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sommo, col più bello stile che mai fosse in nostra lingua infino al suo tempo e più innanzi. Fece in sua giovinezza il libro della Vita Nuova d'amore; e poi quando fu in esilio fece da xx. canzoni morali e d' amore molto eccellenti; e intra le altre fece tre nobili epistole : l' una mandò al reggimento di Firenze, dogliendosi del suo esilio senza colpa ; l' altra mandò all' imperadore Arrigo, quando era all' assedio di Brescia riprendendolo della sua stanza, quasi profetando; la terza ai Cardinali Italiani, quando era la vacatione dopo Papa Clemente, acciò che s' accordassero ad eleggere Papa Italiano ; tutte in latino con alto dettato, e con eccellenti sentenzie e autoridadi, le quali furono molto commendate da savi intenditori. E fece la Commedia, ove in pulita rima e con grandi e sottili questioni, morali, naturali, astrologhe, philosophe e theologiche, e con belle e nuove figure ę comparazioni, compose e trattò in cento capitoli, ovvero canti, dell' essere e stato dell' inferno e purgatorio e paradiso, così altamento come dire se ne possa; sì come per lo detto suo trattato si può vedere ed intendere chi è di sottile intelletto. Bene si dilettò in quella commedia di garrire e sclamare a guisa di poeta, forse in parte più che non si convenia; ma forse il suo esilio gli fece fare.

Fece ancora la Monarchia, ove con alto latino trattò dell' officio del Papa e dello imperadore. E cominciò uno commento sopra xiiii delle sopraddette sue canzoni morali volgarmente, il quale per la sopravvenuta morte non perfetto si truova, se non sopra le tre; la quale, per quello che si vede

ove

alta, bella, sottile, e grandissima opera riuscia, perocchè ornato appare d'alto dittato e di belle ragioni philosofiche e astrologiche. Altresì fece un libretto che l' intitola De Vulgari Eloquentia, ove promette fare quattro libri, ma non se ne truova se non due, forse per lo affrettato suo fine; con forte e adorno latino e belle ragioni ripruova tutti i vulgari d' Italia. Questo Dante per suo savere fu alquanto presuntuoso, e schifo e disdegnoso, e quasi a guisa di philosopho mal grazioso non bene sapeva conversare coi layci ; ma per l'altre sue virtudi e scienza e valore di tanto cittadino, ne pare ch' essi convenga di dargli perpetua memoria in questa nostra Cronica, con tutto che le sue nobili opere lasciateci in iscrittura facciano di lui vero testimonio e honorabile fama alla nostra cittade.

GIOVANNI VILLANI, Storia di Firenze, lib. ix. cap. cxxxv.

AVVERTIMENTO

Quantunque in questi ultimi anni lo studio del divino poema fra noi extremos Britannos abbia preso un assai notevole sviluppo, a nessuno, ci pare, è occorso finora di dare agli studiosi un' edizione del testo fondata sopra i risultati della più recente critica. Nel presente volume abbiamo impreso di soddisfare a questa lacuna. Nella preparazione ed emendazione del testo, ci siamo naturalmente fidati in prima linea all' edizione del Witte-come dovrebbe fare ciascun suo seguitore. Nondimeno, in parecchi passi, ove l'illustre Dantista ci pareva se n' andasse troppo stretto diretro ai suoi quattro codici, non abbiamo esitato ad ammettere varianti sostenute da prevalente autorità, ovvero richieste dal

senso comune.

INFERNO

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