sequentur. - Retectum Lancea consequitur. Mach., II, VIII, 11: Vindictam quæ cum..... esset consecutura. Par., XVII: La colpa seguirà la parte offensa. Som.: Come l'essere consegue la forma, così l'intendere consegue la specie intelligibile. Conseguire nelle scuole denotava il vincolo indissolubile delle due cose; ma consegue a vicenda vale esser naturalmente soggetto a mutamento. - VICENDA. Il dolore di pochi è compensato dal piacere di

34. Quest' è colei ch'è tanto posta in croce

Pur da color che le dovrian dar lode, Dandole biasmo a torto e mala voce. 32. Ma ella s'è beata, e ciò non ode: Con l'altre prime creature lieta Volve sua spera, e beata si gode. 33. Or discendiamo omai a maggior piéta. Già ogni stella cade, che saliva Quando mi mossi; e 'l troppo star si vieta. 34. Noi ricidemmo 'l cerchio all'altra riva Sovr' una fonte, che bolle, e riversa Per un fossato che da lei diriva. 35. L'acqua era buia molto più che persa: E noi, in compagnia dell' onde bige, Entrammo giù per una via diversa.

molti. Jacop., I, 17: Apud (Deum) non est transmutatio, nec vicissitudinis obumbratio.

31. (SL) CROCE. Rusticucci sotto le fiamme cadenti si dice posto in croce (Inf., XVI): e croce chiamavasi ogni dolore, dopo la croce di Gesù, compendio ed esemplare di tutti gli umani dolori.

(F) QUEST'. Plin.: Sola cum conviciis colitur. La Fontaine Et si de quelque échec notre faute est suivie Nous disons injures au sort. CROCE. Un lamento della Fortuna contro i suoi detrattori è in Boezio. E' dovrebbero, dice Dante, lodarla come ministra di Dio; la qual si move per norme più alte del senno

umano.

32. (L) S'. Riempitivo. CON L'ALTRE PRIME CREATURE: gli Angeli. SPERA del mondo.

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(F) ODE. Boet. Non illa miseros audit: haud curat fletus; Ultroque gemitus dura, quos fecit, ridet. Questi ne fa una tiranna, Dante una Dea, ch'è più poetico insieme e più vero. — SPERA. Migliore imagine che in Pacuvio: Fortunam insanam esse, et cæcam, et brutam perhibent philosophi. Saxoque instare illam globoso prædicant volubilem. (II, 3, ad Heren.) 33. (L) PIETA: dolore.

(SL) CADE. É mezza notte passata. Æn., II: Jam nox humida cœlo Præcipitat, suadentque cadentia sidera somnos. Entrarono nell' imbrunire. Æn., VIII: Primisque cadentibus astris.

34. (L) Noi ricidemmo..... all' ALTRA RIVA: Passammo per mezzo per giungere alla parte opposta. RIVERSA sè.

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(F) FITTI. PS. LXVIII, 3: Son fitto nel pantano del fondo. TRISTI, Hor. Carm., I, 16: Tristes... iræ. Della tristezza mala, distinta dalla gentile mestizia, vedasi la Somma (1, 2, 39, 1).

42. (SL) OR. Æn., VI: Quam vellent æthere in alto Nunc et pauperiem et duros perferre labores! NEGRA. Georg., IV: Limus niger, et deformis arundo Cocyti, tardaque palus inamabilis unda Alligat, et novies Styx interfusa coercet.

43. (L) 'L MEZZO: il fradicio del padule. 44. (L) AL DASSEZZO: da ultimo.

(SL) DASSEZZO. Nel latino segnior. Arios., XI, 13.

Si diceva anco in prosa.

Gli avari e i prodighi.

Gli accidios i, gl'iracondi, gl’Invidiosi.

Vede il Poeta qui troppa più gente che altrove, perché l'avarizia è la lupa Che più che tutte le altre bestie ha preda (1) e similmente in Virgilio: Aut qui divitiis soli incubuêre repertis, Nec partem posuere suis, quæ maxima turba est (2). Il supplizio del volgere sassi è pure in Virgilio: Saxum ingens volvunt alii (3), ch'egli tolse da Sisifo: e Dante forse da Virgilio tolse l'imagine del farglicli volgere a forza di petto, che gli avrà dato negli occhi il divitiis incubuêre, modo potente il quale si rincontra nel II delle Georgiche: Condit opes alius, defossoque incubat auro. Ivi stesso Virgilio chiama avaro Acheronte, ma nel senso, cred' io, d'avido divoratore di vite, che Dante avrà preso alla lettera, e però messo Pluto, il dio della ricchezza, alla soglia di questo luogo, e poi confitti in un'altra palude altri rei, la qual palude circonda l'Inferno virgiliano con ben nove giri.

