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37. Non pur per ovra delle ruote magne
Che drizzan ciascun seme ad alcun fine
Secondo che le stelle son compagne;
38. Ma per larghezza di grazie divine.

(Che si alti vapori hanno a lor piova,
Che nostre viste là non van vicine),
39. Questi fu tal nella sua vita nuova

Virtualmente, ch'ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil pruova.
40. Ma tanto più maligno e più silvestro

Si fa 'l terren col mal seme, e non colto,
Quant' egli ha più di buon vigor terrestro.
41. Alcun tempo il sostenni col mio volto:
Mostrando gli occhi giovinetti a lui,
Meco il menava, in dritta parte vôlto.

57. (L) Ovra: opra. Ruote: cieli. Seme: vila Alcun. Vale qui in fine determinato; come alcuna per una nel penultimo verso del XX Iaf. (SL) Seme. I semi di queste cose, in me infusi forse dal Cielo, preseró a germogliare.

(F) Ovra [Ant.] Attribuisce alle sfere celesti ed alla concomitanza delle costellazioni una qualche influenza sullo svolgersi delle doti del l'animo, dette naturali, come sappiamo che v'influisce il clima, l'aliinento, e simili, in virtù della intima re lazione tra l'anima e il corpo E però ben lontano dagli errori dell'astrologia giudiziaria e del fatalismo, come è provato da quello che con ogni chiarezza soggiunge. Ruote. Pone quattro influenze: de' cieli, poi de' pianeti, più dirette e miste, poi Ja Grazia divina, poi gli abiti dell'anima stessa. Compagne. Out: L'influenza de' pianeti è temperata da quella delle stelle a accompagnare una con l'altra influenza, è più poctico.

38. (L) Alti che vengon da luogo inaccessibile persino a occhio umano.

(SL) Vicine. Nonchè raggiungere, neppur s'avvicinano. Dice te nostre viste; non solo le umane, ma e de' Beaut e degli Angeli, secondo quel che dirà nel XX del Paradiso. Per grazia che da si profonda Fontana stilla, che mai creatura Non pinse l'occhio infino alla prim'onda

39. (L) Questi: Dante Virtualmente: in potenza. Destro: buono e fausto. Pruova: riuscita. (SL) Nuova. Così chiama la gioventù qui e nel libro che ha questo

titolo. Inf., XXXIII, 1. 30: Elà novella. Destro. In Virgilio più volte.

(F) Pruova. Cic.: Sono nell' indole nostra semi di virtù innati, i quali se potessero svolgersi tutti, la natura stessa a vita beata ci menerebbe.

40. (L) Collo: coltivato.

(SL) Maligno. Georg., II: Difficiles... terrae; collesque maligni. dumosis arvis. Silvestro. Frequente usa parole che destano l' idea di selva. Colto Hor. Sat.. 1, 3: Num qua tibi vitiorum inseverit olim Natura, aut etiam con uetudo mala; namque Neglectis urenda filix innascitur arvis. - Vigor. Georg., 1: Occultas vires et pabula terrae Pinguia concipiunt.

(F) Quant'. Aug., de Sum Bono: Siccome il fuoco. quant' ha più legne, e più leva in fiamma, cost l'uomo perverso, quanto più abusa della ra gione, è a viepeggiore malizia incitato. Conv., IV. 91: Se questo (l'appe tito dell' animo) non è bene culto e sostenuto diritto per buona consuetudine, poco vale la sementa; e meglio sarebbe non essere seminato. E però vuole santo Agostino e ancora Aristotele nel 11 dell'Etica, che l'uomo s'ausi a ben fare,... acciocchè questo tallo.. per buona consuetudine induri... sicché possa frutificare, e del suo frutto uscire la dolcezza della umana felicità. Bart S Conc.: Siccome il campo quantunque da se sia buono, se non è bene studiato non puote essere fruttuoso, così l'ànimo senza dottrina.

