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Io era ingiuso ancora attento e chino,
Quando il mio Duca mi tentò di costa,
Dicendo: Parla tu, questi è Latino.
Ed io ch' avea già pronta la risposta,
Senza indugio a parlare incominciai :
O anima, che sei laggiù nascosta,
Romagna tua non è, e non fu mai,
Senza guerra nei cor dei suoi tiranni;
Ma in palese nessuna or vi lasciai.
Ravenna sta, come stata è molti anni:
L'aquila da Polenta la si cova,

Si che Cervia ricopre co' suoi vanni.
La terra che fe già la lunga prova,
E dei Franceschi sanguinoso mucchio,
Sotto le branche verdi si ritrova.

Il Mastin vecchio, e il nuovo da Verrucchio,
Che fecer di Montagna il mal governo,
Là dove soglion, fan dei denti succhio.
Le città di Lamone e di Santerno

Conduce il leoncel dal nido bianco,
Che muta parte dalla state al verno;
E quella a cui il Savio bagna il fianco,
Così com' ella sie' tra il piano e il monte,
Tra tirannia si vive e stato franco.

Ora chi sei ti prego che ne conte:

Non esser duro più ch' altri sia stato,
Se il nome tuo nel mondo tegna fronte.
Poscia che il foco alquanto ebbe rugghiato
Al modo suo, l' acuta punta mosse
Di qua, di là, e poi diè cotal fiato:
S'io credessi che mia risposta fosse

A persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma staria senza più scosse :

Ma perciocchè giammai di questo fondo
Non tornò vivo alcun, s' i' odo il vero,
Senza tema d' infamia ti rispondo.
Io fui uom d'arme, e poi fui cordelliero,
Credendomi, sì cinto, fare ammenda :
E certo il creder mio veniva intero,
Se non fosse il gran Prete, a cui mal prenda,
Che mi rimise nelle prime colpe;
E come, e quare voglio che m' intenda.
Mentre ch' io forma fui d' ossa e di polpe,
Che la madre mi diè, l' opere mie
Non furon leonine, ma di volpe.
Gli accorgimenti e le coperte vie
Io seppi tutte; e sì menai lor arte,
Ch' al fine della terra il suono uscie.
Quando mi vidi giunto in quella parte
Di mia etade, ove ciascun dovrebbe
Calar le vele e raccoglier le sarte,
Ciò che pria mi piaceva, allor m' increbbe,
E pentuto e confesso mi rendei;
Ahi miser lasso! e giovato sarebbe.
Lo Principe dei nuovi Farisei,

Avendo guerra presso a Laterano,
E non con Saracin, nè con Giudei;
Chè ciascun suo nimico era Cristiano,
E nessuno era stato a vincer Acri,
Nè mercatante in terra di Soldano:
Nè sommo offizio, nè ordini sacri

Guardò in sè, nè in me quel capestro Che solea far li suoi cinti più macri. Ma come Constantin chiese Silvestro Dentro Siratti a guarir della lebbre, Così mi chiese questi per maestro

A guarir della sua superba febbre :
Domandommi consiglio, ed io tacetti,
Perchè le sue parole parver ebbre.
E poi mi disse: Tuo cor non sospetti :
Finor t' assolvo, e tu m' insegna fare
Sì come Penestrino in terra getti.
Lo ciel poss' io serrare e disserrare,
Come tu sai; però son due le chiavi,
Che il mio antecessor non ebbe care.
Allor mi pinser gli argomenti gravi

Là 've il tacer mi fu avviso il peggio,
E dissi: Padre, da che tu mi lavi
Di quel peccato, ov' io mo cader deggio,
Lunga promessa con l' attender corto
Ti farà trionfar nell' alto seggio.
Francesco venne poi, com' io fui morto,
Per me; ma un dei neri Cherubini
Gli disse: Nol portar; non mi far torto.
Venir sen dee là giù trai miei meschini,
Perchè diede il consiglio frodolente,
Dal quale in qua stato gli sono ai crini;
Ch' assolver non si può, chi non si pente,
Nè pentere e volere insieme puossi,
Per la contradizion che nol consente.
O me dolente! come mi riscossi,

Quando mi prese, dicendomi : Forse Tu non pensavi ch' io loico fossi ! A Minos mi portò: e quegli attorse Otto volte la coda al dosso duro, E, poi che per gran rabbia la si morse, Disse Questi è dei rei del foco furo : Perch' io là dove vedi son perduto, E sì vestito andando mi rancuro.

Quand' egli ebbe il suo dir così compiuto, La fiamma dolorando si partio,

Torcendo e dibattendo il corno acuto. Noi passammo oltre, ed io e il Duca mio, Su per lo scoglio infino in sull' altr' arco Che copre il fosso, in che si paga il fio A quei che scommettendo acquistan carco.

CANTO XXVIII.

CHI poria mai pur con parole sciolte
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch' i' ora vidi, per narrar più volte ?
Ogni lingua per certo verria meno

Per lo nostro sermone e per la mente,
Ch' hanno a tanto comprender poco seno.
S'ei s'adunasse ancor tutta la gente,
Che già in sulla fortunata terra
Di Puglia fu del suo sangue dolente
Per li Troiani, e per la lunga guerra
Che dell' anella fe sì alte spoglie,
Come Livio scrive, che non erra :
Con quella che sentì di colpi doglie,
Per contrastare a Roberto Guiscardo,
E l'altra, il cui ossame ancor s'accoglie
A Ceperan, là dove fu bugiardo

Ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo
Ove senz' arme vinse il vecchio Alardo :
E qual forato suo membro, e qual mozzo
Mostrasse, da equar sarebbe nulla
Al modo della nona bolgia sozzo.
Già veggia per mezzul perdere o lulla,
Com' io vidi un, così non si pertugia,
Rotto dal mento infin dove si trulla :
Tra le gambe pendevan le minugia ;

La corata pareva, e il tristo sacco
Che merda fa di quel che si trangugia.
Mentre che tutto in lui veder m' attacco,
Guardommi, e con le man s'aperse il petto,
Dicendo: Or vedi come io mi dilacco :

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