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OSSERVAZIONI DEL CH. P. ANTONELLI

ALLA TERZINA 35.

Eccovi al mezzodì del quarto giorno dall'ingresso del Poela agli antipodi. Nel darci quest'annunzio, adesso che trovasi nella parte centrale del Paradiso terrestre, nota due particolarità riguardanti il sole nel meridiano, le quali essendo comparative, dovranno recarsi alla stessa contingenza di solare posizione nei tre giorni precedenti, non avendo omesso il Poeta di seghare in ognun di essi l'ora meridiana, siccome abbiamo avvertito alla fine del IV, sulla metà del XII e tra il XXII e il XXIII Canto. Dice dunque che il sole teneva il cerchio del mezzogiorno, cioè vi passava allora con più splendore e con moto più lento che nei di precedenti. La prima specialità trova riscontro in ciò che il Poeta ha detto ai versi 89 e 90 del XXVII, ove notava 'comparirgli le stelle più chiare e maggiori di lor solere; e in sostanza doveva risultare nella mente del Poeta, per la dottrina de' suoi tempi, da queste considerazioni: 1o dall'avere il sole minor massa d'aria da altraversare co' suoi raggi, in virtù della maggiore clevazione cui era l'osservatore pervenuto; 2.o dall'essere quest'aria tanto più pura, quanto più prossima alle sue più alte regioni; 3.o dal trovarsi l'aere stesso più vicino alla credula sfera del fuoco; 4.0 dal maggiore effetto che doveva produrre nella impressione degli splendori solari il cupo fondo della sacra foresta.

La seconda specialità, della maggior lentezza, par chiaro dover procedere da questo, che il sole in aprile va facendosi più boreale ogni giorno, in virtù dell'apparente suo moto annuo: se più boreale diviene,' più si discosta dall'equatore, e quindi men celere il suo movimento diurno, perchè fatto su parallelo più prossimo al polo. Soltanto in questo modo può spiegarsi la minore velocità del sole nel meridiano in quest'ultima giornata: perciocchè le ragioni che adducono i comentatori, desumendole dalle apparenze e dalle ombre che sono più corte, e dall'altezza del sole, per la quale è sottratto al confronto di oggetti fissi, quali appariscono i terrestri, non possono stare, essendochè primieramente qui non si tratta di apparenza ma di cffettivo scemamento di moto, affermando il Poeta che con più lenti passi teneva il sole il cerchio di mezzogiorno; e poi, se è vero che nel meriggio il sole non guadagna nè perde sensibilmente in altezza, presenta però la massima velocità da oriente a occidente, nella quale direzione è il movimento principale diurno; sicchè le ombre hanno minima e costante lunghezza, ma in egual tempo hanno altresì più grande spostamento angolare sull'orizzonte nell'ora meridiana, che nelle altre ore o di mattina o di sera nella stessa gior

nala. È dunque evidente, che il rapporto di quella maggior luce e di quella maggior lentezza deve farsi non con altre ore di quel medesimo giorno, ma con la stessa ora meridiana dei di precedenti, come abbiamo avvertito; altrimenti avrebbe dovuto dire a rovescio, parlando in generale del moto diurno del sole.

Per ciò infine che riguarda l'ultimo verso di questa terzina, pare che il pronome che, se dev'essere un pronome, debba riferirsl a meriggio. Con gli averbi qua e là intenderei (piuttosto che più qua o più là, in diversi luoghi, e simili), in questo emisfero, ove narro, e nell'altro, ove vidi, con manifesto richiamo agli stessi modi espressi cọi noti versi:

Qui è da man, quando di là è sera:
Vespro là, e qui mezza notte era:
Fallo avea di là mane, e di qua sera.

La parola aspetti convengo doversi prendere in significato astronomico, che propriamente indica differenze di longitudine tra due astri, ma che nella significazione più astratta, e perciò più estesa, che possa avere, può esprimere relazioni di posizione.

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Quel verso direbbe dunque così: « Il quale meriggio si fa in questo e nel. l'altro emisfero secondo le relazioni di posizione; il che, invero, non ci dice niente di nuovo, avendoci già insegnato il Poeta opportunamente più volle questa dottrina.

