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quasi scudo la selva che involava al suo sguardo tanta vergogna.

(F) Trassel. La corte romana solto Clemente V, nel 4305, tratta oltremonte. Isai., LVII, 47: Propter ini. quilatem avaritiae ejus iratus sum, el percussi eum; abscondi a te faciem meam, et indignatus sum: et abiit vagus in via cordis sui.

Alla.

Conv.: Questi adulteri al cui con. dollo vanno li ciechi. Som.: Può dirsi ch' anco 'per la bellezza spirituale alcuno possa commettere fornicazione, in quanto di quella insuperbisce, secondo quel d'Ezechiello: Si levò il tuo cuore nella tua bellezza; perdesli nella tua bellezza il senno (Ezech., XXVIII, 47).

Nel principio segnatamente pare che il Canto non corrisponda al concello. E come l'arte non sempre in Dante s'agguagli alla scienza, lo dice quel verso che ha un alto senso simbolico del Grifone che muove il carro benedetto: Si che però nulla penna crollonne. Quanto ci corre da questi suoni alla Virgiliana armonia ! Celeres neque commovet alas. Ma bello (tanto più che fa contrapposto con quella che al serpente crese):

Temprava i passi un' angelica nola. E ancora più bello: Sen vanno suso Con più dolce canzone, e più profonda. Quest'ultimo aggiunto non lo poteva forse trovare Virgilio. E se meno accorato dell' Hector ubi est ? suona però tenerezza d'affetto: E tutto in dubbio dissi: ov'è Beatrice? Più tenero ancora nel Paradiso senza protferire il suo nome: Ed ella ov'è, di subito diss' io.

SENSO MORALE E CIVILE E RELIGIOSO

DELLA VISIONE.

Dal vensettesimo all'ultimo Canto è un'azione che fa come il nodo dell'intero Poema: e di quest'azione le circostanze non interrotte da parlate nè dalle minori particolarità, giova raccorre acciocchè s'illustrino insieme. Escono i tre poeti della fiamma che purga l'ultimo vizio, e un Angelo grida: Venite, o benedetti del Padre mio, ad annunziare la prova compiuta. Scende la notte; e Dante nel sonno vede in forma di Lia la virtù attiva che sta facendosi una ghirlanda di fiori. Il sole sorge; e Virgilio, già non più guidatore, lascia Dante al suo proprio arbitrio, sanato e purificato, che vada da sè per la selva odorata di fiori. Quand'egli è tant'oltre che più non vede di dove egli entrasse, un ruscelletto gli toglie l'andare più innanzi; e di là dal ruscello vede Matilde, l'imagine della virtù attiva insieme c religiosa e civile, che coglie fiori cantando; e la prega d'appressarsi tanto da fargli intendere quel ch'ella canta. E Matilde viene laddove il ruscello la divide da Dante di soli tre passi, e gli rende ragione delle cose ch'egli vede lassù; e canta poi: Beati di chi son coperte da perdono le colpe. Poi cammina contro il corso del fiume, ella dall'una riva, dall'altra Dante; e, fatti cento passi, svoltano secondo lo svoltare dell'acqna, e si trovano col viso a levante. Poco vanno così, ed ecco un lume quasi di lampo che cresce e viene con un'onda di canto: e il lume, fattosi più presso, appariscono quasi sette alberi d'oro, che poi vedonși essere selte candelabri, i sette doni dello Spirito, i selle sacrainenti, e ogni perfezione di luce e immortale e mortale adombrata in quet numero. Dante aveva il ruscello a diritta, e quando si trovò tanto sull'orlo del margine che sola l'acqua lo dipartiva dalle cose vedute di là, si fermò, e vide i candelabri procedere lasciandosi dietro una striscia come lunghissima iride che si perdeva al di là della vista: e tra la prima e la settima di quelle fiammelle colorate correvano dieci passi: altro numero simbolico in parecchi precetti e riti. Sotto a queste iridi venivano ventiquattro seniori, i profeti coronati di gigli, cantando: Benedetta Beatrice, cioè la suprema Verità, e la scienza e coscienza di quella. Poi vengono quattro animali coronati di verde, gli Evangelisti nunzii della speranza ; ciascuno con sei ale, come nella visione del Profeta, a indicare la forza del volo dell'umanità, essendo il numero delle due ale moltiplicato per la triade misteriosa; e piene d'occhi le penne, a significare la intensione del volo; Si cura e, aiutata dalla memoria che è fondamento di fede, la previdenza dello spazio da misurare volando. Tra i quattro è un carro, la Chiesa, tirato da