44. (SL) Giovinetti. Bocc Vita di Dante: Era Beatrice assai leggia

42. Si tosto come in sulla soglia fui

Di mia seconda etade, e mutai vita;
Questi si tolse a me, e diessi altrui.
43. Quando di carne a spirto era salita,
E bellezza virtù cresciuta m2 era,

Fu' io a lui men cara e men gradita.
44. E volse i passi suoi per via non vera,
• Imagini di ben seguendo false,

Che nulla promission rendono intera.
45. Nè l'impetrare spirazion' mi valse,

Con le quali, e in sogno e altrimenti,
Lo rivɔcai: sì poco a lui ne calse.
46. Tanto giù calde, che tutti argomenti
Alla salute sua eran già corti,

Fuor che mostrargli le perdute genti.
47. Per questo visitai l'uscio de' morti;
E a colui che l'ha quassù condotto,
Li prieghi miei piangendo furon porti.
48. L'alto fato di Dio sarebbe rotto

Se Lete si passasse, e tal vivanda
Fosse gustata senza alcuno scotto

dretta secondo l'usanza fanciullesca,
e ne' suoi atti gentile, e piacevole
molto, con costumi e con parole as-
sai più gravi e modeste che 'l suo
piccolo tempo non richiedeva.. In
una canzone il Porta: Sua beltà piove
fiammelle di fuoco Animate d'un spi-
rito gentile Ch'è creatore d'ogni
pensier buono; E rompon .. Gl'innati
vizii che fanno altrui vile. Altrove:
Chi veder vuole la salute, Faccia che
gli occhi d'esta donna miri.

42. (L) Elade: gioventù.

(SL) Soglia Conv, 1: All'entrata di mia gioventute. En, VI: Limina vitae. Seconda Nel Convivio divide Ja vita in adol scenza, gioventù, scnettù, senio. E della prima: Nullo dubita, ma ciascun savio s'accorda ch'ella duri infino al venticinquesimo anno Beatrice morì nel XXVI anno d'età (Bocc., Vita di Dante) Mutai Vita Nuova: Si parti l'anima nobilissima Altrui. Vita Nuova: S'invaghi di donna gentile che mostrava pielà del suo lungo dolore. Se poi d'altre donne, vorrei dubitare.

43. (SL) Salita Il di 9 ottobre 1990. -Gradila. Dice il pregio deli' affetto; però aggiunge a cara.

(F) Cara. Qui Beatrice parla come donna, e come simbolo de' sacri studii, e d'ogni virtù. Jer., II, 47: Non accadde forse colesto a te, che abbandonasti il Signore Dio tuo nel tempo ch'e' ti guidava in cammino? 44 (L) Intera: non attengon mai bene la promessa

(SL) Fate Æn., 1: Falsis Ludis
imaginibus. Petrarca, più languido:
O umane speranze cieche e falsel
(F) Via. Isai.. LXV, 9: Va, per
non buona via, dietro a' suoi pen-
sieri - Intera. Buet, III, 8: Non è
punto dubbio che non ci sia certe vie
che dalla beatitudine sviano, e non
possono condurre l'uomo là dove
condurre lo promettono Più sotto:
Che i beni promessi non possono ol.
lenere

45 L) Rivocai a bene.
46. (L) Argomenti: mezzi.
insufficienti.

47. (L) Colui : Virgilio.

Corti:

(SL) Uscio Sap, XVI, 43: Portas mortis, Piangendo. Inf, II, t. 39. 48. (L) Vivanda: il perdono. -Scolto: prezzo del mangiare; e fio.

(SL) Fato. Inf., IX, t. 33. Æn VI, e altrove: Fata Deum. Scotto.

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L'accoppiare parole del Vangelo con parole dell' Eneide, e farle cantare in Latino ai Padri del vecchio e del nuovo Testamento, parrà meno strano quando si pensi che Virgilio è poeta più religioso di molti verseggiatori Cristiani e Preti; che S Paolo e i dottori della Chiesa accennano a' versi di poeti meno religiosi di lui; che la Chiesa le parole de te dal figliuolo ad Anchise. Salve, sancie parens, rivolge alia Vergine madre. Più avrebbesi che ridire sulla fronde di Minerva in capo a Beatrice; sebbene Minerva, uscita del capo di Giove, sia simbolo della sapienza, Patris aeterni generata mente, Viva divinum referens imago Lumine lumen, come canta la Chiesa: e Orazio, dopo nominato Giove con solo il titolo di Parentis, Proximos illi famen occupavit Pallas honores Altra citazione latina qui abbiamo, e in forma di citazionė erudila: ma oltre pedes meos non passaro Queste cose non teme il Poeta che sgualciscano la freschezza de' versi in cui scende la sua gentile tra gli angeli. Ed è di scuola anche l'accenno, che denota però quant' egli avvertisse i segreti dell'arte: Come colui che dice, E il più caldo parlar dietro riserva Ne tutti loderanno la modestia della parentesi: Al suon del nome mio Che di necessità qui si registra: e a talino potrà parere troppo dotta Beatrice, ragionando agli angeli delle ruote

