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ghissime, lasciate quasi traccia nell'aria da que' candelabri, procedono ventiquattro seniori, poi quattro animali. All'avvenimento di Beatrice precede un carro mistico! a cui vanno innanzi gli scrittori i quali al mondo annunziarono la verità che lo ha sublimato e lo sublimerà sempre più. Qui s'accenna, tra le altre, alle visioni di Ezechiele e Giovanni; ne è da dimenticare che quella d'Ezechiele incomincia: Cum essem in medio captivorum juxta fluvium Chobar, aperti sunt coeli, et vidi visiones Dei (4). A questa memoria della cattività è quasi certo che ripensasse il Poeta; il quale all'ultimo Canto dà principio dal Salmo LXXVII!: Deus, venerunt gentes in hereditatem tuam; che è memoria anch'esso di sventura insieme civile e religiosa. Che il carro rappresenti la Chiesa, ce 'l dice anco quello del Paradiso, ove Francesco e Domenico son le due ruote della 'biga, In che la santa Chiesa si difese, E vinse in campo la sua civil briga (2); dove rincontri al solito un'imagine di guerra, che è indivisa dalla natura de' tempi. Le due ruote del cocchio (dice Gregorio) sono le due Leggi (3). Ne' quattro animali di Daniele (4) fu. rono veduti i quattro impéri, il caldaico, il persiano, il greco e il romano. Le ali de' quattro animali son sei, fors'anco per ciò che quel numero, come doppio del tre, è più perfetto (5) Il Grifone mistico ha le membra d'oro là dove è uccello; e dove leone, candide e vermiglie, anche per ciò che Cristo era pieno di sapienza e di carità, che è significato per l'oro (6); e che il vermiglio è colore di vita (7). I ventiquattro seniori rammentano, nell'Eliso di Virgilio, pii vates, et Phoebo digna loquuti (8); e gli altri ch'hanno le tempie cinte di candida benda, come i seniori corona di gigli. Ultimo viene Bernardo, secondo la preziosa interpretazione di Pietro cui solo ci giova seguire. E anche in una visione de' Fioretti, dietro a Francesco e ad Antonio, dopo altri frati, viene uno trapassato di corto.

Le sette che qui vediamo essere donne, figuranti le tre virtù teologiche e le quattro cardinali, sono Ninfe sul monte, e stelle insieme nel cielo; e la danza loro rammenta le Ninfe amiche ad Euridice, cum quibus illa choros lucis agitabat in altis (9): ed Euridice amata da Orfeo, poeta visitante per essa il paese oltremendano, pare sorella in poesia a Beatrice. Il verso: Noi sem qui ninfe, e nel ciel semo stelle (10), richiama le trasformazioni tante di persone mortali in costellazioni, il qual mito denota quel che da altri fu detto, che la storia della terra i primi uomini scrivevano ne' cieli, o piutto sto quel che la tradizione pagana adombrò, e che la scienza antica intrayvide, e che la tradizione e scienza cristiana illustrarono, cioè che gli spiriti defunti della prova terrena influiscono tuttavia sulle terrene cose, non solo con la luce e il calore delle memorie e degli esempi, ma con altre più intime e meno avvertite e più possenti influenze. In Virgilio rincontriamo la trasformazione di navi in Ninfe: Quas alma Cybebe Numen habere maris, Nymphasque e navibus esse Jusserat (44); quasi a significare che, siccome in ogni vita (e ciascun corpo, per morto che paia e informe, o ha una vita o è

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ricetto di vite), siccome in ogni vita s'asconde un principio distinto dal corpo e maggiore di quello, onde le Driadi e le Najadi favoleggiate; cosi dal risolversi e trasformarsi di ciaschedun corpo hanno origine vite novelle, in più ampio giro con forza più sottile operanti.

