Con cagne magre, studiose e conte, Pianger senti' fra il sonno i miei figliuoli, Ch' eran con meco, e domandar del pane. Ben sei crudel, se tu già non ti duoli, Pensando ciò ch' il mio cor s' annunziava : Ed io sentii chiavar l' uscio di sotto Tutto quel giorno, nè la notte appresso, E disser Padre, assai ci fia men doglia, Queta' mi allor per non farli più tristi : Ahi dura terra, perchè non t' apristi? Vid' io cascar li tre ad uno ad uno Tra il quinto dì e il sesto: ond' io mi diedi Già cieco a brancolar sopra ciascuno, E due dì li chiamai poi che fur morti : Poscia, più che il dolor, potè il digiuno. Quand' ebbe detto ciò, con gli occhi torti Riprese il teschio misero coi denti, Che furo all'osso, come d' un can, forti. Ahi Pisa, vituperio delle genti Del bel paese là, dove il sì suona ; Poi che i vicini a te punir son lenti, Movasi la Caprara e la Gorgona, E faccian siepe ad Arno in sulla foce, Sì ch' egli anneghi in te ogni persona. Chè se il Conte Ugolino aveva voce D'aver tradita te delle castella, Non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. Novella Tebe, Uguccione e il Brigata, E il duol, che trova in sugli occhi rintoppo, Chè le lagrime prime fanno groppo, E, sì come visiere di cristallo, Riempion sotto il ciglio tutto il coppo. Ed avvegna che, sì come d' un callo, Per la freddura ciascun sentimento Cessato avesse del mio viso stallo, Già mi parea sentire alquanto vento; Perch' io: Maestro mio, questo chi move? Non è quaggiù ogni vapore spento? Ond' egli a me: Avaccio sarai, dove Di ciò ti farà l'occhio la risposta, Veggendo la cagion che il fiato piove. Ed un dei tristi della fredda crosta Gridò a noi: O anime crudeli Tanto, che data v' è l' ultima posta, Levatemi dal viso i duri veli, Sì ch' io sfoghi il dolor che il cor m' impregna Un poco, pria che il pianto si raggeli. Perch' io a lui: Se vuoi ch' io ti sovvegna, Dimmi chi sei, e s' io non ti disbrigo, Al fondo della ghiaccia ir mi convegna. Rispose adunque: Io son Frate Alberigo, Io son quel delle frutte del mal orto, Che qui riprendo dattero per figo. O, diss' io lui: Or sei tu ancor morto? Ed egli a me: Come il mio corpo stea Nel mondo su, nulla scienza porto. Cotal vantaggio ha questa Tolomea, Che spesse volte l' anima ci cade Innanzi ch' Atropòs mossa le dea. E perchè tu più volentier mi rade Le invetriate lagrime dal volto, Sappi che tosto che l' anima trade, Come fec' io, il corpo suo l' è tolto Da un demonio, che poscia il governa Mentre che il tempo suo tutto sia volto. Ella ruina in sì fatta cisterna; E forse pare ancor lo corpo suso Dell' ombra che di qua retro mi verna. Tu il dei saper, se tu vien pur mo giuso : Egli è Ser Branca d'Oria, e son più anni Poscia passati, ch' ei fu sì racchiuso. Io credo, dissi lui, che tu m' inganni; Chè Branca d' Oria non morì unquanche, E mangia e bee e dorme e veste panni. Nel fosso su, diss' ei, di Malebranche, Là dove bolle la tenace pece, Non era giunto ancora Michel Zanche, Che questi lasciò il diavolo in sua vece Nel corpo suo, e d' un suo prossimano Che il tradimento insieme con lui fece. Ma distendi oramai in qua la mano, Aprimi gli occhi: ed io non gliele apersi, E cortesia fu, in lui esser villano. Ahi Genovesi, uomini diversi D' ogni costume, e pien d' ogni magagna, Perchè non siete voi del mondo spersi? Chè col peggiore spirto di Romagna Trovai un tal di voi, che per sua opra L CANTO XXXIV. VEXILLA Regis prodeunt inferni Poi per lo vento mi ristrinsi retro Al Duca mio; chè non lì era altra grotta. Già era (e con paura il metto in metro) Là, dove l' ombre eran tutte coperte, E trasparean come festuca in vetro. Altre sono a giacere, altre stanno erte, Quella col capo, e quella con le piante ; Altra, com' arco, il volto ai piedi inverte. Quando noi fummo fatti tanto avante, Ch' al mio Maestro piacque di mostrarmi La creatura ch' ebbe il bel sembiante, Dinanzi mi si tolse, e fe restarmi, Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco, Ove convien che di fortezza t' armi. Com' io divenni allor gelato e fioco, Nol domandar, Lettor, ch' io non lo scrivo, Però ch' ogni parlar sarebbe poco. Io non morii, e non rimasi vivo : Pensa oramai per te, s' hai fior d' ingegno, Da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia; |