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coll'invocare e col respingere gl'imperatori germanici, li provocavano contro di sè

De' più belli è anche il verso: Vieni a veder, la gente quanto s'ama; e dimostra come possa esserci un'ironia piena d'atletto e di lagrime Più acre l'altra al popolo che a pesi nuguali sollecito si sobnarca. Il rivivere che fa da circa vent'anni negli scriu di taluni questa vecchia parola, colle anbayi e colle improntitudini, è augurio tristo a me, che non esulto del duellare che fanno tra loro, come già gli Dei dell'Iliade, egemonia e autonomia. Ma ripren dendo il popolo fiorentino, Danie non to condannava in quanto repubblica, se gli rinfaccia gli esempi d'atene e di Lacedemone, che furon si civili. Nè solo le repubbliche in ItaJia nutaron spesso Leggi e moneta e uffizio e costume: e proverbio: legge fiorentina basta da sera a mattina (che è meno che da ottobre a mezzo novembre) l'ba non solamente Milano memoria non so se della repubblica o del ducato o del regno) ma l'ha anche Torino delle leggi plemontesi nel suo dialetto.

L'Italia, ostello e nave e bordello, poi diventa cavalla: e la metafora

piace al Poeta tanto che la strascica in allegoria, come Achille fa del cadavere d' Ettore, e il Paladino di quell' altra cavalla: racconciare il freno, sella vuola, fiera fella, non corretta dagli sproni, non por mano alla predella, inforcare negli arcioni. Il verso: E lasciar se ter Cesar nella sella ha troppo invero armonia imitativa, e rammenta lo scricchiolare della Danoju agghiacciata, e Austerich. Che direbbegli se a' dì nostri sentisse una Roma entro Roma ripetere il verso: Cesare mio, perche non m'accompagne ?; e l'Italia pregare il successore d'Alberto, non d'altro se non che ia abbandoni ? La cupidigia che teneva Alberto e Rodolfo distretti in Germania, ubbidi finalmente alle imprecazioni di Dante, e venne a stringere noi 1 versi: Giusto giudizio dalle stelle caggia.

A vergognar ti vien' della tua fama, non sono nè di politico nè di profeta; ma avverano la sentenza adumbrata nelle due men felici terzine del Canto: che non solo il bene, ma i male, nella storia de' popoli, sono sovente scissi dall'accorgere e degli animi più retti e degli ingegni più acuti.

DANTE, Purgatorio,

6

BEATRICE.

SORDELLO.

L'ITALIA.

Il canto incomincia dal giuoco de'dadi che piglia ben tre terzine; e, passando per l'anima d'un assassino, Ghino di Tacco, e d'una duchessa di Brabante, sale sul monte alla luce di Beatrice, e quindi scende all'Italia, e finisce contro Firenze con una delle solite ironie accoratamente feroci. In mezzo al calore del resto, giunge più penetrante la freddezza del cenno alla donna di Brabante che ammendi il suo misfatto sì che però non sia di peggior greggia: e più quindi risalta l'imagine di Quella... che lume fia tra 'l vero e l'intelletto.

Omnis manifestatio fit per lumen (4). É Aristotele stesso: Cosa astratta dalla materia non può da alcuna scienza naturale essere contemplata (2). E però la questione dell'efficacia della preghiera, in quanto ne pare mutato il consiglio divino, Virgilio la serba da risolvere a Beatrice, che nelle rime è chiamata nobile intelletto; e nel Convito, Sapienza felicissima e suprema (3): e ivi stesso di lei: Negli occhi di quella donna, cioè nelle suě dimostrazioni, dimora la verità; queste parole rammentano quelle di Cicerone, le quali Dante poteva leggere e in Cicerone e in più autori al tempo suo conosciuti: Vedi la forma stessa è quasi la faccia dell'onestà, che, se con gli occhi fosse veduta, maravigliosi amori, come dice Platone, ecciterebbe verso la sapienza (4).