Le quattro virtù cardinali, prudenza, giustizia, temperanza, fortezza, erano così anco da' Pagani ordinate (4): ma quell'ordine è sapientemente unificato e distinto da Agostino laddove dice che tutte e quattro rampollano dall'amore (2). Sopra quattro virtù si edifica la struttura del bene opera. re (3). Per principii naturali l'uomo è ordinato, secondo i quali l'uomo procede a bene operare giusta la proporzione umana; che l'ordinano alla beatitudine naturale, non però senza aiuto divino (4). La prudenza in Dante è guida alle altre; e dicévasi auriga virtutum (5); onde Tommaso: Chi opera contro qualsiasi virtù, opera contro la prudenza, senza cui non può esser virtù veruna (6) Temperanza è quella che serba modo e ordine nelle cose e da fare e da dire (?). — Giustizia, al dir di Tommaso, riguarda le azioni debite tra uguali (8); e questo c'insegna che, dovendo noi qualcosa agli uomini tutti, di tutti siamo eguali, e tutti a noi; e che misura ed effello della giustizia è non la materiale ma la razionale e proporzionale uguaglianza. Ogni virtù che fa il bene in riguardo alla rella ragione dicesi prudenza; e ogni virtù che fa il bene del retto e del dovere nelle operazioni, giustizia; e ogni virtù che rattiene e doma le passioni, temperanza; e ogni virtù che fa l'animo fermo contro qualsiasi passione, fortezza. E così molt'altre virtù in esse vengono contenute (9). Oggetto della prudenza è la ra. gione segnatamente (e anche per questo la prudenza è più nobile); della giustizia l'operazione; della temperanza e della fortezza la passione del desiderio, del timore, da frenare o da vincere. Della prudenza è soggetto altresì la ragione; della giustizia la volontà; della temperanza il concupiscibile; della fortezza l'irascibile. Chi può frenare il desiderio del piacere, da questa difficile vittoria è reso abile a raffrenare e il timore e l'audacia ne' pericoli di morte; che è cosa più facile. E così l'uomo forte a' pericoli è più atto a ottenere la fermezza dell'animo contro l'impelo de' pias ceri (10). Non è vera prudenza quella che non è giusta e forte e temperante; nè è temperanza perfetta quella che non è forte e giusta e prudente; në fortezza intera quella che non è prudente, temperante e giusta; nè vera giustizia quella che non è forte, prudente, temperante (41): nelle quali parole è più che un trattato.

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Le tre teologiche sono a destra; ed ecco perchè. Tre sono le virtù teologiche, delle quali è da trattare prima; quattro le cardinali, delle quali poi (48) Le virtù per le quali l'uomo si dona a Dio, cioè le teologiche, sono più alte delle virtù morali per le quali abbandona alcuna cosa terrestre a fine di darsi a Dio (13). —Le virtù teologiche, che hanno per oggetto l'ultimo

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fine, sono le principali (s). Hanno Dio per oggetto, solo Dio ce le infonde, la rivelazione le insegna (2).

La fede è come neve, la speranza come smeraldo, la carità come fuoco; ora la fede ora la carità è alle altre guida; la speranza è guidata sempre: ma il canto della carità è sempre quello che dà la misura all'andare. Ed ecco perchè. L'atto della fede precede gli atti di ogni altra virtù (3). — La fede è la prima delle virtù (4). La fede genera la speranza (5). — La fede opera per via dell'amore (6). Carità è maggiore di fede e speranza (7). Tutte le virtù in qualche modo dipendono da carità (8).

Innanzi che la visione proceda, if Poeta invoca le vergini sacrosante, come già nel mezzo del Canto le invoca Virgilio: Pandite nunc Helicona, Deae (9); ed anche altrove, dove le chiama, e a loro dà la potenza della me. moria, debole negli uomini miseri: Et meministis enim, Divae, et memorare,potestis (40). Meglio in Dante ramnfentate le tonti ispiratrici e il coro delle ispiratrici deità, che in Orazio, laddove dopo delto vestris amicum fontibus et choris, esce con la rimembranza della sua fuga a Filippi (44). A Lucrezio la speranza della lode è ispirazione, èt inducit noctes vigilare serenas: Dante soffre vigilie e freddi e fami (12) non solamente per istinto di gloria, ma e per amore della verità e della rettitudine e della patria, i quali amori e' raccoglie nel nome d'una donna beata. E se le vigilie e i freddi non istanno li per la rima, non ci stanno, viva Dio, neanco le fami. Per la dolcezza della gloria, dice Dante nella Volgare Eloquenza che dimenticava ogni disagio e l'esilio. Non curando ně caldo nè freddo, nè vigilie nè digiuni, ne niuno altro disagio, con assiduo studio venne a conoscere della divina essenzia quello che per umano ingegno se ne può comprendere... Nel cibo e nel poto fu modestissimo... Niuno altro fu più vigilante di lui e negli studii e in qualunque altra sollecitudine il pungesse (13).