Ho detto se la particella che dev'essere un pronome, perchè potrebbe anche intendersi perciocchè. In tal caso il verso avrebbe una importanza molto maggiore, perchè richiamerebbe l'attenzione di chi legge a considerar bene quelle due particolarità relative, che in principio ha notate rispetto al sole nel meridiano, siccome quelle che non sono poste là a caso, ma provengono da profonda dottrina su rapporti di posizione, come abbiamo veduto. Allora esprimerebbe questo concetto: « E il sole teneva il cerchio di meriggio con più splendore e con più lenti passi che nei di precedenti; perciocchè in questo e nell'altro emisfero si fa (avviene) secondo le relazioni di posizione; quando... ecc...

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IL CARRO E IL DUCE.

Quando nella dichiarazione dell'enimma, poco meno cnimmatica dell'enimma stesso, Dante pronunzia e colloca in luogo cospicuo la parola moralmente; c'insegna come abbiansi a intendere questi ultimi canti e l'intero poema. Siccome nella sua propria vita egli vuole rappresentata non tanto la vita dell'ingegno e dell'arte, quanto quella dell'anima umana; cosi nella storia di Firenze e di Roma, due quasi poli dell'orbe italiano, egli vede la storia non solo di tutta Italia, ma eziandio della Chiesa. Il suo carro è la Chiesa, più luminoso, nonchè del cocchio d'Augusto, del carro del sole; il suo albero, che in su si dilata, è l'umanità, e l'alta legge che la governa, d'astinenza e d'espiazione, di ricrescimento e di rinnovellamento immortale. La giustizia di Dio nello interdetto Conosceresti. L'aquila che rompe dell'albero, è quella stessa che fa coi doni suoi mostro del carro: un serpente fece all'uomo dall'albero coglier la morte; un serpente rompe il carro e lo sfonda Beato il Grifone (esemplare d'ubbidienza infino alla morte, morte sull'albero della Croce), che lascia l'albero intatto; ma chi lo schianta o lo ruba è bestemmiatore di fatto, e par che dica nelle opere: Dio non è. E chi lo lascia derubare a potestà profana e rapire in luogo profano, è consorte della bestemmia. Dio creò quella pianta all'uso suo, non de' re; che devono sotto l'ombra sua sacra posarsi co' poveri della terra non appiattarsi fra il verde come serpenti

Dante vede venire chi ucciderà la donna svergognata e il gigante; l'ucci. derà non col ferro ma con la virtù e la sapienza e l'amore: perchè quella donna è la passione umana mal ricoperta di veli sacri (e però la dipinge sciolta); e quel gigante è l'orgoglio dei forti che delle cose sacre fauno a sè arme e trastullo. Egli vede certamente le stelle vicine a recare il tempo della liberazione; e prenunzia che tosto i fatti sveleranno l'arcano. E così S. Pietro udiremo in Paradiso predire soccorrà tosto. Ma l'Apostolo beato, più prudente dell'esule, accortamente soggiunge: com'io concipio.

DIMENSIONI DELLA MONTAGNA DEL PURGATORIO,

Secondo GLI ACCENNI DELLA DIVINA COMMEDIA.

CONSIDERAZIONI DEL P. G. ANTONELLI.

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Sebbene da oltre cinque secoli si vada studiando questa opera immortale, e uomini insigni anche per dottrine matematiche ed astronomiche si sian posti a illustrarla di buon proposito; nessuno ha sospettato che l'Allighieri abbia dalo della montagna del Purgatorio un'idea determinata quanto alle. sue dimensioni per ogni lato. S'è fatta in varii tempi qualche congettura, ma vaga: e in un recente scritto, sulle misure dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso, del signor Gregoretti, stampato in Venezia, si leggono queste parole: Rispetto al Purgatorio e al Paradiso, il Pocta ne indica il sito e la forma, ma tace interamente quanto alla grandezza. Dice unicamente del Purgatorio nel canto X, v. 24, che la larghezza del primo girone sarebbe > misurata in tre volte da un corpo umano. » Così pareva anco a me quando incominciai lo studio per le illustrazioni astronomiche, seb5ene io abbia ignorato per quasi un anno il lavoro citato: ma, considerando la potenza dell'intelletto di Dante, l'arte e l'amore con che aveva condotto l'ammirarabile sua visione, dali offerti per le dimensioni supposte all' Inferno, e l'aver lui rimesso quelle del Paradiso in parte all'Astronomia, in parte all'immensità, dubitavo: e, mosso anche dalle interrogazioni del signor Tommaséo, procedevo con più viva attenzione, procurando che non mi sfug gisse nulla di ciò che a qualche scoperta potesse guldarmi.