un grifone, simbolo dell'Uomo-Dio, il qual tende l'ale, altissime, da vincere lo sguardo umano, fra le tre iridi d'una e le tre d'altra parte, rimanendo sopra il capo suo quella di mezzo, sì che le ale non toccavano veruna delle sette, perch'egli venne non a sciogliere ma ad adempiere. Dalla destra del carro, più splendido che quello del sole, tre donne danzano, Fede e Spe. ranza e Carità, l'una tutta neve, l'altra tutta smeraldo, la terza tutta fiamma, e or Fede, or Carità va innanzi; ma il canto della Carità è che guida la danza. A sinistra le quattro Virtù cardinali vestite di porpora manto di luce e di regno vero; e Prudenza con tre occhi le guida. Dietro al carro procedono Luca e Paolo, l'uno scrittore e l'altro in gran parte attore degli atti apostolici; poi i quattro Dottori umili in sembiante, perchè l'umiltà è condizione di scienza vera; e dietro ad essi Bernardo, solo, in atto di chi dorme e contempla, solo e perchè visse solitario e perchè già nel concetto di Dante, non ha la Chiesa Dottori da pareggiarsi a que' primi. Di Luca e Paolo e de' Doltori, siccome de' Profeti, l'abito è bianco sopra ugni candore terreno; ma questi sette hanno ghirlanda, non gigli, sì rose e altri fiori di color vivo che fan quasi ardere di luce la fronte, indizio del sangue sparso, della carità, dello zelo, Quando il carro fu rimpetto al Poeta tuona dall'alto, e i candelabri si fermano, e tutti. I Profeti si volgono al carro, e un di loro, re Salomone (che nel Paradiso vedremo lodato come sapientissimo non tra tutti, ma solo tra i re), canta tre volle: Vieni, sposa, dal Libano, le sue parole di mistico amore: e a quel canto scendono intorno al carro divino cento Angeli, dicendo: Benedetto che vieni (nė senza perchè dico benedetto, e non parla di donna), e gettano fiori e su in alto e d'intorno; tra fiori apparisce sul carro a Dante Beatrice, coperta di velo candido e sul velo una ghirlanda d'uliva, e sopra una veste di porpora un verde manto: i colori delle tre Virtù teologiche, coronate di ghirlanda di pace, di quella pace in cui Dante poneva e la beatitudine celeste ed il bene terreno, quella che nell'esiglio egli andava cercando, e al cui servigio desiderava che l'impero venisse. Senza veder Beatrice nel viso, e' sente l'antica virtù di lei, e l'antica fiamma, e si volge per dirne a Virgilio: ma il poeta dell'umana civiltà era sparito all'apparire della ragione divina e della civiltà religiosa. Dante ne piange, e Beatrice per prima parola d'amore gli promette altre lagrime. Poi, soggiunge un rimprovero d'ironia simile a quello che nella Genesi è volto ad Adamo. A quel suono, il Poeta china gli occhî, e vede l'imagine sua nel ruscello, e come Adamo, si vergogna, e non osa riguardarsi più a lungo, e si trae indietro: come fa l'uomo errante che, non bene ancora pentito, non osa affrontare l'esame di sè. Gli Angeli allora cantano un salmo e di dolore e di speranza; e a quel canto, l'affanno di Dante, che era ristretto intorno al cuore, esce in lagrime e in singhiozzi. Beatrice che, per parlargli, s'era volta alla sinistra del carro, rimessasi alla diritta, la parte migliore, si volge agli Angeli per raccontare quel che Dio ed ella fecero a fine di nobilitare l'anima del Poeta, e com'egli mal corrispondesse a quegl' inviti d'amore sereno e severo. Volte agli Angeli queste parole come a gludici e come non degnando di volgerle a lui stesso, richiede quindi da esso la confessione del fallo. Egli risponde appena, si; ed ella per avere confessione più piena, e umiliazione e pentimento più salutare, gli domanda quante difficoltà lo stornarono dal seguire il bene, quante agevolezze al male lo invogliarono. Dante dice, che dopo la morte di lei, il piacer falso delle cose presenti lo traviò. Beatrice gli dimostra il suo errore; egli lo riconosce e tace vergognoso. Ella gli fa alzare il viso; e allora e' vede la pioggia ̧de' fiori ristata,