magne Che drizzan ciascun seme ad alcun fine.

Ne nel principio la divina basterna, e nella fine la vivanda gustata senza scotto di pentimento il quale spande lacrime), parranno modi de' belli: ne il tornar adre delle guance, nè sulla destra coscia Del carro stando... Volse le sue parole cosi, poscia; nè nell'alto proterva; në quella giunta: perchè d'amaro Senti il sapor della pietate acerba La similitudine del. Tammiraglio non direi delle sue più felici (se non si scusi coll'istinto de' tempi che sempre tirano a cose di guerra); e troppo ingegnosa l'altra della neve che tra le vive travi.. si congela soffata e stretta da' venti, con tutto quello che segue, alquanto contorto; sebbene per lo dosso d' I talia sia pennellata di franchezza maestra Må ben più bello è il far consuonare il canto degli angeli all'inno eterno de' cieli; e che la pietà dagli angeli dimostrata al dolore di lui gli conceda lo stogo angoscioso del pianto Osservazione verì: che la compassione altrui, nell'atto di consolare i dolenti, gli eccita a più abbandonatamente dolersi, e, se non avvertano, aggrava, adulando, l'affanno Ma in questo Canto apparisce chiaro, come l'intendimento del Poema sia essenzialmente morale; e come chi ne fa nulla più che una perpetua allusione politica, sconosca l'anima retta e l'ampio ingegno di

Dante.

L'ANTICA E LA NUOVA VISIONE.

1

Nel libro della Sapienza (4) si legge: Questa ho amala e cercata dalla mia giovanezza,... e vagheggiatore mi feci della bellezza di lei. Ora e il Signore di tutte le cose lei amò; perch'ell’è insegnaírice della divina disciplina (9)... Avrò per lei chiaro nome nelle moltitudini, e onore appresso i seniori to giovane... Temeranno, udendomi, re orrendi (3)... Nell'amicizia (4) di lei dilettazione t'uana... e nella prova del linguaggio di lei, sapienza (5) .. Fanciullo ingegnoso ero (6), e sortii anima buona (7). Questo e altri simili luoghi della Scrittura dovevano star nella mente al Poeta; il quale, vedendo come e nella Cantica e altrove sotto l'ombra dell'amore umano è figurato il di vino, che anco nelle carte non rivelate d'Oriente pare istinto di quegli spiriti e istinto della natura umana; e sentendo nella intelligenza propria il vincolo delle cose mortali con te immortali, dagli uomini di quella elá sentito più fortemente d'adesso; e provando in coscienza che l'imagine di questa giovanetta pura e puramente diletta gli aflinava I pensieri e le affezioni per coltivare in sè questo germe di bene, e per continuare l'educazione che le memorie danno al cuore e che i morti proseguono verso i vivi; non avrà stimato indegno dell'arte il fare d'essa donna un'altissima idea. E nella prosa eziandio egli la chiama quella benedetta (8), e la gloriosa donna della sua mente (9); e il primo vederla chiama apparizione; e, dopo incominciato ad amarla, la vede in sogni simili a visione (40). E, una volta tra

(1) VIII, 2-19.

(2) Purg, XXXIII, t. 29: E veggi sua dottrina Come può seguitar la mia parola.

(3) Par., XVII, t. 45: Questo tuo grido farà sme vento Che le più alte cime più percuote; E ciò non fia d'onor poco argomento.

(4) luf., II. t. 21: L'amico mio, e non della ventura.

(5) Inf.. II, t. 26: O Donna di virtù, sola per cui L'umana specie cceede ogni contento Da quel ciel ch' ha minor li cerchi sui.

