S' egli è che sì la destra costa giaccia, Che noi possiam nell' altra bolgia scendere, Noi fuggirem l' immaginata caccia. Già non compiè di tal consiglio rendere, Ch' io gli vidi venir con l' ali tese, Non molto lungi, per volerne prendere. Lo Duca mio di subito mi prese, Come la madre ch' al romore è desta, E vede presso a sè le fiamme accese, Che prende il figlio e fugge e non s'arresta, Avendo più di lui che di sè cura, Tanto che solo una camicia vesta : Supin si diede alla pendente roccia, Del fondo giù, ch' ei furono in sul colle Di fuor dorate son, sì ch' egli abbaglia; O in eterno faticoso manto! Noi ci volgemmo ancor pure a man manca Con loro insieme, intenti al tristo pianto : Ma per lo peso quella gente stanca Venia sì pian, che noi eravam nuovi Di compagnia ad ogni mover d' anca. Perch' io al Duca mio: Fa che tu trovi Alcun, ch' al fatto o al nome si conosca, E gli occhi si andando intorno movi. Ed un, che intese la parola Tosca, Diretro a noi gridò: Tenete i piedi, Voi, che correte sì per l' aura fosca : Forse ch' avrai da me quel che tu chiedi. Onde il Duca si volse, e disse: Aspetta, E poi secondo il suo passo procedi. Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta Dell' animo, col viso, d' esser meco; Poi si volsero in sè, e dicean seco: Dir chi tu sei non avere in dispregio. Ma voi chi siete, a cui tanto distilla, Per conservar sua pace, e fummo tali, Porre un uom per lo popolo ai martiri. Come tu vedi, ed è mestier ch' ei senta In questa fossa, e gli altri del concilio Sopra colui ch' era disteso in croce Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci Onde noi ambo e due possiamo uscirci Che vegnan d' esto fondo a dipartirci. Rispose adunque: Più che tu non speri S'appressa un sasso, che dalla gran cerchia Si move, e varca tutti i vallon feri, Salvo ch' a questo è rotto, e nol coperchia: Montar potrete su per la ruina, Che giace in costa, e nel fondo soperchia. Lo Duca stette un poco a testa china, Poi disse: Mal contava la bisogna Colui, che i peccator di là uncina. E il frate Io udi' già dire a Bologna Del Diavol vizii assai, tra i quali udi' Ch' egli è bugiardo, e padre di menzogna. Appresso il Duca a gran passi sen gì, Turbato un poco d' ira nel sembiante : Ond' io dagl' incarcati mi parti' Dietro alle poste delle care piante. CANTO XXIV. IN quella parte del giovinetto anno, Ma poco dura alla sua penna tempra ; Come il tapin che non sa che si faccia; Poi riede, e la speranza ringavagna, Veggendo il mondo aver cangiata faccia In poco ď ora, e prende suo vincastro, E fuor le pecorelle a pascer caccia : Così mi fece sbigottir lo Mastro, Quand' io gli vidi sì turbar la fronte, E così tosto al mal giunse lo impiastro : Chè come noi venimmo al guasto ponte, Lo Duca a me si volse con quel piglio Dolce, ch' io vidi prima a piè del monte. Le braccia aperse, dopo alcun consiglio Eletto seco, riguardando prima Ben la ruina, e diedemi di piglio. E come quei che adopera ed estima, Che sempre par che innanzi si proveggia; Così, levando me su ver la cima D'un ronchion, avvisava un' altra scheggia, Dicendo: Sopra quella poi t' aggrappa ; Ma tenta pria s'è tal ch' ella ti reggia. |