Sapiente l'idea di mettere alla medesima pena gli avari e i prodighi, come son anco nel Purgatorio (4); chè la prodigalità non è forse men dispregevole dell'avarizia e a molti vizii è ministra. Il prodigo per aver che gettare commette le indegnità dell'avaro. Nel Convivio rimprovera ai principi italiani la prodigalità e l'ingordigia, del pari sfacciate. E san Tommaso anch' esso mette accanto alla prodigalità l'avarizia (5).

Men facile a dichiarare e meno osservato si è quel che spetta all'accidia; Pietro c'insegna che la palude stigia era dal Poeta destinata non solo agl' iracondi, ma agli accidiosi, agl'invidiosi, ai superbi. Ne poteva dedurlo tanto da' versi quanto dalla viva voce di quello: il quale, nominando gl'iracondi, adopera la parola accidioso, e nel Canto seguente parla degli orgogliosi quivi entro sepolti; ma degl'invidi non fa cenno chiaro. D'altra parte noi vediamo nel Purgatorio espiarsi e la superbia, e l'accidia, e l'invidia: verisimile è dunque che il Poeta abbia voluto ponerle altresì nell'Inferno. Certo l'invidia da lui rimproverata a'suoi concittadini sovente meritava una

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pena. S'aggiunga che accidia negli antichi non ha solamente senso d'inerzia al bene, ma d'ogni non buona tristezza e d'ogni malinconia maligna, e però può comprendere anco l'invidia iraconda. E il nostro colloca l'invidia accidiosa al disotto, come Aristotele giudica gli accidiosi più colpevoli degl'iracondi. Nè paia strano ch'e' ponga a marcire insieme i tre vizii, perchè tutti vengono d'ira, e d'ira son padri. Onde può dirsi che il quarto cerchio contenga soli gl'iracondi, ma divisi in più specie. L'idea della pena par tolta da Virgilio (1): Aliis sub gurgite vasto Infectum eluitur scelus. In Stazio, mentre che Laio passa lo Stige incontra degl' invidiosi. Di là forse il nostro prese l'idea della scena di Filippo Argenti, scena che egli fa tutta sua propria siccome suole.

Il Damasceno distingue quattro specie di tristezza: accidia, ansietà o angustia, compassione ed invidia. Or se rammentiamo che la gelosia e la Nemesi sono sotto l'invidia contenute (2), e che l'ira suppone tristezza (3); intenderemo come nelle paludi di Stige sieno coloro cui l'ira vinse, che furon tristi sotto la gioia del sole portando nell'anima fumo accidioso, e come tra essi sia Filippo Argenti, persona orgogliosa senza fregio di bontà, e però furiosa e invida del bene altrui, che si volge in sè stesso co'denti, così come Pluto, il demone custode del cerchio, consuma sè dentro con la sua rabbia. Invidia, dice il Nisseno (4), è tristezza de' beni altrui. Accidia, dice Tommaso (5), è la tristezza che abbatte lo spirito. L'uomo in tristezza non facilmente pensa cose grandi e gioconde, ma pur tristi; che illustra Tristi fummo Nell'aer dolce che dal sol s'allegra. L'accidia rende immobili all'operare le membra esteriori (6); che illustra lo star di coloro fitti sotto l'acqua sospirando, assorti in tristezza (7). Accidia è tristezza che toglie la voce (8): che illustra Quest'inno si gorgoglian nella strozza, Chè dir nol posson con parola integra.

(1) Æn., VI. - (2) Som., 1, 2, 35. (3) Som., 1, 1, 20.- (4) De Nat. hom., XIX. (5) Som., 2, 2, 20. — (6) Som., 1, 2, 35. - (7) Ad Cor., II II, 7: Tristitia absorbeatur. Leo., 151. Invidiæ lacu. (8) Greg. Nyss., de Nat. hom., XIX.