Veduta procedere la lunga schiera, si sente un tuono; e tutti si fermano. All'entrar nell'Inferno trema la terra, e balena una luce vermiglia: nel Paradiso, alla memoria di quel che la Chiesa italiana ne' suoi ministri doveva essere e che non era, i Beati fanno un grido si alto che rende il Poela altonito più che se tuono fosse (14).

(1) Som., 2, 1, 61.

(2) Som., 2, 1,

62.

10.

(3) Som, 2, 2, (4) Som., 2, 2, 4. (5) Som., 2, 2, 7. (6) Som., 2, 2, 108. (7) Ad Cor., I, XIII, 13. (8) Som., 2, 1, 62. (9) Æn., VII. (10) .Er. IX.

(14) Hor. Carm., III, 4.
(12) Terz. 13,

(13) Boce, Vita di Dante.

(14) Auco le locuzioni si rispondono Inf., III, t. 44: La buia campagna tremò... Una luce... La qual mi vinse ciascun sentimento. Par, XXI, t. 47: E fèro un grido... Nè io lo intesi: si mi vinse il tuono.

CANTO XXX.

ARGOMENTO.

Tutti si fermano; Salomone invita Beatrice, la sapienza, a venire. Ella viene tra gli Angeli in lieto trionfo. Virgilio dispare: l'umana scienza dà luogo a quella del cielo. Rimproveri di Beatrice agli errori di Dante. I canti angelici lo consolano: e' piange. Qui, piucchè mai, si conosce la parte simbolica e la storica della visione, la morale e la politica, la divina e l'umana. Vedremo dalla note come i germi della visione già fossero nella Vita Nuova, e nelle poesie giovanili.

Questa è forse la parte del poema ideata per prima da Dante: la tela, poi gli si venne ampliando più e più degnamente.

Nota le terzine 1, 3, 5; 8 alla 13; 15 alla 19; 25 alla 32; 36, 40, 41, 43, 45, 47.

1. Quando 'I settentrion del primo cielo,

Che nè occaso mai seppe nè ôrto,
Nè d'altra nebbia, che di colpa, velo;

4. (L) Settentrion. i candelabri. Cielo: Empireo, onde scesero.-Seppe: conobbe.

(SL) Settentrion. I candelabri paragonati dal Poeta alle sette stelle dell'Orsa maggiore Vengon dalla fredda parte in Ezechiele (1, 4). V Canto precedente. Mai. Perchè sempre im. mobile, o, come dice altrove, sempre quieto (Par., I) Seppe Psal. CIII, 49: Sol cognovit occasum suum La Chiesa: Dies qui occasum nescit Velo La colpa ci vela là beatitudine.

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(F) Settentrion [Ant] È presa dall' Apocalisse (I) l'idea dei sette candelabri d'oro, e n'è fatta una sinlesi magnifica con l'altra delle sette

lampade ardenti, che sono i selle spiriti di Dio (IV): perciocchè i selle candelabri qui splendono in alto più che luna nel suo più bello splendore; e sono come animati movendosi di moto proprio, senza che alcuno li porti. E per il numero e per la luce e per il luogo di loro dimora, che è dinnanzi al trono del Signore, e forse anche per l'alto ufficio d'illuminare e indirizzare al bene la mente degli Eletti, come simbolo eziandio dei doni dello Spirito Santo, sono qui appellati il settentrione del primo cielo; cioè non del primo mobile, ma del cielo empireo, per analogia delle sette stelle dell'Orsa maggiore, chia

