CANTO XVI. GIÀ era in loco ove s' udia il rimbombo Volse il viso ver me, ed: Ora aspetta, La natura del loco, io dicerei, Che meglio stesse a te, che a lor, la fretta. Ricominciar, come noi ristemmo, ei L'antico verso; e quando a noi fur giunti, Qual soleano i campion far nudi ed unti, Drizzava a me, sì che in contrario il collo E, se miseria d' esto loco sollo Rende in dispetto noi e nostri preghi, La fama nostra il tuo animo pieghi Fu di grado maggior che tu non credi. Nepote fu della buona Gualdrada : Guido Guerra ebbe nome, ed in sua vita Fece col senno assai e con la spada. L'altro che appresso me l' arena trita, È Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce Nel mondo su dovria esser gradita. Ed io, che posto son con loro in croce, Jacopo Rusticucci fui: e certo La fiera moglie più ch' altro mi nuoce. S'io fussi stato dal foco coperto, Gittato mi sarei tra lor disotto, E credo che il Dottor l'avria sofferto. Ma perch' io mi sarei bruciato e cotto, Vinse paura la mia buona voglia, Che di loro abbracciar mi facea ghiotto. Poi cominciai: Non dispetto, ma doglia La vostra condizion dentro mi fisse Tanto, che tardi tutta si dispoglia, Tosto che questo mio Signor mi disse Parole, per le quali io mi pensai, Che qual voi siete, tal gente venisse. Di vostra terra sono; e sempre mai L' opre di voi e gli onorati nomi Con affezion ritrassi ed ascoltai. Lascio lo fele, e vo per dolci pomi Promessi a me per lo verace Duca ; Ma fino al centro pria convien ch' io tomi. Se lungamente l' anima conduca Nella nostra città, sì come suole, E i tre, che ciò inteser per risposta, Guatar l'un l'altro, come al ver si guata. Se l'altre volte sì poco ti costa, Risposer tutti, il satisfare altrui, Felice te, se sì parli a tua posta. Però se campi d' esti lochi bui, E torni a riveder le belle stelle, Quando ti gioverà dicere: Io fui, Fa che di noi alla gente favelle. Indi rupper la rota, ed a fuggirsi Ale sembiar le gambe loro snelle. Un ammen non saria potuto dirsi Tosto così, com' ei furo spariti: Perchè al Maestro parve di partirsi. Io lo seguiva, e poco eravam iti, Che il suon dell' acqua n' era sì vicino, Che, per parlar, saremmo appena uditi. Come quel fiume, ch' ha proprio cammino Prima da monte Veso in ver levante Dalla sinistra costa d' Apennino, Che si chiama Acquaqueta suso, avante Trovammo risonar quell' acqua tinta, Ed alquanto di lungi dalla sponda La gittò giuso in quell' alto burrato. E' pur convien che novità risponda, Dicea fra me medesmo, al nuovo cenno Che il Maestro con l'occhio sì seconda. Ahi quanto cauti gli uomini esser denno Presso a color, che non veggon pur l' opra, Ma per entro i pensier miran col senno! Ei disse a me: Tosto verrà di sopra Ciò ch' io attendo, e che il tuo pensier sogna Tosto convien ch' al tuo viso si scopra. Sempre a quel ver ch' ha faccia di menzogna De' l' uom chiuder le labbra finch' ei puote, Però che senza colpa fa vergogna ; Ma qui tacer nol posso e per le note Di questa commedia, lettor, ti giuro, S'elle non sien di lunga grazia vote, |