Il desiderio che Dante dimostra di tosto salire alla visione di Beatrice richiama al pensiero le parole d'Enea alla Sibilla: Ire ad conspectum cari genitoris et ora Contingat: doceas iter, et sacra ostia pandas. Illum ego per flammas et mille sequentia tela Eripui his humeris, medioque ex oste recepi: Ille meum comitatus iter, maria omnia mecum, Atque omnes pelagique minas coelique ferebat Invalidus, vires ultra sortemque senectae. Quin, ut le supplex peterem, et tua limina adirem, Idem orans mandata dabat. Natique patrisque, Alma, precor, miserere... (5). Le quali parole rammentano e quelle con che si conchiude il terzo libro, ove Enea piange la morte d'Anchise, e il principio del quinto, e ivi stesso la visione del padre che gli consiglia venire a' suoi colloqui nell'Eliso. Siffatte preparazioni nel poema virgiliano ebbe in mira e segui nel suo l'Allighieri; senonchè guida a Enea è sola la Sibilla e per il mondo dolente e per le sedi beate: a Dante per le due regioni dell'immortalită, Virgilio, poi lassù, Beatrice. Che se la pietà

(1) Som., 1, 64.

(2) Arist., par. an., I.

(3) In questo Canto: Tu la vedrai

di sopra in su la vella Di questo monte, ridente e

felice.

(4) Cie., de Off., I.
(5) Æn., VI.

di padre e di figlio è nel poema latino cosa più santa dell'amore di donna, nell'italiano questa donna elevata sopra tutte le cose mortali e tutte le umane idee, fatta imagine della eterna contemplazione, e la gloria che in lei si riflette è tanto più alta della gloria d'Enea quanto Roma cristiana di Roma pagana, anzi l'universo tutto di Roma; e quanto de'carmi sibillini la parola di Gesù e di Giovanni.

Ma perchè in tanta altezza, a quanta non s'era mai levato poeta, non si poleva costantemente teneret'imitatore di Virgilio, l'uomo di parte, infoscato l'anima spesso o da odii crudell o da dolori superbi o da non degni amori; le contradizioni al poema non mancano; e contradizioni sono, chi ben riguarda, anco certe malaugurate conformità. Per esempio, in questo Canto accennasi in due luoghi al passo di Geremia, laddove dell'Italia donna di provincie, e di Roma, che piange vedova, sola: ma lasciando stare che questa Roma è dettà cosa d'Arrigo di Lucemburgo, e ch'ella piange perchè questo Arrigo non la accompagna; in una lettera latina, parlando, forse simbolicamente, della morte di Beatrice, citansi i Treni medesimi del profeta Geremia. E così i Treni palono l'anello che lega in questo Canto Sordello il poeta iracondo, l'amante e rapitore della sorella d'Ezzelino con la pura e mansueta e umile Beatrice. Senonchè quelle che ai più paiono contradizioni negl'ingegni e nelle anime singolari, talvolta sono semplici contrapposti, originati dalla potenza e dal bisogno di comparare più o meno felicemente le Idee disparate, e di più o meno legittimamente conglungerle. Di contrapposti si compiace e la natura morale e la corporea, e la scienza e l'arte; dacchè chi non vede le differenze, non vede neanco le conformità; e chi non sa da lontano chiamare a sè e imperiosamente stringere le idee sparse e vaganti, non otterrå altro mai che triviali e impotenti consonanze d'atletti e d'idee. In questo Canto vediamo da una similitudine famigliare il Poeta passare ad accenni storici che pigliano Toscana e Romagna e Brabante; poi da una sentenza di Virgilio, a proposito di Palinuro piloto, salire a una delle più ardue questioni che agitano e acquelino lo spirito umano; e, dopo un'aspirazione d'amore tra terreno e celeste a Beatrice, venire la dipintura viva e vera d'un cittadino poeta; e l'amore della verità essere via all'amore di patria, e l'amore far più acuto lo sdegno, e lo sdegno più pungente il dolore, e il dolore il sorriso più amaro; e da una vincita, al giuoco, il pensiero attraverso a memorie d'omicidio e di lagrime, attraverso al monte del Purgatorio e all'Italia e alla Germania, cadere sopra un letto ove giace una inferma che non conosce il suo male, E con dar võlla suo dolore scherma.

