Ahi quanto egli era nell' aspetto fiero ! Carcava un peccator con ambo l' anche, Fanno attuffare in mezzo la caldaia La carne cogli uncin, perchè non galli. Lo buon Maestro: Acciocchè non si paia Che tu ci sii, mi disse, giù t' acquatta Dopo uno scheggio, che alcun schermo t' haia; E per nulla offension che mi sia fatta, Non temer tu, ch' io ho le cose conte, Perchè altra volta fui a tal baratta. Poscia passò di là dal co del ponte, E volser contra lui tutti i roncigli; Perchè un si mosse, e gli altri stetter fermi; E venne a lui dicendo: Che gli approda ? Credi tu, Malacoda, qui vedermi Esser venuto, disse il mio Maestro, Sicuro già da tutti vostri schermi, Senza voler divino e fato destro? Lasciane andar, chè nel cielo è voluto Ch'io mostri altrui questo cammin silvestro. Allor gli fu l' orgoglio sì caduto, Che si lasciò cascar l' uncino ai piedi, E disse agli altri: Omai non sia feruto. E il Duca mio a me : O tu, che siedi Tra gli scheggion del ponte quatto quatto, Perch' io mi mossi, ed a lui venni ratto : Sì ch' io temetti non tenesser patto Io m' accostai con tutta la persona Lungo il mio Duca, e non torceva gli occhi Dalla sembianza lor ch' era non buona. Ei chinavan gli raffi, e, Vuoi che il tocchi, Diceva l' un con l' altro, in sul groppone ? E rispondean: Sì, fa che gliele accocchi. Ma quel demonio che tenea sermone Col Duca mio, si volse tutto presto E disse: Posa, posa, Scarmiglione. Poi disse a noi : Più oltre andar per questo Scoglio non si può, perocchè giace Tutto spezzato al fondo l' arco sesto : E se l'andare avanti pur vi piace, Andatevene su per questa grotta ; Presso è un altro scoglio che via face. Ier, più oltre cinqu' ore che quest' otta, Mille dugento con sessanta sei Anni compiè, che qui la via fu rotta. Io mando verso là di questi miei A riguardar s' alcun se ne sciorina : Gite con lor, ch' ei non saranno rei. Tratti avanti, Alichino e Calcabrina, Cominciò egli a dire, e tu, Cagnazzo, E Barbariccia guidi la decina. Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo, Ciriatto sannuto, e Graffiacane, E Farfarello, e Rubicante il pazzo. Cercate intorno alle boglienti pane ; Costor sien salvi insino all' altro scheggio Che tutto intero va sopra le tane. O me! Maestro, che è quel che io veggio? Diss' io deh! senza scorta andiamci soli, Se tu sai ir, ch' io per me non la chieggio. : Se tu sei sì accorto come suoli, Non vedi tu ch' ei digrignan li denti, E colle ciglia ne minaccian duoli? Ed egli a me: Non vo' che tu paventi : Lasciali digrignar pure a lor senno, Ch' ei fanno ciò per li lessi dolenti. Per l'argine sinistro volta dienno ; Ma prima avea ciascun la lingua stretta Coi denti, verso lor duca per cenno, Ed egli avea del cul fatto trombetta. CANTO XXII. Io vidi già cavalier mover campo, O Aretini, e vidi gir gualdane, Ahi fiera compagnia ! ma nella chiesa Coi santi, ed in taverna coi ghiottoni. Pure alla pegola era la mia intesa, Per veder della bolgia ogni contegno, E della gente ch' entro v' era incesa. Come i delfini, quando fanno segno Ai marinar con l'arco della schiena, Che s' argomentin di campar lor legno; Talor così ad alleggiar la pena Mostrava alcun dei peccatori il dosso, Stanno i ranocchi pur col muso fuori, |