Non ero giunto alla fine delle mie osservazioni sulla seconda Cantica, che con mio stupore e contento vidi un filo per venire a capo della ricerca sulle dimensioni della santa Montagna: ne tenni conto; e in fine mi parve di aver trovalo più di quello che avessi osalo sperare.

Nelle note, segnatamente ai Canti XXV, XXVI, e XXVII, ho accennato qualche cosa, indicando i fondamenti del ragionamento che ora verrò facendo per modo che tutti gl'intelligenti lettori și formino una chiara idea della cosa; le persone iniziate negli elementi delle scienze matematiche ed astronomiche possano verificare i calcoli; e tutti rendano gloria a quel Dio e a quella fede che hanno ispirati concetti di bellezza cosi sapiente.

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Annunziando misure del Purgatorio dantesco, non intendo già dire che il Poeta le abbia date con precisione matematica; ma far vedere che ce le ha somministrate per modo indiretto e dentro a' limiti d'approssimazione, non essendo neppure conveniente che fosse venuto a numeri precisi in cosa di sua fantasia. Nel monte d'espiazione veggo la forma, intesa da tutti, di un cono retto troncato a basi parallele, risultando questa forma dalle descrizioni del Poeta con molta evidenza. Dunque è da cercare se questi abbia posti i dati quantitativi della massa e delle fondamentali dimensioni di questa mole.

III.

Per ciò che spetta alla quantità, la mi pare bastantemente indicata nell'ultimo dell' Inferno, quando Virgilio fa supporre che la terra attraversata da Lucifero nella sua caduta dalla superficie al centro, per fuggire questo mostro e ogni contatto di lui, lasciasse vuoto quel lungo tratto per cui tornarono i Poeti a rivedere le stelle, e sotto quello emisfero e fuor d'acqua apparisse, e su ricorresse per formare la prominenza della quale adesso parliamo. Rammentando la colossale dimensione attribuita al re dell'abisso, nel supposto che una statura gigantesca fosse media proporzionale tra quella nel nostro Allighieri e un braccio della creaturà che ebbe il bel sembiante, rammentando lui convenire più con un gigante, che un gigante con le brac cia di Satana; ci porta a dover crédere anche maggiore la statura di questo mostro, si che nella mente del grande Compositore dovesse computarsi un buon miglio. Considerando che sarebbe piccolezza di concetto il supporre che per l'appunto fuggisse la terra a precisa misura dell'estensione della brullissima tra le creature; si troverà conforme al fare grandioso del Poeta nostro la supposizione, che dalla superficie al centro terrestre, dalla parte dov'esso precipitò, la terra fuggisse da ogni lato, rispetto alla linea di caduta, per due terzi di miglio, lasciando così da cima a fondo un vuoto cilindrico di un miglio é un terzo di diametro, per ricorrere su a formare la prominente isola della espiazione. Tal supposizione è conforme e quanto poi dice nel Canto citato, allorchè parla del luogo, noto non per vista ma per suono di un ruscelletto, che ivi discende con giro tortuoso e poco pendente: onde, ammesso il raggio della terra miglia 3500 di sessanta al grado, o di metri 1830 l'uno prossimamente, alquanto maggiore di ciò che sappiamo di presente essere quel raggio, perchè un poco maggiore in quel tempo si supponeva; col noto rapporto di 7 à 22 tra il diametro e la circonferenza di un circolo, troveremo, per il volume della terra accorsa a formare il monte del Purgatorio, miglia cube 4888,889, equivalenti a chilometri cubi 30955, essendo un chilometro cubo, com'è noto, mille milioni, ossia un miliardo di metri cubi.

IV.

Ben ragguardevole è dunque la quantità di materia che il Poeta, con quell'ardito pensiero, e con gli antecedenti sulle forme materiali di Lucifero,

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