Page images
PDF
EPUB

Ahi quanto egli era nell' aspetto fiero !
E quanto mi parea nell' atto acerbo,
Con l' ale aperte, e sopra il piè leggiero !
L'omero suo, ch' era acuto e superbo,

Carcava un peccator con ambo l' anche,
E quei tenea dei piè ghermito il nerbo.
Del nostro ponte, disse, o Malebranche,
Ecco un degli anzian di santa Zita :
Mettetel sotto, ch' io torno per anche
A quella terra ch' i' n' ho ben fornita :
Ognun v' è barattier, fuor che Bonturo :
Del no, per li denar, vi si fa ita.
Laggiù il buttò, e per lo scoglio duro
Si volse, e mai non fu mastino sciolto
Con tanta fretta a seguitar lo furo.
Quei s' attuffò, e tornò su convolto;
Ma i demon, che del ponte avean coperchio,
Gridar Qui non ha loco il santo volto ;
Qui si nuota altrimenti che nel Serchio;
Però, se tu non vuoi dei nostri graffi,
Non far sopra la pegola soperchio.
Poi l' addentar con più di cento raffi ;
Disser Coperto convien che qui balli,
Sì che, se puoi, nascosamente accaffi.
Non altrimenti i cuochi ai lor vassalli

Fanno attuffare in mezzo la caldaia La carne cogli uncin, perchè non galli. Lo buon Maestro: Acciocchè non si paia Che tu ci sii, mi disse, giù t' acquatta Dopo uno scheggio, che alcun schermo t' haia; E per nulla offension che mi sia fatta, Non temer tu, ch' io ho le cose conte,

Perchè altra volta fui a tal baratta.

Poscia passò di là dal co del ponte,
E com' ei giunse in su la ripa sesta,
Mestier gli fu d' aver sicura fronte.
Con quel furor e con quella tempesta
Ch' escono i cani addosso al poverello,
Che di subito chiede ove s'arresta;
Usciron quei di sotto il ponticello,

E volser contra lui tutti i roncigli;
Ma ei gridò: Nessun di voi sia fello.
Innanzi che l' uncin vostro mi pigli,
Traggasi avanti alcun di voi che m' oda,
E poi d' arroncigliarmi si consigli.
Tutti gridaron: Vada Malacoda;

Perchè un si mosse, e gli altri stetter fermi; E venne a lui dicendo: Che gli approda ? Credi tu, Malacoda, qui vedermi

[ocr errors]

Esser venuto, disse il mio Maestro,

Sicuro già da tutti vostri schermi,

Senza voler divino e fato destro?

Lasciane andar, chè nel cielo è voluto Ch'io mostri altrui questo cammin silvestro.

Allor gli fu l' orgoglio sì caduto,

Che si lasciò cascar l' uncino ai piedi, E disse agli altri: Omai non sia feruto. E il Duca mio a me : O tu, che siedi

Tra gli scheggion del ponte quatto quatto,
Sicuramente omai a me tu riedi.

Perch' io mi mossi, ed a lui venni ratto :
E i diavoli si fecer tutti avanti,

Sì ch' io temetti non tenesser patto
E così vid' io già temer li fanti
Ch' uscivan patteggiati di Caprona,
Veggendo sè tra nimici cotanti.

Io m' accostai con tutta la persona

Lungo il mio Duca, e non torceva gli occhi Dalla sembianza lor ch' era non buona. Ei chinavan gli raffi, e, Vuoi che il tocchi, Diceva l' un con l' altro, in sul groppone ? E rispondean: Sì, fa che gliele accocchi. Ma quel demonio che tenea sermone Col Duca mio, si volse tutto presto E disse: Posa, posa, Scarmiglione. Poi disse a noi : Più oltre andar per questo Scoglio non si può, perocchè giace Tutto spezzato al fondo l' arco sesto : E se l'andare avanti pur vi piace, Andatevene su per questa grotta ; Presso è un altro scoglio che via face. Ier, più oltre cinqu' ore che quest' otta, Mille dugento con sessanta sei Anni compiè, che qui la via fu rotta. Io mando verso là di questi miei

A riguardar s' alcun se ne sciorina : Gite con lor, ch' ei non saranno rei. Tratti avanti, Alichino e Calcabrina, Cominciò egli a dire, e tu, Cagnazzo, E Barbariccia guidi la decina. Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo, Ciriatto sannuto, e Graffiacane,

E Farfarello, e Rubicante il pazzo. Cercate intorno alle boglienti pane ; Costor sien salvi insino all' altro scheggio Che tutto intero va sopra le tane.

O me! Maestro, che è quel che io veggio? Diss' io deh! senza scorta andiamci soli, Se tu sai ir, ch' io per me non la chieggio.

:

Se tu sei sì accorto come suoli,

Non vedi tu ch' ei digrignan li denti, E colle ciglia ne minaccian duoli? Ed egli a me: Non vo' che tu paventi : Lasciali digrignar pure a lor senno, Ch' ei fanno ciò per li lessi dolenti. Per l'argine sinistro volta dienno ; Ma prima avea ciascun la lingua stretta Coi denti, verso lor duca per cenno, Ed egli avea del cul fatto trombetta.

CANTO XXII.

Io vidi già cavalier mover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra,
E talvolta partir per loro scampo :
Corridor vidi per la terra vostra,

O Aretini, e vidi gir gualdane,
Ferir torneamenti, e correr giostra,
Quando con trombe, e quando con campane,
Con tamburi e con cenni di castella,
E con cose nostrali e con istrane ;
Nè già con sì diversa cennamella
Cavalier vidi mover, nè pedoni,
Nè nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li dieci dimoni :

Ahi fiera compagnia ! ma nella chiesa Coi santi, ed in taverna coi ghiottoni. Pure alla pegola era la mia intesa,

Per veder della bolgia ogni contegno, E della gente ch' entro v' era incesa. Come i delfini, quando fanno segno

Ai marinar con l'arco della schiena, Che s' argomentin di campar lor legno; Talor così ad alleggiar la pena

Mostrava alcun dei peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
E come all'orlo dell' acqua d' un fosso

Stanno i ranocchi pur col muso fuori,
Sì che celano i piedi e l' altro grosso ;
Si stavan d'ogni parte i peccatori:
Ma come s' appressava Barbariccia,
Così si ritraean sotto i bollori.

« PreviousContinue »