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Così tornavan per lo cerchio tetro,
Da ogni mano all' opposito punto,
Gridandosi anche loro ontoso metro:
Poi si volgea ciascun, quando era giunto
Per lo suo mezzo cerchio all' altra giostra.
Ed io che avea lo cor quasi compunto,
Dissi Maestro mio, or mi dimostra

Che gente è questa, e se tutti fur cherci
Questi chercuti alla sinistra nostra.
Ed egli a me Tutti e quanti fur guerci
Sì della mente in la vita primaia,
Che con misura nullo spendio ferci.
Assai la voce lor chiaro l' abbaia,

Quando vengono ai due punti del cerchio,
Ove colpa contraria li dispaia.

Questi fur cherci, che non han coperchio
Piloso al capo, e Papi e Cardinali,
In cui usa avarizia il suo soperchio.
Ed io Maestro, tra questi cotali
Dovre' io ben riconoscere alcuni,
Che furo immondi di cotesti mali.
Ed egli a me: Vano pensiero aduni :
La sconoscente vita, che i fe sozzi,
Ad ogni conoscenza or li fa bruni ;
In eterno verranno alli due cozzi;
Questi risurgeranno del sepulcro
Col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi.
Mal dare e mal tener lo mondo pulcro
Ha tolto loro, e posti a questa zuffa :
Qual ella sia, parole non ci appulcro.
Or puoi, figliuol, veder la corta buffa
Dei ben, che son commessi alla Fortuna,
Perchè l' umana gente si rabbuffa.

C

Chè tutto l'oro, ch' è sotto la luna,
O che già fu, di queste anime stanche
Non poterebbe farne posar una.
Maestro, diss' io lui, or mi di' anche:
Questa Fortuna, di che tu mi tocche,
Che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?
E quegli a me: O creature sciocche,

Quanta ignoranza è quella che vi offende! Or vo' che tu mia sentenza ne imbocche : Colui, lo cui saper tutto trascende,

Fece li cieli, e diè lor chi conduce,
Sì che ogni parte ad ogni parte splende,
Distribuendo ugualmente la luce:
Similemente agli splendor mondani
Ordinò general ministra e duce,
Che permutasse a tempo li ben vani,

Di gente in gente e d' uno in altro sangue,
Oltre la difension dei senni umani :
Perchè una gente impera, e l' altra langue,
Seguendo lo giudizio di costei,

Che è occulto, come in erba l' angue.
Vostro saper non ha contrasto a lei;
Ella provvede, giudica e persegue
Suo regno, come il loro gli altri Dei.
Le sue permutazion non hanno triegue:
Necessità le fa esser veloce,

Si spesso vien chi vicenda consegue.
Quest' è colei, ch'è tanto posta in croce
Pur da color che le dovrian dar lode,
Dandole biasmo a torto e mala voce.
Ma ella s'è beata, e ciò non ode:
Con l'altre prime creature lieta
Volve sua spera, e beata si gode.

Or discendiamo omai a maggior pieta :
Già ogni stella cade, che saliva

Quando mi mossi, e il troppo star si vieta.
Noi ricidemmo il cerchio all' altra riva
Sopra una fonte, che bolle e riversa
Per un fossato che da lei deriva.
L'acqua era buia assai vie più che persa :
E noi, in compagnia dell' onde bige,
Entrammo giù per una via diversa.
Una palude fa, che ha nome Stige,
Questo tristo ruscel, quando è disceso
Al piè delle maligne piaggie grige.
Ed io, che di mirar mi stava inteso,
Vidi genti fangose in quel pantano,
Ignude tutte e con sembiante offeso.
Questi si percotean, non pur con mano,
Ma con la testa, col petto e coi piedi,
Troncandosi coi denti a brano a brano.
Lo buon Maestro disse: Figlio, or vedi
L' anime di color cui vinse l' ira :
Ed anche vo' che tu per certo credi,
Che sotto l'acqua ha gente che sospira,
E fanno pullular quest' acqua al summo,
Come l'occhio ti dice, u' che s' aggira.
Fitti nel limo dicon: Tristi fummo

Nell' aer dolce che dal sol s' allegra,
Portando dentro accidioso fummo:
Or ci attristiam nella belletta negra.
Quest' inno si gorgoglian nella strozza,
Che dir nol posson con parola integra.
Così girammo della lorda pozza

Grand' arco tra la ripa secca e il mezzo, Con gli occhi volti a chi del fango ingozza : Venimmo appiè d' una torre al dassezzo.

CANTO VIII.

Io dico seguitando, ch' assai prima
Che noi fussimo al piè dell' alta torre,
Gli occhi nostri n' andar suso alla cima,
Per due fiammette che i' vedemmo porre,
E un' altra da lungi render cenno

Tanto, ch' a pena il potea l'occhio torre.
Ed io mi volsi al mar di tutto il senno;
Dissi: Questo che dice? e che risponde
Quell' altro foco? e chi son quei che il fenno?
Ed egli a me: Su per le sucide onde

Già puoi scorger quello che s' aspetta,
Se il fummo del pantan nol ti nasconde.
Corda non pinse mai da sè saetta,

Che sì corresse via per l' aere snella,
Com' io vidi una nave piccioletta
Venir per ľ acqua verso noi in quella,
Sotto il governo d' un sol galeoto,
Che gridava: Or sei giunta, anima fella?
Flegias, Flegias, tu gridi a voto,

Disse lo mio signore, a questa volta :
Più non ci avrai, che sol passando il loto.
Quale colui, che grande inganno ascolta
Che gli sia fatto, e poi sè ne rammarca,
Fecesi Flegias nell' ira accolta.

Lo duca mio discese nella barca,
E poi mi fece entrare appresso lui,
E sol quand' io fui dentro, parve carca.
Tosto che il duca ed io nel legno fui,
Secando se ne va l'antica prora

Dell' acqua più che non suol con altrui.

Mentre noi corravam la morta gora,
Dinanzi mi si fece un pien di fango,
E disse Chi sei tu che vieni anzi ora?
Ed io a lui: S' io vegno, non rimango;

Ma tu chi sei, che sei sì fatto brutto?
Rispose: Vedi che son un che piango.
Ed io a lui: Con piangere e con lutto,
Spirito maledetto, ti rimani :

Ch' io ti conosco, ancor sia lordo tutto.
Allora stese al legno ambo le mani :
Perchè il Maestro accorto lo sospinse,
Dicendo: Via costà con gli altri cani.
Lo collo poi con le braccia mi cinse,
Baciommi il volto, e disse: Alma sdegnosa,
Benedetta colei che in te s' incinse.

Quei fu al mondo persona orgogliosa;
Bontà non è che sua memoria fregi :
Così s'è l'ombra sua qui furiosa.
Quanti si tengon or lassù gran regi,
Che qui staranno come porci in brago,
Di sè lasciando orribili dispregi !
Ed io Maestro, molto sarei vago
Di vederlo attuffare in questa broda,
Prima che noi uscissimo del lago.
Ed egli a me: Avanti che la proda
Ti si lasci veder, tu sarai sazio :
Di tal disio converrà che tu goda.
Dopo ciò poco vidi quello strazio
Far di costui alle fangose genti,
Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
Tutti gridavano: A Filippo Argenti :
E il Fiorentino spirito bizzarro
In sè medesmo si volgea coi denti.

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