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Che giova nelle fata dar di cozzo?
Cerbero vostro, se ben vi ricorda,

Ne porta ancor pelato il mento e il gozzo. Poi si rivolse per la strada lorda,

E non fe motto a noi: ma fe sembiante D' uomo, cui altra cura stringa e morda, Che quella di colui che gli è davante.

E noi movemmo i piedi in ver la terra,
Sicuri appresso le parole sante.
Dentro v' entrammo senza alcuna guerra:
Ed io, ch' avea di riguardar disio
La condizion che tal fortezza serra,
Com' io fui dentro, l' occhio intorno invio ;
E veggio ad ogni man grande campagna
Piena di duolo e di tormento rio.

Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
Sì com'a Pola presso del Quarnaro,
Che Italia chiude e suoi termini bagna,
Fanno i sepolcri tutto il loco varo :
Così facevan quivi d' ogni parte,
Salvo che il modo v' era più amaro ;
Chè tra gli avelli fiamme erano sparte,
Per le quali eran sì del tutto accesi,
Che ferro più non chiede verun' arte.
Tutti gli lor coperchi eran sospesi,

E fuor n' uscivan sì duri lamenti,
Che ben parean di miseri e d' offesi.
Ed io Maestro, quai son quelle genti,
Che seppellite dentro da quell' arche
Si fan sentir con gli sospir dolenti?
Ed egli a me: Qui son gli eresiarche

Coi lor seguaci d' ogni setta, e molto
Più che non credi, son le tombe carche.

Simile qui con simile è sepolto,

E i monimenti son più, e men caldi. E poi ch' alla man destra si fu volto, Passammo tra i martìri e gli alti spaldi.

CANTO X.

ORA sen va per un secreto calle
Tra il muro della terra e li martiri
Lo mio Maestro, ed io dopo le spalle.
O virtù somma, che per gli empi giri
Mi volvi, cominciai, com' a te piace
Parlami, e satisfammi ai miei desiri.
La gente, che per li sepolcri giace,
Potrebbesi veder? già son levati
Tutti i coperchi, e nessun guardia face.
Ed egli a me: Tutti saran serrati,
Quando di Josaffàt qui torneranno
Coi corpi che lassù hanno lasciati.
Suo cimitero da questa parte hanno
Con Epicuro tutti i suoi seguaci,
Che l'anima col corpo morta fanno.
Però alla dimanda che mi faci

Quinc' entro satisfatto sarai tosto,
Ed al disio ancor che tu mi taci.
Ed io Buon Duca, non tegno riposto
A te mio cor, se non per dicer poco;
E tu m' hai non pur mo a ciò disposto.
O Tosco, che per la città del foco
Vivo ten vai, così parlando onesto,
Piacciati di restare in questo loco.
La tua loquela ti fa manifesto

Di quella nobil patria natio,

Alla qual forse io fui troppo molesto. Subitamente questo suono uscio

D' una dell' arche: però m' accostai,
Temendo, un poco più al duca mio.

Ed ei mi disse: Volgiti: che fai?

Vedi là Farinata che s' è dritto: Dalla cintura in su tutto il vedrai. I' avea già il mio viso nel suo fitto; Ed ei s' ergea col petto e colla fronte, Come avesse lo inferno in gran dispitto: E l'animose man del duca e pronte Mi pinser tra le sepolture a lui, Dicendo: Le parole tue sien conte. Com' io al piè della sua tomba fui, Guardommi un poco, e poi quasi sdegnoso Mi dimandò: Chi fur li maggior tui? Io, ch' era d' ubbidir desideroso,

Non gliel celai, ma tutti gliel' apersi :
Ond' ei levò le ciglia un poco in soso;
Poi disse: Fieramente furo avversi

A me ed ai miei primi ed a mia parte,
Sì che per due fiate gli dispersi.
S'ei fur cacciati, ei tornar d' ogni parte,
Rispos' io lui, l' una e l'altra fiata;

Ma i vostri non appreser ben quell' arte.
Allor surse alla vista scoperchiata

Un' ombra lungo questa infino al mento: Credo che s' era in ginocchie levata. D' intorno mi guardò, come talento Avesse di veder s' altri era meco; Ma poi che il suspicar fu tutto spento, Piangendo disse: Se per questo cieco Carcere vai per altezza d' ingegno, Mio figlio ov' è, e perchè non è teco? Ed io a lui: Da me stesso non vegno: Colui, che attende là, per qui mi mena, Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno.

Le sue parole e il modo della pena
M' avevan di costui già letto il nome:
Però fu la risposta così piena.

Di subito drizzato gridò: Come

Dicesti egli ebbe? non viv' egli ancora ? Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome? Quando s' accorse d' alcuna dimora

Ch'io faceva dinanzi alla risposta, Supin ricadde, e più non parve fuora. Ma quell' altro magnanimo, a cui posta Restato m' era, non mutò aspetto, Nè mosse collo, nè piegò sua costa. E se, continuando al primo detto, S'egli han quell' arte, disse, male appresa, Ciò mi tormenta più che questo letto. Ma non cinquanta volte fia raccesa La faccia della donna che qui regge, Che tu saprai quanto quell' arte pesa. E se tu mai nel dolce mondo regge,

Dimmi, perchè quel popolo è sì empio
Incontro ai miei in ciascuna sua legge?
Ond' io a lui: Lo strazio e il grande scempio,
Che fece l' Arbia colorata in rosso,
Tale orazion fa far nel nostro tempio.
Poi ch' ebbe sospirando il capo scosso,
A ciò non fui io sol, disse, nè certo
Senza cagion con gli altri sarei mosso :
Ma fu' io sol colà, dove sofferto

Fu per ciascun di toglier via Fiorenza,
Colui che la difesi a viso aperto.
Deh, se riposi mai vostra semenza,
Prega' io lui, solvetemi quel nodo,
Che qui ha inviluppata mia sentenza.

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