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Vedi come storpiato è Maometto. Dinanzi a me sen va piangendo Ali Fesso nel volto dal mento al ciuffetto : E tutti gli altri, che tu vedi qui,

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Seminator di scandalo e di scisma Fur vivi; e però son fessi così. Un diavolo è qua dietro che n' accisma Si crudelmente, al taglio della spada Rimettendo ciascun di questa risma, Quando avem volta la dolente strada Perocchè le ferite son richiuse Prima ch' altri dinanzi gli rivada. Ma tu chi sei che in sullo scoglio muse, Forse per indugiar d' ire alla pena, Ch' è giudicata in sulle tue accuse? Nè morte il giunse ancor, nè colpa il mena, Rispose il mio Maestro, a tormentarlo; Ma per dar lui esperienza piena, A me, che morto son, convien menarlo Per lo inferno quaggiù di giro in giro : E questo è ver così com' io ti parlo. Più fur di cento che, quando l' udiro, S'arrestaron nel fosso a riguardarmi, Per maraviglia obbliando il martiro. Or di' a Fra Dolcin dunque che s' armi, Tu che forse vedrai lo sole in breve, S' egli non vuol qui tosto seguitarmi, Si di vivanda, che stretta di neve

Non rechi la vittoria al Noarese, Ch' altrimenti acquistar non saria lieve. Poi che l' un piè per girsene sospese, Maometto mi disse esta parola, Indi a partirsi in terra lo distese.

Un altro, che forata avea la gola

E tronco il naso infin sotto le ciglia, E non avea ma ch' un' orecchia sola, Restato a riguardar per maraviglia

Con gli altri, innanzi agli altri aprì la canna Ch' era di fuor d' ogni parte vermiglia; E disse: Tu cui colpa non condanna, E cui io vidi su in terra Latina,

Se troppa simiglianza non m' inganna, Rimembriti di Pier da Medicina,

Se mai torni a veder lo dolce piano, Che da Vercelli a Marcabò dichina. E fa saper ai due miglior di Fano,

A messer Guido ed anco ad Angiolello
Che, se l'antiveder qui non è vano,
Gittati saran fuor di lor vasello,

E mazzerati presso alla Cattolica,
Per tradimento d' un tiranno fello.
Tra l'isola di Cipro e di Maiolica
Non vide mai sì gran fallo Nettuno,
Non da pirati, non da gente Argolica.
Quel traditor che vede pur con l' uno,
E tien la terra, che tal è qui meco,
Vorrebbe di vedere esser digiuno,
Farà venirli a parlamento seco;

Poi farà sì, che al vento di Focara
Non farà lor mestier voto nè preco.
Ed io a lui: Dimostrami e dichiara,
Se vuoi ch' io porti su di te novella,
Chi è colui dalla veduta amara.
Allor pose la mano alla mascella

D'un suo compagno, e la bocca gli aperse Gridando: Questi è desso, e non favella :

Questi, scacciato, il dubitar sommerse
In Cesare, affermando che il fornito
Sempre con danno l' attender sofferse.
O quanto mi pareva sbigottito

Con la lingua tagliata nella strozza,
Curio, ch' a dire fu così ardito!

Ed un ch' avea l' una e l' altra man mozza,
Levando i moncherin per l' aura fosca,
Sì che il sangue facea la faccia sozza,
Gridò: Ricordera' ti anche del Mosca,
Che dissi, lasso! Capo ha cosa fatta,
Che fu il mal seme per la gente tosca.
Ed io gli aggiunsi: E morte di tua schiatta ;
Perch' egli accumulando duol con duolo,
Sen gío come persona trista e matta.
Ma io rimasi a riguardar lo stuolo,
E vidi cosa ch' io avrei paura,
Senza più prova, di contarla solo;
Se non che coscienza mi assicura,

La buona compagnia che l' uom francheggia
Sotto l' asbergo del sentirsi pura.

Io vidi certo, ed ancor par ch' io il veggia,
Un busto senza capo andar, sì come
Andavan gli altri della trista greggia.
E il capo tronco tenea per le chiome,
Pesol con mano a guisa di lanterna,
E quel mirava noi, e dicea: O me!
Di sè faceva a sè stesso lucerna,

Ed eran due in uno, ed uno in due;
Com' esser può, Quei sa che sì governa.

Quando diritto al piè del ponte fue,
Levò il braccio alto con tutta la testa
Per appressarne le parole sue,

Che furo Or vedi la pena molesta

Tu che, spirando, vai veggendo i morti :
Vedi se alcuna è grande come questa;
E perchè tu di me novella porti,

Sappi ch' io son Bertram dal Bornio, quelli
Che diedi al re giovane i mai conforti.
Io feci il padre e il figlio in sè ribelli:
Achitofel non fe più d' Ansalone
E di David coi malvagi pungelli.
Perch' io partii così giunte persone,
Partito porto il mio cerebro, lasso!
Dal suo principio ch' è in questo troncone.
Così s' osserva in me lo contrapasso.

CANTO XXIX.

La molta gente e le diverse piaghe
Avean le luci mie sì inebriate,

Che dello stare a piangere eran vaghe;
Ma Virgilio mi disse: Che pur guate?
Perchè la vista tua pur si soffolge
Laggiù tra l'ombre triste smozzicate?
Tu non hai fatto sì all' altre bolge:
Pensa, se tu annoverar le credi,
Che miglia ventidue la valle volge;
E già la luna è sotto i nostri piedi :

Lo tempo è poco omai che n' è concesso,
Ed altro è da veder che tu non vedi.
Se tu avessi, rispos' io appresso,

Atteso alla cagion perch' io guardava,
Forse m' avresti ancor lo star dimesso.
Parte sen gía, ed io retro gli andava,
Lo Duca, già facendo la risposta,

E soggiungendo: Dentro a quella cava,
Dov' io teneva or l'occhio sì a posta,

Credo che un spirto del mio sangue pianga
La colpa che laggiù cotanto costa.

Allor disse il Maestro: Non si franga

Lo tuo pensier da qui innanzi sopr❜ ello : Attendi ad altro, ed ei là si rimanga ; Ch' io vidi lui a piè del ponticello Mostrarti, e minacciar forte col dito, Ed udi 'l nominar Geri del Bello. Tu eri allor si del tutto impedito Sopra colui che già tenne Altaforte, Che non guardasti in là; sì fu partito.

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