e Beatrice riguardare al Grifone, si bella negli atti, ancorchè velata la faccia, che, preso da pentimento, egli cadde. Riavutosi, si trova entro al ruscello, e Matilde, che le acque passava intalla con piede leggero (forse e' correva quivi più largo che tre passi), tenervelo immerso infino a gola, e quando fu presso alla riva di là, tuffargli la testa dentro si ch'egli bevesse dell'acqua che fa dimenticare la trista dolcezza del male; e poi togliernelo e collocarlo fra le quattro donne danzanti, che avevano, intanto ch'ei passava il ruscello (o esse sole, o con l'altre tre, o con gli Angeli, o insieme tutti), cantato quello del salmo di penitenza: M'aspergerai, e sarò mondo e candido più che neve. Ciascuna delle quattro Virtù, in cui si raccolgono tutte le altre umane, gli passa il braccio sopra la lesta, con miglior senso che le danzanti non sogliono, a proteggerlo e benedirlo; e lo conducono dinnanzi al Grifone, e però a Beatrice. Dante mira fiso in lei, che mirava nella mistica fiera, e negli occhi di lei l'imagine ferma e una dell' Uuomo-Dio venivasi variando. Allora le tre Virtù teologiche si fanno innanzi cantando, e la pregano di mostrare a Dante gli occhi suoi senza velo; che è opera di virtù sovrumana lo scoprire l'altissima verità. Ella si svela. Il lungo fiso mirarla di Dante è interrotto dall'ammonire delle tre a sinistra di lui, che lo invitano a riguardare le altre cose d'intorno, come per dirgli ch'anco la contemplazione del bene maggiore può farsi importuna se ne consegua noncuranza de' beni minori. A lui, abbagliato dagli occhi di Beatrice, quell'altra luce si viva par come buia; ma poi acconciatosi a quella la vista, vede la schiera rivolgersi a diritta, e avere il sole di faccia; e dopo svoltati tutti, alla fine muoversi il carro e le donne tornare al luogo di prima, c il Grifone tirarlo senza scuotere penna dalle sue ali. Matilde e Stazio e Dante venivano dietro alla destra del carro; è Angeli cantavano in alto. Fatto di via quanto un geltar di tre dardi, Beatrice scende là dov'era una pianta senza fiori nè foglie, altissima, e più larga più su. Tutti la circondavano mormorando il nome d'Adamo, c dicendo beato il Grifone che non ne tocca. E questi lega il carro all'albero co' rami suoi stessi, perchè la Chiesa, sebbene d'istituzione divina, e creata a fine di rilevare l'umanità, non distrugge però la natura d'essa umanità, e nè anco tutti i germi del male che sono in lei decaduta. E l'albero si veste di fiori tra punicei e vermigli, come di sangue. Al canto di tutti il Poeta è preso da sonno; e svegliatosi a un nuovo chiarore e a una voce, vede Matilde pressogli... e Beatrice seduta sotto l'albero e intorno ad essa le sette donne co' candelabri; e il Grifone, con gli Angeli, e gli altri, salire in alto cantando più dolce e profondo. Beatrice è la coscienza del vero lasciata a guardia della Chiesa, sotto quell'albero che per l'ubbidienza di Cristo rifiori, inaridito già dalla colpa, e dilatantesi in vella, perchè questo è il proprio della virtù che s'amplia ascendendo. Qui comincia la storia della Chiesa e della civiltà cristiana, dopo salito al cielo Gesù, e dileguati dalla terra i primi banditori della sua verità. Un'aquila come folgore percuote nel carro; i liranni persecutori: e lo fa barcollare come nave in fortuna. Poi nel bel mezzo di quello s'avventa una volpe magra, l'errore degli avversi alla Chiesa, più sottile che solido e più malizioso che forte. Ma Beatrice la fa fuggire riprendendola di laide colpe, perchè la doppiezza e l'inonestà sono indizii palpabili della falsità e dell'ignoranza trista. Poi viene da capo l'aquila da alto, e ricopre il carro di penne, i beni temporali donati o lasciati prendere; ond' esce di cielo una voce che suona dolore. Poi s' apre tra le ruote la terra, e n'esce un drago, e col pungiglione della coda litto nel carro, ne trae parte di sotto: che significa forse non solamente Mao