2. E che faceva li ciascuno accorto

Di suo dover, come il più basso face Qual timon gira per venire a porto, 3. Fermo s'affisse; la gente verace,

Venuta prima tra 'l Grifone ed esso Al carro volse sè, come a sua pace. 4. E un di loro, quasi da ciel messo,

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Veni, sponsa, de Libano, cantando, Gridò tre volte: e tutti gli altri appresso. 5. Quale i Beati, al novissimo bando, Surgeran presti, ognun di sua caverna, La rivestita carne allevïando; 6. Cotali, in sulla divina basterna

Si levâr cento ad vocem tanti senis,
Ministri e messaggier' di vita eterna.

male i sette trioni, d'onde il nome di seltentrione alla parte della sfera ove quelle stelle appariscono. Riassumendo l'idea, ch'è la fine del Canto precedente, dice: Quando ebbero fatto sosta le prime insegne, cioè i selle candelabri, o, meglio ancora, quando si fermò quel settenIrione, che non andò mai soggetto alle vicende del sorgere e del tramontare su verun orizzonte, nè fu celato agli sguardi dell'umano intelletto da altro velo che da quel della colpa, e che li faceva accorto ciascuno di suo dovere, come il settentrione del nostro cielo fa accorto chiunque gira limone per venire a porto (che è scopo d'ogni navigazione; i ventiquattro seniori, venuli prima tra il Grifone ed esso settentrione, si rivolsero al carro come a sua pace. 2 (L) Dover: andare o stare. Basso: l'Orsa maggiore, segno a qualunque timone Face: fa - Qual: qualunque.

(SL) Basso. Al polo artico e vicino l'Orsa maggiore, volgarmente della Carro Timon Potrebbesi in. tendere: qualunque nocchiero gira il timone Meglio: Qualunque timone gira; personificati jo lui la nave e il nocchiero.

(F) Dover. I doni dello Spirito Santo e i sacramenti anditano all'uomo il bene, e lo confermano in esso.

3. (L) Gente: i seniori.

(SL) Verace. Purg., XXXII, t. 32: Terra vera. Ma qui denota la veracità de' libri ispirati che adombransi ne' Seniori.

(F) Gente. I libri del vecchio Testamento confermano il nuovo Così il vecchio del XIV dell' Inferno si volge a Roma siccome a suo specchio. 4 (1) Appresso: poi

(F) Un. Salomone innamorato della Sapienza (Sap., VIII, 2) come il Poeta di Beatrice; quasi inviato a nome di tutti Cani Cantic, IV, 7, 8: Tota pulchra es, amica mea, et macu'a non est in te. Veni de Libano, sponsa mea, veni de Libano, veni: coronaberis... De cubilibus leonum, de montibus pardorum. Veni è qui tre volte,

5. (L) Novissimo: ultimo della tromba. Caverna: lomba.- Alleriando per immortalità

(SL) Novissimo: [Cav.] I Cor. 15: In novissima tuba

(F) Alleyrando. Aug, de Civ Dei, XII: Quando questo corpo più non sarà animale mna spirituale, allora sarà all'anima di gloria, che è di peso adesso. Greg Mor, XIV: Il corpo glorioso è sottile per effetto della spirituale potenza. Tasso. Ger, VIII, 50 Quel corpo in cui già visse alma si degna; Lo qual con essa ancor, lucido e leve E immortal fatto, riunir si deve Altri legge: La.. voce alleluiando; e sarebbe un ablativo assoluto, cioè, che la voce de' Beati direbbe: Alleluia; e il rivestita non si sa come qui ci cadrebbe Purg., XI: Mondi e lievi Possano uscire alle stellale ruote.

6. (L) Basterna: cocchio.

(SL) Basterna. Carro simile al pilentum, ch'era proprio delle matrone (Servio). L'usa Fazio (I, 27). Ba

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