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Nè O si tosto mai, nè I si scrisse;

com' ei s' accese, et arse, et cener tutto convenne, che cascando, divenisse:

Et poi che fu a terra sì distrutto;

la polver si raccolse; et per sè stessa in quel medesmo ritornò di butto. Così per li gran Savi si confessa,

che la Fenice muore; et poi rinasce, quando al cinquecentesim' anno appressa: Erba, nè biado in sua vita non pasce;

ma sol d'incenso lacrime, e d'amomo: et nardo, et mirra son l'ultime fasce. Et quale è quei, che cade, et non sa como, per forza di Dimon, c' a terra il tira; o d'altra oppilation, che lega l'omo: Quando si lieva, che 'ntorno si mira,

tutto smarrito de la grand' angoscia, ch' elli à sofferta; et guardando sospira : Tal era 'l Peccator levato poscia.

O Vendetta di Dio quant'è severa, che cotai colpi per vendetta croscia! Lo Duca il dimandò poi, chi elli era: perch' ei rispose: I' piòvi di Toscana, poco tempo è, in questa gola fera. Vita bestial mi piacque, et non humana;

sì com' a mul, ch' i' fui: son Vanni Fucci bestia; et Pistoja mi fu degna tana.

Et io al Duca : Dilli, che non mucci;

et dimanda, qual colpa qua giù '1 pinse : ch' io 'l vidi huom già di sangue et di corucci. El Peccator, che 'ntese, non s'infinse ; ma drizò verso me l'animo, e 'l volto; et di trista vergogna si dipinse :

Poi disse: Più mi duol, che tu m'ài colto ne la miseria, dove tu mi vedi ;

che quando fui dell' altra vita tolto. I' non posso negar quel, che tu chiedi : In giù son messo tanto; perch' i' fui ladro a la sagrestia de' belli arredi ; Et falsamente già fu apposto altrui:

ma perchè di tal vista tu non godi, se mai sarai di fuor da i luoghi bui, Apri li orecchi al mi' annuntio; et odi: Pistoja impria di Negri si dimagra ; poi Firenze rinnuova genti, et modi. Trage Marte vapor di Val di Magra; ch'è di torbidi nuvoli involuto : et con tempesta impetuosa et agra Sopra campo Picen fia combattuto;

ond' ei repente spezerà la nebbia, sì; c' ogni Bianco ne sarà feruto: Et decto l'ò, perchè doler ten debbia.

CANTO VENTESIMOQUINTO.

AL fine de le sue parole, il Ladro

le mani alzò con ambedue le fiche, gridando Togli Dio; c' a te le squadro. Da ind' in qua mi fur le serpi amiche: perc' una li s' avolse allor al collo, come dicesse: I' non vo', che più diche: Et un'altra a le braccia; et rilegollo ribadendo sè stessa sì dinanzi ;

che non potea con esse dare un crollo. Hai Pistoja, Pistoja, che non stanzi

d'incennerarti sì, che più non duri; poi che 'n mal far lo seme tuo avanzi! Per tutti i Cerchi de lo 'nferno scuri,

spirto non vidi in Dio tanto superbo; non quel, che cadde a Tebe giù da' muri El si fuggì, che non parlò più verbo :

et io vidi un Centauro pien di rabbia venir chiamando: Ov'è, ov'è l' acerbo?

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Maremma non cred' io, che tante n' abbia ; quante bisce elli, avea su per la groppa, infin ove comincia nostra labbia. Sopra le spalle dietro da la coppa

con l'ale aperte li giaceva un Draco : et quello affoca qualunque s' intoppa. Lo mi' Maestro disse: Quelli è Caco, che sotto 'l sasso di monte Aventino di sangue fece spesse volte laco. Non va co' suo' fratei per un cammino, per lo furar frodolente, ch' ei fece

del grand' armento, ch' elli ebbe a vicino: Onde cessar le sue opere biece

sotto la maza d' Ercule; che forse

li ne diè cento, et non sentì le diece. Mentre che si parlava; et ei trascorse :

et tre Spiriti venner sotto noi,

de' quai nè io, nè 'l Duca mio s'accorse, Se non quando gridar: Chi siete voi? perchè nostra novella si ristette ; et intendemmo pur ad essi poi. I' non li conoscea: ma ei seguette, come suol seguitar per alcun caso, che l'un nomare un altro convenette, Dicendo Cianfa dove fia rimaso?

perch' io, acciò che 'l Duca stesse atento mi puosi 'l dito su dal mento al naso.

Se tu se' or, Lectore, a creder lento

ciò, ch'i' dirò; non sarà maravillia :

che io, che 'l vidi, a pena il mi consento. Com' ï' tenea levate in lor le cillia ;

et un Serpente con sei piè si lancia dinanzi a l'uno; et tutto a lui s'appillia: Co' piè di mezo li avinse la pancia ; et con li anterior le braccia prese; poi li addentò et l'una, et l'altra guancia: Li diretani a le cosce distese;

et miseli la coda tra 'mendue;

et dietro per le ren' su la ritese. Ellera abarbicata mai non fue

ad alber, sì; come l'orribil fiera per l'altrui membra aviticchiò le sue : Poi s' appiccar; come di calda cera

fossero stati ; et mischiar lor colore: nè l'un, nè l' altro già parea quel ch' era: Come procede innanzi dall' ardore, per lo papiro suso un color bruno, che non è nero ancora ; e 'l bianco more. Li altri due riguardavan; et ciascuno gridava: Ome Angel, come ti muti! vedi, che già non se' nè due, nè uno! Già eran li due capi un divenuti ; quando n'apparver due figure miste, in una faccia, ov' eran due perduti.

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