Prima convien che tanto il ciel m' aggiri Che surga su di cor che in grazia viva : L'altra che val, che in ciel non è udita ? E già il Poeta innanzi mi saliva, E dicea: Vienne omai, vedi ch'è tocco Meridian dal sole, e dalla riva Copre la notte già col piè Morrocco. CANTO V. Io era già da quell' ombre partito, Pur me, pur me, e il lume ch' era rotto. Disse il Maestro, che l' andare allenti? Che ti fa ciò che quivi si pispiglia? Vien retro a me, e lascia dir le genti; Sta come torre ferma, che non crolla Giammai la cima per soffiar dei venti. Chè sempre l' uomo, in cui pensier rampolla Sopra pensier, da sè dilunga il segno, Perchè la foga l' un dell' altro insolla. Che poteva io ridir, se non : Io vegno? Dissilo, alquanto del color consperso Che fa l' uom di perdon tal volta degno. E intanto per la costa di traverso Venivan genti innanzi a noi un poco, Cantando Miserere a verso a verso. Quando s' accorser ch' io non dava loco, Per lo mio corpo, al trapassar de' raggi, Mutar lor canto in un O! lungo e roco; E due di loro in forma di messaggi Corsero incontro a noi, e domandarne. Di vostra condizion fatene saggi. E il mio Maestro: Voi potete andarne, Che il corpo di costui è vera carne. Con quelle membra, con le quai nascesti, Deh perchè vai? deh perchè non t' arresti? Noi fummo già tutti per forza morti, E peccatori infino all' ultim' ora: Quivi lume del ciel ne fece accorti Sì, che, pentendo e perdonando, fuora Di vita uscimmo a Dio pacificati, Che del disio di sè veder n' accora. Ed io Perchè nei vostri visi guati, Non riconosco alcun; ma se a voi piace, Cosa ch' io possa, spiriti ben nati, Voi dite; ed io farò per quella pace, Che, retro ai piedi di sì fatta guida, Di mondo in mondo cercar mi si face. Ed uno incominciò: Ciascun si fida Pur che il voler nonpossa non ricida. In Fano sì, che ben per me s' adori, Onde uscì il sangue, in sul qual io sedea, Quel da Esti il fe far, che m' avea in ira Corsi al palude, e le cannucce e il brago Dove il vocabol suo diventa vano Fuggendo a piede e sanguinando il piano. Quivi perdei la vista, e la parola Nel nome di Maria finii, e quivi Caddi, e rimase la mia carne sola. Io dirò il vero, e tu il ridi' tra i vivi; L' Angel di Dio mi prese, e quel d' inferno Gridava: O tu del ciel, perchè mi privi? Tu te ne porti di costui l' eterno Per una lagrimetta che il mi toglie; Ma io farò dell' altro altro governo. Ben sai come nell' aere si raccoglie Quell' umido vapor che in acqua riede, Tosto che sale dove il freddo il coglie. Giunse quel mal voler, che pur mal chiede Con l'intelletto, e mosse il fummo e il vento Per la virtù che sua natura diede. Indi la valle, come il dì fu spento, Da Pratomagno al gran giogo coperse Di nebbia, e il giel di sopra fece intento Sì, che il pregno aere in acqua si converse : La pioggia cadde, ed ai fossati venne Di lei ciò che la terra non sofferse : E come ai rivi grandi si convenne, Ver lo fiume real tanto veloce Si ruinò, che nulla la ritenne. Lo corpo mio gelato in sulla foce Trovò l' Archian rubesto; e quel sospinse Nell' Arno, e sciolse al mio petto la croce, Ch' io fei di me quando il dolor mi vinse : Voltommi per le ripe e per lo fondo, Poi di sua preda mi coperse e cinse. |