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O Marco mio, diss' io, bene argomenti ;
Ed or discerno, perchè da retaggio
Li figli di Levì furono esenti :

Ma qual Gherardo è quel che tu, per saggio,
Di', ch'è rimaso della gente spenta,
In rimproverio del secol selvaggio?
O tuo parlar m' inganna o ei mi tenta,
Rispose a me; chè, parlandomi Tosco,
Par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro soprannome io nol conosco,
S'io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, chè più non vegno vosco.
Vedi l'albòr, che per lo fummo raia,

Già biancheggiare, e me convien partirmi, L'Angelo è ivi, prima ch' io gli appaia. Così tornò, e più non volle udirmi.

CANTO XVII.

RICORDITI, lettor, se mai nell' alpe
Ti colse nebbia, per la qual vedessi
Non altrimenti, che per pelle talpe;
Come, quando i vapori umidi e spessi
A diradar cominciansi, la spera
Del sol debilemente entra per essi ;
E fia la tua imagine leggiera

In giugnere a veder, com' io rividi
Lo sole in pria, che già nel corcare era.
Sì, pareggiando i miei coi passi fidi

Del mio Maestro, uscii fuor di tal nube
Ai raggi, morti già nei bassi lidi.

O immaginativa, che ne rube

Tal volta sì di fuor, ch' uom non s'accorge,
Perchè d' intorno suonin mille tube,
Chi move te, se il senso non ti porge?

Moveti lume, che nel ciel s' informa
Per sè, o per voler che giù lo scorge.
Dell' empiezza di lei, che mutò forma
Nell' uccel che a cantar più si diletta,
Nell' imagine mia apparve l' orma :
E qui fu la mia mente sì ristretta

Dentro da sè, che di fuor non venia
Cosa che fosse allor da lei recetta.
Poi piovve dentro all' alta fantasia
Un crocifisso dispettoso e fiero
Nella sua vista, e cotal si moria.
Intorno ad esso era il grande Assuero,
Ester sua sposa e il giusto Mardocheo,
Che fu al dire ed al far così intero.

E come questa imagine rompeo

per sè stessa, a guisa d'una bulla Cui manca l'acqua sotto qual si feo ; Surse in mia visione una fanciulla,

Piangendo forte, e diceva: O regina,
Perchè per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t' hai per non perder Lavina;
Or m' hai perduta; io son essa che lutto,
Madre, alla tua pria ch' all' altrui ruina.
Come si frange il sonno, ove di butto
Nuova luce percote il viso chiuso,
Che fratto guizza pria che moia tutto;
Così l'immaginar mio cadde giuso,
Tosto ch' un lume il volto mi percosse,
Maggiore assai, che quel ch'è in nostr' uso.
Io mi volgea per vedere ov' io fosse,
Quand' una voce disse: Qui si monta :
Che da ogni altro intento mi rimosse ;
E fece la mia voglia tanto pronta
Di riguardar chi era che parlava,

Che mai non posa, se non si raffronta.
Ma come al sol, che nostra vista grava,
E per soperchio sua figura vela,
Così la mia virtù quivi mancava.
Questi è divino spirito, che ne la

Via d'andar su ne drizza senza prego,
E col suo lume sè medesmo cela.
Si fa con noi, come l' uom si fa sego;
Che quale aspetta prego, e l' uopo vede,
Malignamente già si mette al nego.
Ora accordiamo a tanto invito il piede:
Procacciam di salir pria che s' abbui,
Chè poi non si poría, se il dì non riede.

Così disse il mio Duca, ed io con lui
Volgemmo i nostri passi ad una scala ;
E tosto ch' io al primo grado fui,
Senti'mi presso quasi un mover d' ala,
E ventarmi nel viso, e dir: Beati
Pacifici, che son senza ira mala.
Già eran sopra noi tanto levati

Gli ultimi raggi che la notte segue,
Che le stelle apparivan da più lati.
O virtù mia, perchè sì ti dilegue?
Fra me stesso dicea, chè mi sentiva
La possa delle gambe posta in tregue.
Noi eravam dove più non saliva

La scala su, ed eravamo affissi,
Pur come nave ch' alla piaggia arriva :
Ed io attesi un poco s' io udissi

Alcuna cosa nel nuovo girone;
Poi mi volsi al Maestro mio, e dissi :
Dolce mio Padre, di', quale offensione
Si purga qui nel giro, dove semo?

Se i piè si stanno, non stea tuo sermone.
Ed egli a me: L'amor del bene, scemo
Di suo dover, quiritto si ristora,
Qui si ribatte il mal tardato remo:
Ma perchè più aperto intendi ancora,
Volgi la mente a me, e prenderai
Alcun buon frutto di nostra dimora.
Nè creator, nè creatura mai,

Cominciò ei, figliuol, fu senza amore, O naturale, o d'animo; e tu il sai. Lo natural è sempre senza errore ; Ma l'altro puote errar per malo obbietto, O per poco, o per troppo di vigore.

Mentre ch' egli è nei primo ben diretto,
E nei secondi sè stesso misura,

Esser non può cagion di mal diletto;
Ma, quando al mal si torce, o con più cura,
O con men che non dee, corre nel bene,
Contra il fattore adopra sua fattura.
Quinci comprender puoi ch' esser conviene
Amor sementa in voi d' ogni virtute,
E d'ogni operazion che merta pene.
Or perchè mai non può dalla salute
Amor del suo suggetto torcer viso,
Dall' odio proprio son le cose tute :
E perchè intender non si può diviso,
E per sè stante, alcuno esser dal primo,
Da quello odiare ogni affetto è deciso.
Resta, se dividendo bene estimo,

Che il mal che s' ama è del prossimo, ed esso Amor nasce in tre modi in vostro limo.

È chi, per esser suo vicin soppresso,

Spera eccellenza, e sol per questo brama Ch' ei sia di sua grandezza in basso messo. È chi podere, grazia, onore, e fama Teme di perder perch' altri sormonti, Onde s' attrista sì, che il contrario ama; Ed è chi per ingiuria par ch' adonti Sì, che si fa della vendetta ghiotto; E tal convien, che il male altrui impronti. Questo triforme amor quaggiù disotto

Si piange; or vo' che tu dell' altro intende, Che corre al ben con ordine corrotto. Ciascun confusamente un bene apprende, Nel qual si queti l' animo, e disira : Perchè di giugner lui ciascun contende.

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