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Li cerchi corporai sono ampi ed arti,
Secondo il più e il men della virtute,
Che si distende per tutte lor parti.
Maggior bontà vuol far maggior salute;
Maggior salute maggior corpo cape,
S'egli ha le parti egualmente compiute.
Dunque costui, che tutto quanto rape
L'altro universo seco, corrisponde
Al cerchio che più ama, e che più sape.
Per che, se tu alla virtù circonde
La tua misura, non alla parvenza
Delle sustanzie che t' appaion tonde,
Tu vederai mirabil conseguenza,

Di maggio a più, e di minore a meno,
In ciascun cielo, a sua intelligenza.
Come rimane splendido e sereno

L' emisperio dell' aer, quando soffia Borea da quella guancia, ond' è più leno, Per che si purga e risolve la roffia

Che pria turbava, sì che il ciel ne ride Con le bellezze d'ogni sua parroffia ; Così fec' io, poi che mi provvide

La Donna mia del suo risponder chiaro, E, come stella in cielo, il ver si vide. E poi che le parole sue restaro, Non altrimenti ferro disfavilla Che bolle, come i cerchi sfavillaro. Lo incendio lor seguiva ogni scintilla ; Ed eran tante, che il numero loro Più che il doppiar degli scacchi s'immilla. Io sentiva osannar di coro in coro Al punto fisso che li tiene all' ubi,

E terrà sempre, nel qual sempre foro ;

E quella, che vedeva i pensier dubi

Nella mia mente, disse: I cerchi primi T' hanno mostrati i Serafi e i Cherubi. Così veloci seguono i suoi vimi,

Per simigliarsi al punto quanto ponno, E posson quanto a veder son sublimi. Quegli altri amor, che intorno a lor vonno, Si chiaman Troni del divino aspetto, Perchè il primo ternaro terminonno. E dei saper che tutti hanno diletto, Quanto la sua veduta si profonda Nel vero, in che si queta ogn' intelletto. Quinci si può veder come si fonda L'esser beato nell' atto che vede,

Non in quel ch' ama, che poscia seconda; E del vedere è misura mercede,

Che grazia partorisce e buona voglia;
Così di grado in grado si procede.
L'altro ternaro, che così germoglia
In questa primavera sempiterna,
Che notturno Ariete non dispoglia,
Perpetualemente Osanna sverna
Con tre melode, che suonano in tree
Ordini di letizia, onde s' interna.
In essa gerarchia son le tre Dee,
Prima Dominazioni, e poi Virtudi ;
L'ordine terzo di Podestadi ee.
Poscia nei due penultimi tripudi
Principati ed Arcangeli si girano;
L'ultimo è tutto d' Angelici ludi.
Questi ordini di su tutti rimirano,
E di giù vincon sì, che verso Dio
Tutti tirati sono, e tutti tirano.

E Dionisio con tanto disio

A contemplar questi ordini si mise,
Che li nomò e distinse com' io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
Onde, si tosto come l'occhio aperse
In questo ciel, di sè medesmo rise.
E se tanto segreto ver proferse

Mortale in terra, non voglio ch' ammiri ; Chè chi il vide quassù gliel discoperse Con altro assai del ver di questi giri.

CANTO XXIX.

QUANDO ambo e due i figli di Latona,
Coperti del Montone e della Libra,
Fanno dell' orizzonte insieme zona,
Quant'è dal punto che li tiene in libra,
Infin che l' uno e l' altro da quel cinto,
Cambiando l' emisperio, si dilibra,
Tanto, col volto di riso dipinto,

Si tacque Beatrice, riguardando
Fisso nel punto che m' aveva vinto :
Poi cominciò: Io dico, non domando
Quel che tu vuoli udir, perch' io l'ho visto
Dove s'appunta ogni ubi ed ogni quando:
Non per avere a sè di bene acquisto,

Ch'esser non può, ma perchè suo splendore Potesse, risplendendo, dir: Subsisto;

In sua eternità di tempo fuore,

Fuor d'ogni altro comprender, come i piacque,

S'aperse in nuovi amor l' eterno amore.
Nè prima quasi torpente si giacque ;
Chè nè prima nè poscia procedette
Lo discorrer di Dio sopra quest' acque.
Forma e materia congiunte e purette
Usciro ad esser che non avea fallo,
Come d'arco tricorde tre saette;
E come in vetro, in ambra od in cristallo
Raggio risplende sì, che dal venire
All' esser tutto non è intervallo ;
Così il triforme effetto del suo Sire
Nell' esser suo raggiò insieme tutto,
Senza distinzion nell' esordire.

Concreato fu ordine e costrutto

Alle sustanzie, e quelle furon cima

Nel mondo, in che puro atto fu produtto. Pura potenza tenne la parte ima ;

Nel mezzo strinse potenza con atto
Tal vime, che giammai non si divima.
Jeronimo vi scrisse lungo tratto
Di secoli, degli Angeli, creati

Anzi che l' altro mondo fosse fatto;
Ma questo vero è scritto in molti lati
Dagli scrittor dello Spirito Santo;
E tu ten' avvedrai, se bene agguati;
Ed anche la ragione il vede alquanto,
Chè non concederebbe che i motori
Senza sua perfezion fosser cotanto.
Or sai tu dove e quando questi amori
Furon eletti, e come; sì che spenti
Nel tuo disio già sono tre ardori.
Nè giugneriesi, numerando, al venti
Si tosto, come degli Angeli parte
Turbò il suggetto dei vostri elementi.
L'altra rimase, e cominciò quest' arte,
Che tu discerni, con tanto diletto,
Che mai da circuir non si diparte.
Principio del cader fu il maledetto
Superbir di colui, che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto.
Quelli, che vedi qui, furon modesti
A riconoscer sè dalla bontate,

Che gli avea fatti a tanto intender presti ; Per che le viste lor furo esaltate

Con grazia illuminante, e con lor merto,
Sì ch' hanno piena e ferma volontate.

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