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Io vidi più fulgor vivi e vincenti

Far di noi centro e di sè far corona, Più dolci in voce che in vista lucenti. Così cinger la figlia di Latona

Vedem tal volta, quando l' aere è pregno Sì, che ritenga il fil che fa la zona. Nella corte del ciel, ond' io rivegno, Si trovan molte gioie care e belle Tanto, che non si posson trar del regno, E il canto di quei lumi era di quelle ; Chi non s' impenna sì, che lassù voli, Dal muto aspetti quindi le novelle. Poi, sì cantando, quegli ardenti soli

Si fur girati intorno a noi tre volte, Come stelle vicine ai fermi poli, Donne mi parver, non da ballo sciolte, Ma che s' arrestin tacite, ascoltando Fin che le nuove note hanno ricolte. E dentro all' un senti' cominciar: Quando Lo raggio della grazia, onde s'accende Verace amore, e che poi cresce amando Multiplicato, in te tanto risplende,

Che ti conduce su per quella scala, U' senza risalir nessun discende, Qual ti negasse il vin della sua fiala

Per la tua sete, in libertà non fora, Se non com' acqua ch' al mar non si cala. Tu vuoi saper di quai piante s' infiora Questa ghirlanda, che intorno vagheggia La bella donna ch' al ciel t' avvalora. Io fui degli agni della santa greggia, Che Domenico mena per cammino, U' ben s' impingua se non si vaneggia.

Questi, che m' è a destra più vicino,

Frate e maestro fummi, ed esso Alberto
Fu di Colonia, ed io Thomas d' Aquino.
Se sì di tutti gli altri esser vuoi certo,
Diretro al mio parlar ten vien col viso
Girando su per lo beato serto:
Quell' altro frammeggiare esce del riso
Di Grazian, che l' uno e l' altro foro
Aiutò sì che piace in Paradiso.

L'altro ch' appresso adorna il nostro coro,
Quel Pietro fu che, con la poverella,
Offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
La quinta luce, ch' é tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto il mondo
Laggiù ne gola di saper novella.
Entro v'è l'alta mente u' sì profondo
Saper fu messo, che, se il vero è vero,
A veder tanto non surse il secondo.
Appresso vedi il lume di quel cero
Che, giuso in carne, più addentro vide
L'angelica natura e il ministero.
Nell' altra piccioletta luce ride

Quell' avvocato dei tempi cristiani,
Del cui latino Augustin si provvide.
Or, se tu l'occhio della mente trani
Di luce in luce, dietro alle mie lode,
Già dell' ottava con sete rimani.
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima santa, che il mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ond' ella fu cacciata giace
Giuso in Cieldauro, ed essa da martiro
E da esilio venne a questa pace.

Vedi oltre fiammeggiar l' ardente spiro
D' Isidoro, di Beda, e di Riccardo

Che a considerar fu più che viro. Questi, onde a me ritorna il tuo riguardo, È il lume d' uno spirto, che in pensieri Gravi, a morir gli parve venir tardo. Essa è la luce eterna di Sigieri

Che, leggendo nel vico degli strami,
Sillogizzò invidiosi veri.

Indi come orologio, che ne chiami
Nell' ora che la sposa di Dio surge
A mattinar lo sposo perchè l' ami,
Che l' una parte l' altra tira ed

urge, Tin tin sonando con sì dolce nota, Che il ben disposto spirto d' amor turge;

Così vid' io la gloriosa rota

Moversi, e render voce a voce in tempra Ed in dolcezza, ch' esser non può nota, Se non colà dove gioir s' insempra.

CANTO XI.

O INSENSATA cura dei mortali,
Quanto son difettivi sillogismi

Quei che ti fanno in basso batter l' ali!
Chi dietro a iura, e chi ad aforismi
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per forza o per sofismi,
E chi rubare, e chi civil negozio,

Chi, nel diletto della carne involto,
S'affaticava, e chi si dava all' ozio ;
Quando da tutte queste cose sciolto
Con Beatrice m' era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo

Punto del cerchio, in che avanti s' era,
Fermossi come a candellier candelo.
Ed io senti' dentro a quella lumiera,
Che pria m' avea parlato, sorridendo
Incominciar, facendosi più mera :
Così com' io del suo raggio risplendo,
Sì, riguardando nella luce eterna,
Li tuoi pensieri, onde cagioni, apprendo.
Tu dubbi, ed hai voler che si discerna
In sì aperta e in sì distesa lingua
Lo dicer mio, ch' al tuo sentir si sterna,
Ove dinanzi dissi: U' ben s' impingua,
E là u' dissi: Non surse il secondo;
E qui è uopo che ben si distingua.
La provvidenza, che governa il mondo
Con quel consiglio nel quale ogni aspetto
Creato è vinto pria che vada al fondo,

Perocchè andasse ver lo suo diletto

La sposa di colui, ch' ad alte grida
Disposò lei col sangue benedetto,
In sè sicura ed anco a lui più fida,
Due Principi ordinò in suo favore,
Che quinci e quindi le fosser per guida.
L'un fu tutto serafico in ardore,
L'altro per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
Dell' un dirò, perocchè d' ambo e due
Si dice l' un pregiando, qual ch' uom prende,
Perchè ad un fine fur l' opere sue.

Intra Tupino, e l'acqua che discende
Del colle eletto del beato Ubaldo,
Fertile costa d'alto monte pende,
Onde Perugia sente freddo e caldo
Da porta Sole, e diretro le piange
Per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, là dov' ella frange

Più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
Come fa questo tal volta di Gange.
Però chi d'esso loco fa parole

Non dica Ascesi, che direbbe corto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan dall' orto,
Ch' ei cominciò a far sentir la terra
Della sua gran virtute alcun conforto ;
Chè per tal donna giovinetto in guerra
Del padre corse, a cui, com' alla morte,
La porta del piacer nessun disserra,
Ed innanzi alla sua spirital corte,
Et coram patre le si fece unito;
Poscia di dì in dì l' amò più forte

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