Sordello, del Mantovano, d'un castello ch'ha nome Goito; gentil catlano: fu avvinenie omo della persona, e grande amatore. Ma molto egli fu scaliro e falso verso le donne e verso i baroni da cui elli stava. E s'intese in madonna Cunizza sorore di ser Eccelino e de ser Alberico da Romano ch'era mogliera del conte de S. Bonifazio. E per volontate de ser Eccelino elli involò madonna Cunizza, e menolla via (1). Altri narra il fatto altrimenti. Ma Sordello fu certamente valoroso poeta provenzale ; e rime di lui conservansi nel Codice Vaticano. La sua canzone in morte di Blacasso, vigorosa poesia scritta nel 1480, fu stampata da Giulio Perticari, e lè canzone politica al modo di certe invettive di Dante. Molte favole racco tansi di Sordello: Je più certe notizie trasse dai suoi versi Claudio Faurie, dotto delle cose

(1) Un commento inedito.

italiane, siccome di patrie. Benvenuto lo dice nobilis et prudens miles et curialis; altri lo dice eccellente in politica (1).

Siccome nell'Eliso Orfeo, tra guerrieri, canta al suono della cetera, e Museo in mezzo alle ombre riverito passeggia, e all'altre sovrasta del capo e degli omeri, e si fa guida ad Enea e alla Sibilla; similmente qui Sordello poeta, anima allera e disdegnosa, come anima superba è chiamata ambiguamente in Virgilio quella di Bruto. Ella non ci diceva alcuna cosa, è verso d'antica semplicità, a cui rispondono le famigliari parole del Sacchetti men belle: Non ardiva quasi dirne alcuna cosa (2) Ma quello che vien poi, ricorda l'apparizione dell'ombra d'Ellore nella notte suprema della patria; che al concittadino con lunghi-lamenti interrogante: Ille nihil (5). Il passo forse più bello nel Canto è la parola Mantova, alla quale, senz altro sentire, succedono gli abbracciamenti di Sordello a lui che non è ancora conosciuto per la gloria de' Latini e per il pregio eterno di Manlova (4). Onde l'ira scoppia dall'amore; e allo sfogo dell'ira si fa scusa e pretesto la necessità della pace e dell'amore fratellevole, dei quali il Poeta disperando, si rivolge allo straniero per invocarlo quasi inevitabile cavalcatore Son dunque e scusa èd illustrazione al resto le parole: Se alcuna parte in le di pace gode Vieni a veder, la gente quanto s'ama; alla quale ironia consuonano i quasi mitologici vanti dell'antica concordia di Firenze: A così riposato, a così bello Viver di cittadini (5).

Il serva Italia risuona ne' qoti sonetti del Guidiccioni: E disdegnosa le tue pinghe mira, Italia mia, non men serva che stolta. L'ostello di dolore risuona in quel del Petrarca albergo d'ira. Della nave antichissima imagine de' governi dei popoli, sulla quale pare che scherzi la nota ode d'Orazio satiro: Nuper sollicitum quae mihi taedium (6), leggesi nella Monarchia: O genus humanum, quantis procellis atque jacturis quantisque naufragis agitari le necesse est, dum, beilua multorum capitum factum, in diversa conaris. Il bordello è interpretato, in due vecchi comenti, così: Ad Italiam concurrunt omnes barbarae nationes cum horriditate, ad ipsam conculcandam, tamquam meretricem prostitutam (7). Quia ibi concurrunt omnes nationes barbarae, et aliae... dimittunt et ponunt in Italia omnes paupertates et miserias. Quia vendunt Italicos sicut venditur caro humana in postribulo. La bella terzina, che è tra le più schiette e pietose del Canto, Cerca, misera.. è da un antico illustrata dolorosamente cosi: La prima (provincia) che ha capo in sul mare di Vinegra si è Romagna nella quale si è Ravenna; fuori n'è parte (in esilio). Poscia quelli che rimasero dentro, si sono insieme cacciati e morti a Rimino sollo la tirannica signoria de' Malatesti. Poi si è la Marca anconitana e Pesaro: cacciati, più parte. Fanno quello medesimo Sinigaglia; simile, Ancona; più che più, Fermo; il simigliante, le Grotte; quello stesso, Fabbriano e Pesaro, morti insieme. Poscia si è la Puglia, la quale si è sotto la tirannia della Casa di Francia; la quale signoria la rode, e tiene in mala ventura; e tiene quella stanza tutta infino ad Otranto... Poscia si è terra di Roma, e Roma. Le quali contrade, tra per

(1) Dante lo nomina nella Volgare Eloquenza, pag. 270, 271.