La Fortuna di Dante.

Qui Dante ritratta una sentenza del Convivio, dove diceva: Nell' avvenimento (delle ricchezze ) nulla giustizia distributiva risplendere, ma tulta iniquità quasi sempre; sentenza in parte vera, ma disperata se le idee della Provvidenza divina non la rischiarino. Così il Tasso con un gioco di parole de' soliti chiamava la Fortuna cruda e cieca Dea... Che è cieca e pur mi vede. Ma più cristianamente Virgilio (1): Me pulsum patria, pelagique extrema sequentem, Fortuna omnipolens et ineluctabile fatum His posuere locis, matrisque egere tremenda Carmentis nymphæ monita, et Deus auctor Apollo; dove l'idea del fato è temperata da quella della provvidenza divina, e dell'umana autorità santificata dall'amore e dal senno. E Aristotele: Nella materia è la necessità, ed è nella ragione il fine delle cose (2). Ragione ha luogo nelle cose che sono o sempre o sovente: fortuna, in quelle che fuori di questo hanno luogo (4). L'elezione non essendo senza mente, la mente e la fortuna versano nel soggetto medesimo. Però le cagioni di ciò che segue fortuitamente non essendo definite, necessario è che le cose che vengono da fortuna sieno occulte all'umano vedere (3). Dove ognun vede come nel verso Ched è occulto com' in erba l'angue si vengano a fondere e la sentenza del Filosofo e l'imagine del Poeta: latet anguis in herba (5). E il Filosofo stesso: Sono taluni a cui la fortuna pare che sia cagione delle cose, ma incognita all'umana mente. Quasi divino e ammirando nume (6). E qui cade a capello la sentenza d'Agostino: Quelle cause che diconsi fortuile non le diciamo nulle, ma latenti, e le rechiamo alla volontà o del vero Dio o d'altro spirito (7). Le quali ultime parole dimostrano come l'idea del commettere ad uno spirito il ministero de' beni mondani non sia capriccio del Poeta, ma abbia fondamento in religiose tradizioni; e come

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la spera che volge la Fortuna dantesca non sia già la volubile ruota della dea favolosa, ma veramente una sfera di lume celestiale: onde il passo del Canto XV dell'Inferno: Giri Fortuna la sua ruota Come le piace, e 'l villan la sua marra, sia quasi un modo proverbiale e non contradica all'imagine qui lungamente svolta, che è quasi la macchina d'un intero poema. E però nella Monarchia Dante stesso: Pirro la chiamava Signora, la qual causa noi meglio e più rettamente Provvidenza divina appelliamo. Platone ad ogni cielo dà anch'egli un motore; di che è lodato nel Convivio di Dante. E siccome qui Dante chiama la Fortuna generale ministro del saper divino, e duce delle umane potestà, così Paolo (1) chiama gli angeli spiriti ministratori e diaconi. Ad ogni nazione la Bibbia e i Padri danno un angelo custode e ministro (2). Le corrispondenze della poesia e religione pagana con la cristiana non sono oggidì tanto osservate quant'erano da'primi padri, credo, non meno credenti di noi. E qui, per esempio, il passo dei Salmi: Quando coglierò il tempo io giudicherò le `giustizie. Si è sfalta la terra e quanti sono in essa abitanti. Io assoderò le colonne di lei. Dissi agl'iniqui: Non vogliate iniquamente operare; e a' rei: Non vogliate rizzare il corno... Iddio è giudice: questo umilia e quello esalta (3), ha mirabile consonanza con quel d'Orazio: Namque Diespiler Igni corusco nubila dividens, Plerumque per purum tonantes Egit equos volucremque currum; Quo bruta tellus... Concutitur. Valet ima summis Mutare, et insignem attenuat Deus, Obscura promens. Hinc apicem rapax Fortuna cum stridore acuto Sustulit: hic posuisse gaudet (4). Altrove, meno sapientemente: Fortuna savo læta negotio, et Ludum insolentem ludere pertinax Transmutat incertos honores, Nunc mihi, nunc alii benigna (5). Ha però qui il permutasse, e il lieta di Dante,

(1) Ad Hebr.. I, 14. - Ps. CII, 20, 21: Angeli ejus... ministri ejus, qui facitis voluntatem ejus. (2) Dan., X; Act., XVI; Orig., Hom. XXXV in Luc.; XVI in Gen.; VIII in Exod.; Chrys., tom. 3, ep.: ad Eph.; Ciryll., IV, contr. Julian. (3) Ps. LXXIV. — (4) Carm., 1, 34. – (5) Carm., III, 29.

