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DEL DIVINO POETA

ALOISIO FANTONI

DIMORANDO IMORANDO io ne' tristi tempi in Parigi, e mirando talora, tratto dalla pietà del natio loco, le spoglie nostre gloriose, che senza conquista ci furono tolte, e mescolando col pianto lo stupore; mi sovvenne dei Libri singolarmente, che i Francesi, per troppa nostra sventura, via portaron da Roma. E que' Bibliotecarj mi mostrarono i tesori; e tra questi, un Libro maraviglioso, e tale, che niuna Nazione non ha, non ebbe, e non ne avrà mai altro di tanto valore in opera di Lingua e di Poesia. Non conteneva quel Libro meno, che la DIVINA COMMEDIA DI DANTE scritta di mano del Boccaccio, e di questo medesi_ mo una Latina Epistola mandando il Libro in dono al Petrarca, e le correzioni fatte ad alcuni

luoghi dallo stesso Petrarca; tutti e tre Poeti Divini, i tre Fabbri del puro e leggiadro parlar materno. Che affetti mi si destasser nell' animo, in veggendo colà quel tesoro tanto prezioso, più lo potete voi immaginare, che io dire: certo mi parve di veder quegli Italiani immortali, Dante, il Boccaccio, e 'l Petrarca schiavi, e, per poco, morti in terra straniera.

Mentre frequentemente lo venerava, e tal fiata di nascosto il baciava, m' abbattei in un Francese in nostra Letteratura dottissimo, il quale m'insegnò che pure per la Lezione era senza fine il Codice prezioso; e con molta maraviglia e diletto me n' accertai.

Io dissi: Quand' anche fosse quel Codice scritto da qual che si fosse copista, preziosissimo dovrebbesi riputare. Tanta ne è la correzione e la costanza dell' ortografia, sì mondo da lettere inutili, tanto sicuro nelle voci ed eleganze natie dei Padri del bel parlare, e tanto ricco di Lezioni sconosciute, e affatto proprie del Poeta, che nessun Codice saprei a questo paragonare.

Rapirlo, mi pareva restituire all' Italia la spoglia maggiore. E desiderandolo, per quanto mi poteva essere conceduto, procacciatomene uno stampato, andai in esso, con lungo studio e grande amore, ragguagliando e recando alla giusta

norma del Codice, ogni vocabolo, ogni sillaba, anzi ogni lettera: e qui sia per me renduta lode alla cortesia di que' Bibliotecarj. Mi udii molte volte dire, o Cultori del Poeta, che sformata e ostinata era la mia fatica intorno a quel Libro; ma io ne fui così poco contento, credo per la Divinità di que' versi, che fornita ľ opera ricominciai; e tutto a verbo a verbo volli rivedere da capo.

E DANTE mi sembrò, direi quasi, più venerabile nel mio Libro. Peregrinò indi meco sotto molti climi; lo tenni tra le cose più care, lo mostrava a soli amici. Ma rimettiamo in luce DANTE noi pure, anzi in una luce chiarissima, DANTE sublime Maestro di Virtù e di Sapienza. Dante che cantò la Divinità e tutta la Religione; Giudice sapientissimo della Virtù e de' peccati; Pre. miatore, Castigatore giustissimo; Perseguitatore continuo de' rei, e de' figlj loro; Datore di gloria e d'immortalità. DANTE pieno d'amor patrio, e suo eccitatore; Cantore della gloria e della storia nostra. DANTE che tutto vidde, che tutto descrisse l'Universo; che cantò ogni tormento, ogni letizia, ed Amore, e il riso di Beatrice, e la Gloria, e la Beatitudine Celeste! Per esso alzarono Cattedre Firenze, Pisa, Venezia, Piacenza, e altre Città d'Italia e d'oltremonti; nobilissimo

X.

argomento di Pittori e di Eruditi; la maraviglia di ogni Nazione; il Creatore della nostra Lingua; il Maestro non imitabile ; ľ Apritore del Fonte della nostra Poesia: quel solo, che sei piace, abbiam noi sapor di Poesia.

E come, o Cultori suoi, non altro Testo desiderate nello smarrimento degli autografi, che questo; a Voi, perchè mi facciate del vostro bel numero, lo dono fedelmente senza immutazione di lettera. Questo è tal manoscritto, che può scusare l'original medesimo scritto di man d'esso DANTE; cioè con quelle lettere, con quei suoni e con quel numero che egli scrisse, e non con altri. E che sarebbe di Terenzio se si volesse pubblicare coll' ortografia Virgiliana!

Quindi, come ne' Codici e ne' Libri anticamente impressi, qui si trovano vocaboli Latinamente scritti, e gli antichi nostri non alterati : labore, reperte, exordia, supto, capto; che rinnovandoli, spesso il significato si altera, e dissuonano sempre con sili, dapi, tota irrenovabili com' altri mille. E ritenni, com' egli volle: Etrine nel Canto Ix. dell' INFERNO, Fottin, Morrocco, Siccheo, Pirrate, Accille, Ciecina, Aragna nel XII. del PURGATORIO; Perogia, Anibale, Terrentio, Albia, Ysmenon, Antigono, Jacob, Moise, Physistrato, Citarea, Elia per Delia; Delia; Titan nel

Ix. del PURG.; Centri nel Xxiv. dell' INF., e il bellissimo nome Ytalia. E Provinzan, Mencio, Anterminei; e Micheri, Barbargia, Belisan, Loygi, e Modina, Feghine, Bertran, Beringieri, Monta per Molta nel V. del Punc.; Alino nel Iv. del

INF., non Lino, concordemente al Codice Palatino Viennese già di Eugenio di Savoja, e al Codice del Conte Grumelli di Bergamo, scritto nel мCCCC.; leggendo Alano il Codice del Conte Albani pure di Bergamo, scritto anno MCCCLXXxx. E prettamente, quini, gualoppo, contasto aprovo, biado, segnoreggia, ydropisi, piei, flailli, canoscenza, riposta, asbergo, peleggio; e per i, e per e i, ricenti, e folle ne' due numeri, ne per me nel XxI. del PURG., e continuoi nel XVI. dell' INF. nell' antica significazione di contigui, ca nel XXIX. del PURG., Romanescamente per che.

E gostare per costare, e le permutazioni delle lettere affini, e vennommi nel Xxu. del PURG., per vennermi, vedrae, covien per conviene; avei avevi nel XXXI. del PARADISO, ed eravan, per sian, ponen, lascian, sen, per eravamo, semo, e tali Fiorentinismi; facèsi per facensi nel XxxIII., sposò da sporre, sten per steano, sareste e saresti indistinti, e le antiche Congiugazioni. E fillio, figlo, figlio, cigne e sospinge, piango e rimagno

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