Page images
PDF
EPUB

S' egli è che sì la destra costa giaccia,

Che noi possiam nell' altra bolgia scendere, Noi fuggirem l' immaginata caccia. Già non compiè di tal consiglio rendere, Ch' io gli vidi venir con l' ali tese, Non molto lungi, per volerne prendere. Lo Duca mio di subito mi prese,

Come la madre ch' al romore è desta, E vede presso a sè le fiamme accese, Che prende il figlio e fugge e non s'arresta, Avendo più di lui che di sè cura,

Tanto che solo una camicia vesta :
E giù dal colle della ripa dura

Supin si diede alla pendente roccia,
Che l' un dei lati all' altra bolgia tura.
Non corse mai sì tosto acqua per doccia
A volger rota di molin terragno,
Quand' ella più verso le pale approccia,
Come il Maestro mio per quel vivagno,
Portandosene me sopra il suo petto,
Come suo figlio, non come compagno.
Appena fur li piè suoi giunti al letto

Del fondo giù, ch' ei furono in sul colle
Sopresso noi ma non gli era sospetto ;
Chè l' alta provvidenza, che lor volle
Porre ministri della fossa quinta,
Poder di partirs' indi a tutti tolle.
Laggiù trovammo una gente dipinta,
Che giva intorno assai con lenti passi
Piangendo, e nel sembiante stanca e vinta.
Egli avean cappe con cappucci bassi
Dinanzi agli occhi, fatti della taglia
Che in Clugnì per li monaci fassi.

Di fuor dorate son, sì ch' egli abbaglia;
Ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
Che Federico le mettea di paglia.

O in eterno faticoso manto!

Noi ci volgemmo ancor pure a man manca Con loro insieme, intenti al tristo pianto : Ma per lo peso quella gente stanca

Venia sì pian, che noi eravam nuovi Di compagnia ad ogni mover d' anca. Perch' io al Duca mio: Fa che tu trovi Alcun, ch' al fatto o al nome si conosca, E gli occhi si andando intorno movi. Ed un, che intese la parola Tosca,

Diretro a noi gridò: Tenete i piedi, Voi, che correte sì per l' aura fosca : Forse ch' avrai da me quel che tu chiedi. Onde il Duca si volse, e disse: Aspetta, E poi secondo il suo passo procedi. Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta

Dell' animo, col viso, d' esser meco;
Ma tardavagli il carco e la via stretta.
Quando fur giunti, assai con l'occhio bieco
Mi rimiraron senza far parola:

Poi si volsero in sè, e dicean seco:
Costui par vivo all' atto della gola :
E s' ei son morti, per qual privilegio
Vanno scoperti della grave stola ?
Poi disser me: O Tosco, ch' al collegio
Degl' ipocriti tristi sei venuto,

Dir chi tu sei non avere in dispregio.
Ed io a loro: Io fui nato e cresciuto
Sopra il bel fiume d' Arno alla gran villa,
E son col corpo ch' i' ho sempre avuto.

Ma voi chi siete, a cui tanto distilla,
Quant' io veggio, dolor giù per le guance,
E che pena è in voi che sì sfavilla?
E l' un rispose a me: Le cappe rance
Son di piombo sì grosse, che li pesi
Fan così cigolar le lor bilance.
Frati Godenti fummo, e Bolognesi,
Io Catalano, e questi Loderingo
Nomati, e da tua terra insieme presi,
Come suole esser tolto un uom solingo

Per conservar sua pace, e fummo tali,
Ch' ancor si pare intorno dal Gardingo.
Io cominciai: O frati, i vostri mali . . .
Ma più non dissi: ch' all' occhio mi corse
Un, crocifisso in terra con tre pali.
Quando mi vide, tutto si distorse,
Soffiando nella barba coi sospiri :
E frate Catalan, ch' a ciò s' accorse,
Mi disse: Quel confitto, che tu miri,
Consigliò i Farisei, che convenia

Porre un uom per lo popolo ai martiri.
Attraversato e nudo è nella via,

Come tu vedi, ed è mestier ch' ei senta
Qualunque passa com' ei pesa pria :
Ed a tal modo il suocero si stenta

In questa fossa, e gli altri del concilio
Che fu per li Giudei mala sementa.
Allor vid' io maravigliar Virgilio

Sopra colui ch' era disteso in croce
Tanto vilmente nell' eterno esilio.
Poscia drizzò al frate cotal voce:

Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
Se alla man destra giace alcuna foce,

Onde noi ambo e due possiamo uscirci
Senza costringer degli angeli neri,

Che vegnan d' esto fondo a dipartirci. Rispose adunque: Più che tu non speri S'appressa un sasso, che dalla gran cerchia Si move, e varca tutti i vallon feri,

Salvo ch' a questo è rotto, e nol coperchia: Montar potrete su per la ruina,

Che giace in costa, e nel fondo soperchia. Lo Duca stette un poco a testa china, Poi disse: Mal contava la bisogna Colui, che i peccator di là uncina. E il frate Io udi' già dire a Bologna Del Diavol vizii assai, tra i quali udi' Ch' egli è bugiardo, e padre di menzogna. Appresso il Duca a gran passi sen gì, Turbato un poco d' ira nel sembiante : Ond' io dagl' incarcati mi parti' Dietro alle poste delle care piante.

CANTO XXIV.

IN quella parte del giovinetto anno,
Che il sole i crin sotto l' Aquario tempra,
E già le notti al mezzo dì sen vanno :
Quando la brina in sulla terra assempra
L'imagine di sua sorella bianca,

Ma poco dura alla sua penna tempra ;
Lo villanello, a cui la roba manca,
Si leva e guarda, e vede la campagna
Biancheggiar tutta, ond' ei si batte l'anca :
Ritorna in casa, e qua e là si lagna,

Come il tapin che non sa che si faccia; Poi riede, e la speranza ringavagna, Veggendo il mondo aver cangiata faccia

In poco ď ora, e prende suo vincastro,

E fuor le pecorelle a pascer caccia : Così mi fece sbigottir lo Mastro,

Quand' io gli vidi sì turbar la fronte, E così tosto al mal giunse lo impiastro : Chè come noi venimmo al guasto ponte, Lo Duca a me si volse con quel piglio Dolce, ch' io vidi prima a piè del monte. Le braccia aperse, dopo alcun consiglio Eletto seco, riguardando prima Ben la ruina, e diedemi di piglio. E come quei che adopera ed estima, Che sempre par che innanzi si proveggia; Così, levando me su ver la cima

D'un ronchion, avvisava un' altra scheggia, Dicendo: Sopra quella poi t' aggrappa ; Ma tenta pria s'è tal ch' ella ti reggia.

« PreviousContinue »