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CANTO VIII.

Argomento.

Flegias viene a tragillare i due poeti, e li sbarca sotto la città di Dite infuocata: nel tragitto, esce del fango Filippo Argenti, Fiorentino bestialmente iracondo, della famiglia Adimari, nemica a Dante, la quale egli chiama oltracotata schiatta che s'indraca Dietro a chi fugge (Par., XVI); ed è maltrattato da Dante, da Virgilio, da tutti i compagni. I demonii che fan guardia alle porte, negano accesso al Poeta vivo.

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La terzina Quanti si tengon....... è la sovrana del canto. La scena di Filippo Argenti dipinge l'anima del Poeta. Nota le terzine 2, 5, 8, 9, 11, 12, 14, 16, 17, 21, 22, 24, 26, 27, 28, 37, 38, 40, 43.

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1. (SL) SEGUITANDO. Non è, come vuole il Boccaccio, indizio d'interruzione lunga del lavoro, ma vincolo strettissimo dell'un Canto coll'altro. Arios., XVI: Dico la bella istoria ripigliando. Conv., I, 10: Proseguendo, dico. Georg., IV: Protinus aërii mellis cœlestia dona Exequar. TORRE. Nell' Inferno di Virgilio (Æn., VI): Stat ferrea turris ad auras. Una di qua dell'acqua per dare il segnale di quanti arrivano, una di là dove sono le Furie. OCCHI. Georg., II: Locum capies oculis. 2. (L) TORRE: prendere, scernere.

3. (L) AL MAR DI TUTTO 'L SENNO: Virgilio.

(SL) MAR. Inf., VII: Che tutto seppe.

5. (L) PINSE: spinse.

-

(SL) PINSE. S'usa in Toscana. SAETTA. En., XII: Illa volat... Non secus ac nervo per nubem impulsa sagitta... Stridens, et celeres incognita transilit umbras. Georg., IV: Erupere... ut nervo pulsante sagittæ. Giamb, Cavò tre freccie e posta l'una alla corda... [ Æn., V: Illa Noto citius voluerique sagitta Ad terram fugit, et portu se condidit alto, X: Fugit illa per

7.

6. Venir per l'acqua verso noi, in quella, Sotto 'l governo d'un sol galeoto, Che gridava: Or se' giunta, anima fella. - Flegiás, Flegiás, tu gridi a vôto (Disse lo mio signore) a questa volta. Più non ci avrai, se non passando il loto.8. Quale colui che grande inganno ascolta Che gli sia fatto, e poi se ne rammarca; Tal si fe' Flegiás nell'ira accolta.

9. Lo duca mio discese nella barca,

E poi mi fece entrare appresso lui:

E sol quand' i' fui dentro, parve carca.

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tica galea non era si grande quindi l'accrescitivo galeone. Virgilio, di Caronte (En., VI): Ipse ratem conto subigit, velisque ministrat. FELLA. Parla all' uno; che conosce che l' altro non era già ombra. 7. (L) PIÙ NON CI AVRAI: dannati non siamo.

(SL) FLEGIAS. Virgilio pone nel suo Inferno (En., VI) Flegiás, il quale, per avere sua figlia Coronide partorito d'Apollo Esculapio, cieco dall' ira, bruciò il tempio del Dio: Phlegyasque miserrimus omnes Admonet, et magna testatur voce per umbras: Discile justitiam moniti, et non temnere Divos. Il Flegiás di Dante é, al solito, un demonio. E Flegias da pλéyw, ardere, sta bene al barcaiuolo della città rovente. Lucan., VI: Flagrantis portitor undæ.

8. (SL) ACCOLTA. Horat., de Art. Poet. Iram colligit ac ponit temere. En., IX: Collecta... Ex longo rabies. 9. (L) PARVE CARCA: parve che un vivo la premesse. (SL) CARCA. En., VI: Accipit alveo Ingentem Encam. Gemuit sub pondere cymba Sutilis, et multam accepit rimosa paludem,

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