(6) Purg., XXX, t.14: L'alta virtù,

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l'altre, ella apparisce a sviarlo da nuovo amore (4), come per preparare questo Canto trentesimo che leggiamo. Ma da gran tempo preparava Dante non so che simile a intero poema; dacchè, lei viva, fa dire alla gente: Questa non è femmina, anzi uno delli bellissimi angeli del cielo; e fa dire agli angeli D'un'anima che in fin quassù risplende; e, morta lei, desidera che la sua anima se ne possa gire, a vedere la gloria della sua donna. E in una canzone, composta vivendo Beatrice, è detto che il cielo a sè là chiama, la domanda a Dio: E ciascun Santo ne grida mercede. E quivi pure dice che coloro che scenderanno all'Inferno dopo vedutala, diranno: 1' vidi la speranza de' Beati (2). Nella Vita Nuova: Io imaginava di guardare verso il cielo, e pareami vedere moltitudine d'angeli i quali tornassero in suso, ed avessero dinanzi loro una nebuletta bianchissima; e pareami che questi angeli cantassero gloriosamente. Nella canzone delta: E vedea, che parean pioggia di manna, Gli angeli che tornavan suso in cielo. Ed una nuvoletta avean d'avanti, Dopo la qual gridavan tutti: Osanna. In un'altra canzone: D'un'angiola che in cielo è coronata... Che mi par di veder lo cielo aprire, E gli angeli di Dio quaggiù venire Per volerne portar l'anima santa Di questa in cui onor lasșù si canta.

Ascenderò, dice Isaia, sopra una nuvola leggera (3): qui Beatrice viene entro una nuvola di fiori che sale dalle mani degli angeli, e ricade dentro e di fuori; cioè e sopra la donna e verso la selva e il Poeta (4); che è più alta imagine ed anche più bella della pioggia di fiori, dolce nella memoria che scende da' bei rami sul grembo di Laura, la qual siede umile in tanta gloria (nè ben si vede che merito d'umiltà fosse a lasciarsi cadere in grembo i fiori d'un albero; e le cadono quale sul lembo e qual sulle trecce, che paiono quel di oro forbito e pèrle: senonchè la vera bellezza del quadro è nell'ultimo: Qual si posava in terra e qual sull'onde, Qual con un vago errore Girando parea dir: Qui regna Amore (5). Il regno dell'amore, nè d'altra cosa, non è nella pittura di Dante: ma degno di Dante e dell'amore profondo è quello che segue: Quante volle diss'io Allor pien di spavento!... Che è terribilmente comentato da quello del nostro: Amor... Cui essenzia membrar mi dà ori ore.

E sul punto che Dante sta per dividersi da Virgilio, egli non può che non rammenti uno dei passi più memorabili dell'Eliso virgiliano, e ponga in bocca degli angeli, insieme con le parole del Vangelo, le parole d'Anchise: Manibus date lilia plenis. Segue: Purpureos spargam flores (6), che gli sarà glovato a compire il quadro della sua visione beala: senonchè il pagano

praggiunse un soave sonno, nel quale m'apparre una maravigliosa visione. Apparre a me una mirabile visione, nella quale io vidi cosc... (Vita Nuova). (1) Purg, XXX, t. 45: In sogno e altrimenti, Lo rivocoi.

(2) Bolland., I, 997: Cujus animam Angeli, « Veni, sponsa Christi, recipe coronam quam tibi Dominus praeparavil in aeternum,» cantantes, in coelum deduxerunt.

(3) Isai., XIX, 1.

(4) E for gillando di sopra e d' in

torno (terz. 7). L'imagine gli piacque e perchè bella e perchè significante; e però la ripete: dentro e di fuori.

(5) Il Bucellai, dispregiato da taluni, con greca eleganza: O corran chiari, e tremolanti rivi, Nutrendo gigli e volette e rose (he ʼn prem.o dell'umor ricevon ombra Dai fiori, e í fior cadendo infioran anco Grati la madre, e'l liquido ruscello... Su le spoglie di rose e di viole Di cui Zefiro spesso il rivo infiora.

(6) En., VI.

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