Se lento amore in lui veder vi tira, O a lui acquistar, questa cornice, Dopo giusto penter, ve ne martira. Altro ben è che non fa l' uom felice; Non è felicità, non è la buona Essenza, d'ogni buon frutto radice. L'amor, ch' ad esso troppo s'abbandona, Di sopra noi si piange per tre cerchi ; Ma, come tripartito, si ragiona,
Tacciolo, acciocchè tu per te ne cerchi.
POSTO avea fine al suo ragionamento L'alto Dottore, ed attento guardava Nella mia vista, s' io parea contento: Ed io, cui nuova sete ancor frugava,
Di fuor taceva, e dentro dicea: Forse Lo troppo domandar, ch' io fo, gli grava. Ma quel padre verace, che s' accorse Del timido voler che non s' apriva, Parlando, di parlare ardir mi porse. Ond' io: Maestro, il mio veder s' avviva Sì nel tuo lume, ch' io discerno chiaro Quanto la tua ragion porti o descriva : Però ti prego, dolce Padre caro,
Che mi dimostri amore, a cui riduci Ogni buono operare e il suo contraro. Drizza, disse, ver me l' acute luci Dello intelletto, e fieti manifesto L' error dei ciechi che si fanno duci. L'animo, ch'è creato ad amar presto, Ad ogni cosa è mobile che piace, Tosto che dal piacere in atto è desto. Vostra apprensiva da esser verace
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, Sì che l' animo ad essa volger face.
E se, rivolto, in ver di lei si piega, Quel piegare è amor, quello è natura Che per piacer di nuovo in voi si lega.
Poi come il foco movesi in altura, Per la sua forma ch' è nata a salire Là dove più in sua materia dura;
Così l'animo preso entra in disire, Ch'è moto spiritale, e mai non posa Fin che la cosa amata il fa gioire. Or ti puote apparer quant' è nascosa La veritade alla gente ch' avvera Ciascuno amore in sè laudabil cosa; Perocchè forse appar la sua matera
Şempr' esser buona; ma non ciascun segno È buono, ancor che buona sia la cera. Le tue parole e il mio seguace ingegno, Risposi lui, m' hanno amor discoperto ; Ma ciò m' ha fatto di dubbiar più pregno; Chè s'amore è di fuori a noi offerto,
E l'anima non va con altro piede, Se dritta o torta va, non è suo merto. Ed egli a me: Quanto ragion qui vede Dirti poss' io; da indi in là t' aspetta Pure a Beatrice; ch' opera è di fede. Ogni forma sustanzial, che setta
È da materia, ed è con lei unita, Specifica virtù ha in sè colletta, La qual senza operar non è sentita, Nè si dimostra, ma che per effetto, Come per verdi fronde in pianta vita. Però, là onde vegna lo intelletto
Delle prime notizie, uomo non sape, Nè dei primi appetibili l' affetto, Ch' è solo in voi, sì come studio in ape Di far lo mele; e questa prima voglia Merto di lode o di biasmo non cape. Or, perchè a questa ogni altra si raccoglia, Innata v'è la virtù che consiglia,
Che dell' assenso de' tener la soglia.
Quest' è il principio, là onde si piglia Ragion di meritare in voi, secondo Che buoni e rei amori accoglie e viglia. Color che ragionando andaro al fondo S'accorser d' esta innata libertate, Però moralità lasciaro al mondo. Onde pognam che di necessitate
Surga ogni amor che dentro a voi s' accende, Di ritenerlo è in voi la potestate.
La nobile virtù Beatrice intende
Per lo libero arbitrio, e però guarda Che l'abbi a mente, s' a parlar ten prende. La luna, quasi a mezza notte tarda, Facea le stelle a noi parer più rade, Fatta com' un secchione che tutto arda; E correa contra il ciel per quelle strade Che il sole infiamma allor, che quel da Roma Tra i Sardi e i Corsi il vede quando cade; E quell' ombra gentil, per cui si noma Pietola più che villa Mantovana,
Del mio carcar deposto avea la soma : Perch' io, che la ragione aperta e piana Sopra le mie questioni avea ricolta, Stava com' uom che sonnolento vana. Ma questa sonnolenza mi fu tolta Subitamente da gente, che dopo Le nostre spalle a noi era già volta. E quale Ismeno già vide ed Asopo, Lungo di sè di notte furia e calca, Pur che i Teban di Bacco avesser uopo; Cotal per quel giron suo passo falca, Per quel ch' io vidi di color, venendo, Cui buon volere e giusto amor cavalca.
Tosto fur sopra noi, perchè correndo Si movea tutta quella turba magna ; E due dinanzi gridavan piangendo : Maria corse con fretta alla montagna; E: Cesare, per soggiogare Ilerda, Punse Marsilia, e poi corse in Ispagna. Ratto, ratto, che il tempo non si perda Per poco amor, gridavan gli altri appresso; Chè studio di ben far grazia rinverda. O gente, in cui fervore acuto adesso
Ricompie forse negligenza e indugio, Da voi per tepidezza in ben far messo, Questi che vive (e certo io non vi bugio) Vuole andar su, purchè il sol ne riluca ; Però ne dite ov' è presso il pertugio. Parole furon queste del mio Duca : Ed un di quegli spirti disse: Vieni Diretro a noi, e troverai la buca. Noi siam di voglia a moverci sì pieni, Che ristar non potem ; però perdona, Se villania nostra giustizia tieni. Io fui Abate in san Zeno a Verona, Sotto lo imperio del buon Barbarossa, Di cui dolente ancor Milan ragiona. E tale ha già l' un piè dentro la fossa, Che tosto piangerà quel monastero, E tristo fia d' averne avuto possa; Perchè suo figlio, mal del corpo intero, E della mente peggio, e che mal nacque, Ha posto in loco di suo pastor vero. Io non so se più disse, o s' ei si tacque, Tant' era già di là da noi trascorso; Ma questo intesi, e ritener mi piacque.
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