melto, ma quanti tolsero alla Chiesa famiglie di seguaci, e Ario segnata. mente, il quale appunto del tempo di Costantino fece una divisione che toglieva il fondamento divino alla fede, minacciava la cristianità tutta quanta; e prenunziava lo scisma d'oriente, il quale scisma alla barbarie maomettana agevolò la vittoria e il dominio rattermò. Le penne dell'aquila, i beni temporali, ricoprono in men d'un sospiro e trasformano il carro, che si fa mostro, e mette tre teste dinnanzi con due corna ciascuna, e quattro dalle bande con un corno ciascuna; a significare i tre vizii, superbia, invidia, avarizia; e gli altri quattro capitali, che tutti insieme si contrappongono al numero delle virtù date ancelle all'altissima sapienza. Sul carro, in luogo di Beatrice, 'siede una donna svergognata e arruffata, e accantole un gigante, il potere profano dei re, che la bacia; ma poi vedendola rivolgere l'occhio a Dante amico di Beatrice, la flagella dal capo alle piante, e nel sospetto e nell'ira crudele scioglie il carro dall'albero, e lo trae per la selva. Le donne intorno a Beatrice, a tre e a quattro, cantano un salmo che piange gl' infortunii d'Israele: e Beatrice levatasi in piè dà parole di vicina speranza. Poi, precedendo le sette Virtù, s'avvia, e accenna a Dante, a Matilde e a Stazio che seguano. E fatti dieci passi, si volge al Poeta perchè venga di pari seco, e gli dà animo a dire: e gli prenunzia la pena ché toccherà a' violatori della Chiesa e l'avvenimento di chi ucciderà la rea donna e il gigante, e gl'insegna che non solo il perseguitare essa Chiesa con violenze, ma il derubare de' suoi veri diritti dandole in cambio diritti non veri, è bestemmia di fallo. E perchè Dante si duole di non poter tulla comprendere la parola di lei, ed ella risponde questa essere colpa della scuola terrena, ch'egli ha seguitata: il Poeta che non si rammenta d'avere deposto il passato nell'acqua di Lele, dice che de' proprii errori non ha memoria o rimorso. Intanto è l'ora di mezzogiorno; e le sette donne si ferniano 'all'ombra di grandi alberi, di dove escono due fiumi; de' quali il Poeta, immemore di quanto Matilde gli disse di Lete e d'Eunoè, interroga Beatrice: ed ella si volge a Matilde che conduca lui e Stazio a bere d' Eunoè, il qual ravviva con la memoria tutte le virtù dell'anima e del pensiero e del sentimento. Egli quindi ritorna rinnovellato e disposto a salire alle stelle.

In questi sei ultimi Canti son anco bellezze e d'affetto e di stile notabili; ma nè di questo nè di quello tante al parer mio quante in altri. Forse che nel comporre questi Canti, il Poeta, o stanco dalla prolungala meditazione che toglie freschezza all' ingegno, o mal disposto del corpo o dell'animo, e volendo pur procedere verso la meta della sua visione pensiero e conforto di lunghi affannosi anni, non si sia trovato in quel felice temperamento di forze e d'affetti, d'umiltà e di fiducia, che richiedesi alle sovrane creazioni dell'arte.

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