Ed io ancor Maestro, ove si trova CANTO XV. ORA cen porta l' un dei duri margini, Già eravam dalla selva rimossi Tanto, ch' io non avrei visto dov' era, Perch' io indietro rivolto mi fossi, Quando incontrammo d' anime una schiera, Che venia lungo l' argine, e ciascuna Ci riguardava, come suol da sera Guardar l'un l' altro sotto nuova luna; E sì ver noi aguzzavan le ciglia, Come il vecchio sartor fa nella cruna. Così adocchiato da cotal famiglia, Fui conosciuto da un, che mi prese Per lo lembo, e gridò: Qual maraviglia ? Ed io, quando il suo braccio a me distese, Ficcai gli occhi per lo cotto aspetto Sì, che il viso abbruciato non difese La conoscenza sua al mio intelletto; E chinando la mano alla sua faccia, Risposi Siete voi qui, ser Brunetto? : E quegli O figliuol mio, non ti dispiaccia, Se Brunetto Latini un poco teco Ritorna indietro, e lascia andar la traccia. Io dissi a lui: Quanto posso ven preco ; E se volete che con voi m' asseggia, Farol, se piace a costui, chè vo seco. O figliuol, disse, qual di questa greggia S'arresta punto, giace poi cent' anni Senza arrostarsi quando il fuoco il feggia. Però va oltre; io ti verrò ai panni, E poi rigiugnerò la mia masnada, Che va piangendo i suoi eterni danni. Io non osava scender della strada Per andar par di lui: ma il capo chino Tenea, come uom che reverente vada. Ei cominciò: Qual fortuna o destino Anzi l'ultimo dì quaggiù ti mena? E chi è questi che mostra il cammino? Là su di sopra in la vita serena, Rispos' io lui, mi smarri' in una valle, Se ben m' accorsi nella vita bella: E tiene ancor del monte e del macigno, Ti si farà, per tuo ben far, nimico : Di lor medesme, e non tocchin la pianta, Di quei Roman, che vi rimaser, quando Fu fatto il nido di malizia tanta. Se fosse tutto pieno il mio dimando, Risposi lui, voi non sareste ancora Dell' umana natura posto in bando : Chè in la mente m' è fitta, ed or mi accora La cara e buona imagine paterna Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora M' insegnavate come l' uom s' eterna : E quant' io l'abbia in grado, mentre io vivo Convien che nella mia lingua si scerna. Ciò che narrate di mio corso scrivo, E serbolo a chiosar con altro testo A donna che saprà, se a lei arrivo. Tanto vogl' io che vi sia manifesto, Pur che mia coscienza non mi garra, Che alla fortuna, come vuol, son presto. Non è nuova agli orecchi miei tale arra : Però giri fortuna la sua rota, Come le piace, e il villan la sua marra. Lo mio Maestro allora in sulla gota Chè il tempo saria corto a tanto suono. D'un peccato medesmo al mondo lerci. Di più direi; ma il venir e li sermone Nel quale io vivo ancora ; e più non cheggio. Poi si rivolse, e parve di coloro Che corrono a Verona il drappo verde Per la campagna; e parve di costoro Quegli che vince e non colui che perde. |