(2) Inf., IV: .... Ir ficcar lo viso a fondo, lo non vi liscernea veruna cosa. Altrove più breve: Nè per me li potea cosa vedere (Purg., XX).

(3) En., II.

(4) Purg., VII, terz. 6.
(5) Par., XV.
(6) Hor. Carm., I, 14.
(7) Benvenuto.

parte e per nimistade, sono tutte in mala ventura. Poscia si è Toscana, Pisa, Portovenere, la riviera di Genova, e tiene fino al principio di Provenza: le quali stanze sono tutte universalmente in tribolazione, Infra terra si è Lombardia, nella quale similmente sono discordie, brighe e tirannie. Lo simile è nella Marca Trevigiana infino a Vinegia (1).

Alle parole del ghibellino Poeta contro Firenze, ripetute dallo storico guelfo Giovanni Villani, fa doloroso comento quel di Giovanni Boccaccio. La nostra città, più che altra, è piena di mutamenti, in tanto che per esperienza tuttodi veggiamo verificarsi verso del nostro Poeta: " Ch'a mezzo novembre Non giunge quel che tu d'ottobre fili» Dante qui nega a Firenze non solo la pace ed il senno, ma fin la ricchezza, dacchè te tre cose congiunge in un'ironia, egli che altrove dice cagione de' mali di lei i subėti guadagni (2), e dice le magnificenze de' colli romani vinte da quelle d'un poggio fiorentino (3). Intendeva forse che la ricchezza sùbita di pochi era avviamento a rovina; e' si figurava sotto governo migliore Firenze ancora più ricca: non credo per altro ch'egli desiderasse equabilmente distribuite a tutti o a' più de' cittadini le ricchezze e gli agi, e i diritti di quelle, desiderio maggiore del suo tempo; egli che due volte qui nomina quasi con ischerno il popolo, ed altrove contrappone il cieco toro, che sono i plebei, al cieco agnello, che sono i gentiluomini mansueti Nel Convivio egli esclama accurato: Oh misera, oh misera patria mia! .. E dice, che ogniqualvolta pensa cose che al governo di Stati riguardano, piange su lei. Dalle cose toscane vedeva il Poeta dipendere le lombarde, e lo dice nella lettera a Enrico VII sua suprema speranza.

E in quella medesima lettera si duole dell'indugiare di lui all'assedio di Brescia, così come in questo Canto si duole del non calare d'alberto. E se nulla di noi pietà ti muove, A vergognar ti vien' della tua fama. Parole che consuonano a certe altre di Giove in Virgilio e notisi che nella terzina seguente Dante si volge al sommo Grove, Cristo crocifisso, e gli dimanda se gli occhi suoi sono altrove rivolti; ma poi ammenda il dubbio irriverente con un pensiero degno di filosofo cristiano che sente, il male essere preparazione di beni maggiori. Giove dunque per iscuotere Enea dall'amor di Didone, gli fa dire per Mercurio: Si nulla accendit tantarum gloria rerum, Nec super ipse sua molitur laude laborem, Ascanione pater romanas invidet arces? (4). Il Poela che dappertutto vedeva i fali dell'aquila, e nel sesto del Paradiso ne tesse la vita, avrà forse riconosciuto Didone nella Germania, che involava Alberto e Rodolfo all'Italia e alla vedova Roma. Ma Rodolfo dal venire in Italia s'astenne praeteritorum Caesarum infortuniis admonitus (5), Quasi dire si può dello imperadore .. ch'elli sia il cavalcatore della umana volontà; lo qual cavallo, come vada sănza il cavalcatore per lo campo, assai è manifesto; e spezialmente nella misera Italia (6). La protezione dell'impero accompagnata di consigli e minaccie, di lancie e di patiboli a lui pareva rimedio necessario alle discordie italiane, tuttoche violento: e dei Guelfi diceva: Ut flagitia sua exequi possint, matrem prostituunt, fratres expellunt, et denique jud cem habere nolunt (7). Il verso: Se bene intendi ciò che Dio ti nola, da Pietro comentasi recando il virgiliano: Regemque dedit

(1) Ottimo.
(2) Inf., XVI.
(8) Par., XV.
(4) En., IV.

(5) Patarol., Ser., Aug., II, 107. (6) Conv.

(7) De Monar.

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