Page images
PDF
EPUB

Ivi è perfetta, matura ed intera

Ciascuna disianza; in quella sola
È ogni parte là dove sempr' era,
Perchè non è in loco, e non s' impola,
E nostra scala infino ad essa varca,
Onde così dal viso ti s' invola.
Infin lassù la vide il patriarca

Jacob porgere la superna parte, Quando gli apparve d' Angeli sì carca. Ma per salirla mo nessun diparte Da terra i piedi, e la regola mia Rimasa è per danno delle carte. Le mura, che soleano esser badia, Fatte sono spelonche, e le cocolle Sacca son piene di farina ria. Ma grave usura tanto non si tolle Contra il piacer di Dio, quanto quel frutto Che fa il cor dei monaci sì folle. Chè quantunque la chiesa guarda, tutto È della gente, che per Dio domanda ; Non di parenti, nè d' altro più brutto. La carne dei mortali è tanto blanda,

Che giù non basta buon cominciamento Dal nascer della quercia al far la ghianda. Pier cominciò senz' oro e senza argento, Ed io con orazioni e con digiuno,

E Francesco umilmente il suo convento.
E, se guardi il principio di ciascuno,
Poscia riguardi là dov'è trascorso,
Tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Giordan volto retrorso

Più fu, e il mar fuggir, quando Dio volse,
Mirabile a veder, che qui il soccorso.

Così mi disse, ed indi si ricolse

Al suo collegio, e il collegio si strinse;
Poi, come turbo, tutto in su s' accolse.
La dolce Donna dietro a lor mi pinse

Con un sol cenno su per quella scala,
Si sua virtù la mia natura vinse;
Nè mai quaggiù, dove si monta e cala
Naturalmente, fu sì ratto moto,

Ch' agguagliar si potesse alla mia ala.
S' io torni mai, lettore, a quel devoto
Trionfo, per lo quale io piango spesso
Le mie peccata, e il petto mi percoto,
Tu non avresti in tanto tratto e messo

Nel foco il dito, in quanto io vidi il segno Che segue il Tauro, e fui dentro da esso. O gloriose stelle, o lume pregno

Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto, qual che si sia, lo mio ingegno;
Con voi nasceva e s' ascondeva vosco
Quegli ch'è padre d' ogni mortal vita,
Quand' io senti' da prima l' aer Tosco;
E poi, quando mi fu grazia largita
D'entrar nell' alta rota che vi gira,
La vostra region mi fu sortita.
A voi devotamente ora sospira
L' anima mia per acquistar virtute
Al passo forte, che a sè la tira.
Tu sei sì presso all' ultima salute,
Cominciò Beatrice, che tu dei
Aver le luci tue chiare ed acute.
E però, prima che tu più t' inlei,
Rimira in giù, e vedi quanto mondo
Sotto li piedi già esser ti fei;

Sì che il tuo cor, quantunque può, giocondo S'appresenti alla turba trionfante,

Che lieta vien per questo etera tondo. Col viso ritornai per tutte e quante Le sette spere, e vidi questo globo Tal, ch' io sorrisi del suo vil sembiante; E quel consiglio per migliore approbo Che l' ha per meno; e chi ad altro pensa Chiamar si può veracemente probo. Vidi la figlia di Latona incensa

Senza quell' ombra, che mi fu cagione Per che già la credetti rara e densa. L'aspetto del tuo nato, Iperione,

Quivi sostenni, e vidi com' si move Circa e vicino a lui Maia e Dione. Quindi m' apparve il temparar di Giove Tra il padre e il figlio; e quivi mi fu chiaro Il variar che fanno di lor dove.

E tutti e sette mi si dimostraro

Quanto son grandi, e quanto son veloci, E come sono in distante riparo. L' aiuola che ci fa tanto feroci,

Volgendom' io con gli eterni Gemelli, Tutta m' apparve dai colli alle foci : Poscia rivolsi gli occhi agli occhi belli.

CANTO XXIII.

COME l'augello, intra l' amate fronde,
Posato al nido dei suoi dolci nati
La notte, che le cose ci nasconde,
Che, per veder gli aspetti disiati,

E per trovar lo cibo onde li pasca,
In che i gravi labor gli sono aggrati,
Previene il tempo in sull' aperta frasca,
E con ardente affetto il sole aspetta,
Fiso guardando, pur che l' alba nasca ;
Così la Donna mia si stava eretta

Ed attenta, rivolta inver la plaga Sotto la quale il sol mostra men fretta ; Sì che veggendola io sospesa e vaga, Fecimi quale è quei, che disiando Altro vorria, e sperando s' appaga. Ma poco fu tra uno ed altro quando, Del mio attender, dico, e del vedere Lo ciel venir più e più rischiarando. E Beatrice disse: Ecco le schiere

Del trionfo di CRISTO, e tutto il frutto Ricolto del girar di queste spere. Pareami che il suo viso ardesse tutto, E gli occhi avea di letizia sì pieni, Che passar mel convien senza costrutto. Quale nei plenilunii sereni

Trivia ride tra le ninfe eterne,

Che dipingono il ciel per tutti i seni,
Vid' io, sopra migliaia di lucerne,

Un sol che tutte quante l' accendea,
Come fa il nostro le viste superne;

E

per

la viva luce trasparea

La lucente sustanzia tanto chiara
Nel viso mio, che non la sostenea.
O Beatrice, dolce guida e cara !
Ella mi disse: Quel che ti sopranza
È virtù, da cui nulla si ripara.
Quivi è la sapienza e la possanza

Ch' aprì le strade intra il cielo e la terra,
Onde fu già sì lunga disianza.
Come foco di nube si disserra

Per dilatarsi sì, che non vi cape, E fuor di sua natura in giù s' atterra, La mente mia così, tra quelle dape Fatta più grande, di sè stessa uscio, E, che si fesse, rimembrar non sape. Apri gli occhi e riguarda qual son io; Tu hai vedute cose, che possente Sei fatto a sostener lo riso mio. Io era come quei, che si risente Di vision obblita, e che s' ingegna Indarno di ridurlasi alla mente, Quando io udi' questa profferta, degna Di tanto grado, che mai non si estingue Del libro che il preterito rassegna. Se mo sonasser tutte quelle lingue Che Polinnìa con le suore fero Del latte lor dolcissimo più pingue, Per aiutarmi, al millesmo del vero Non si verria, cantando il santo riso, E quanto il santo aspetto il facea mero. E così figurando il Paradiso,

Convien saltar lo sacrato poema,

Come chi trova suo cammin reciso.

« PreviousContinue »