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47. Per ogni tempo ch'egli è stato, trenta, In sua presunzion; se tal decreto

Più corto per buon' prieghi non diventa. 48. Vedi oramai se tu mi puoi far lieto

Revelando alla mia buona Gostanza
Come m'ha' visto, e anco esto divieto.
Chè qui per quei di là molto s'avanza.

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Sul principio del Canto è confessata e dall' inscienza di Virgilio e dalle parole sue espresse, insufficenza della ragione a conoscere la verità pienamente: nella fine, è professata Come ragionevole, la credenza alla necessità d'una espiazione, che, al di là della vita, ci renda degni della beatitudine prima; e tale necessità è posta accanto al concetto della bontà infinita di Dio, anzi questo concetto è argomento alla ragionevolezza di quella credenza. Virgilio, nell'eletto sue stile, non avrebbe detto stare al quia: ma questa di Dante è commedia; e pare ch'egli, usando qui un modo famigliare tra i tanti nobilissimi del presente Canto, intenda all'ingegno umano insegnare umiltà, così come Virgilio qui siesso a lui in segna docilità.

Siccome in questa Cantica il senso

morale è più puro, cosi l'osservazione della natura esteriore è più nuova insieme è più lieta e più variata Col salire del monte, il Canto si leva e si appura E anco le osservazioni della natura morale, significata dagli atti esteriori della persona, qui si fanno più e più pellegrine, senza punto perdere verità; ch'anzi la semplicità aggiunge ad esse bellezza. Diresti che nell' Inferno il Poeta tiene più degli spiriti tatini ed etruschi, nel Purgatorio de' Greci, degli Orientali nel Paradiso. Le ultime terzine del Canto, per quel che concerne to stile, son di minore bellezza. Ma non è senza bellezza (forse inavvertila a lui stesso) i! collocare colesto re Tedesco, reo di peccati orribili, tra due suoi famigliari Belacqua e Casella; tulli e tre musicanti.

MANFREDI.

IL PERDONO DI DIO.

Una sorella della buona Costanza, la figlia di re Manfredi, fu moglie a Corrado Malaspina, l'antico, ch'e' nomina nel Canto ottavo. E i Malaspina erano lontani parenti di Dante: onde questi avrebbe avuti vincoli d' affinità con la casa di Svevia. Di qui anco l'affetto pio che Dante dimostra alla memoria di lui; ma più alle credenze politiche; e credenze le chiamo, perchè tali erano le speranze del Poeta nel potere e nel volere della casa di Svevia, e d'altri tali. Non si dica, però, che il verso Biondo era e bello e di gentile aspetto sia concesso all'amore di parte e molto meno a rettorica eleganza; dacchè il guelfo Villani de' Tedeschi dice: Belli uomini e di gentile aspetto, che vale nel senso antico non leggiadro, ma nobile. E notisi come singolarità storica, dagli storici trasandata, che Elena, figlia d'un Michele despota d'Epiro (questo titolo ci viene di Grecia, come tiranno), moglie a Manfredi. altrimenti nominata nelle cronache, gli portò in dote Corfù ed altre terre, ond' egli ebbe titolo di duca di Romania, titolo comune con quello Stefano Dusciano di Serbia che tanta parte dell'impero greco aveva con le sue armi occupata. E Manfredi, imperatore accademico, che aveva un po' del tedesco e un po'del francese, condito con dell' italiano, avrà con questo matrimonio, come i conquistatori sogliono, inteso di fare un negozio: e le sue mire tendevano fino a Bisanzio. Dopo la rotta di Benevento, Elena si chiude in Nocera co' Saraceni, e per opera di frati travestiti, messi di Clemente, è data a Carlo, e rinchiusa in un castello per anni sei; muor di trenta.

Orribili, dice Dante', i peccati di re Manfredi parola in tal bocca. di grave senso, e che se non conferma tutte le accuse date al Ghibellino da'Guelfi, lascia imaginare più di quello che dice. Senonchè l'idea che succede della misericordia divina, onora in doppio modo l'anima del Poeta, ed è condanna tanto più forte quanto più mansueta alla severità de' nemici. Bene aveva Dante e letto e inteso le parole del profeta, che non senza perchè l'Autore della nuova legge ricorda: Non vo' la morte del peccalore, ma ch'e' si converta, e ch'e'viva (1). E i Salmi: Soave il Signore a tutti, e le misericordie di lui sopra tutte le opere sue (2). E ne' Treni: Buono è il Signore a chi in lui sperano all'anima che cerca lui (3). E Isaia: Lasci l'empio la sua via, e l'uomo ingiusto i suoi pensieri, e ritorni al Signore, e avrà misericordia; perchè Iddio nostro è grande al perdono (4). Il Grisostomo citato da

(1) Ezech., XXXIII, 11.

(2) Psal. CXLIV, 9. Vedasi tutto il Salmo CII, pieno dello spirito di misericordia cristiano, e tra' più be' passi

della Bibbia, cioè tra più alti di tutta
la poesia di tutti i popoli e i secoli.
(3) Thren., III, 25.
(4) Isai., LV, 7.

Pietro: La bontà di Dio non dispregia mai il penitente. Nel Convivio nomina le braccia di Dio (1), che è voce biblica come l'ombra delle all (2); ma non come il Foscolo dice: Le ali del perdono di Dio.

Sapeva Dante che anco de' buoni può essere la sepoltura vietata (3), e rammentava forse le parole d'Agostino (4): Corpori humano quicquid impenditur, non est praesidium salutis, sed humanitatis officium. E qui giova recare le belle parole del Supplemento alla Somma, le quali dicono cose e più vere e più alte e più liete, e però più poetiche, de' Sepolcri del Foscolo: La sepoltura fu trovata e pe'vivi e pe' morti; pe'vivi, non gli occhi loro dalla sconcezza de'cadaveri siano offesi, e i corpi dalle esalazioni ammorbati. Ciò quanto al corpo: ma spiritualmente altresì giova a'vivi, in quanto la fede nella risurrezione cosi si rafferma, A'morti poi giova in questo, che gli uomini riguardando i sepolcri, ritengono la memoria dei defunti, e orano a Dio per essi: onde monumento prese nome da memoria, come dire ammoni mento (5), Fu errore de' Pagani che al morto la sepoltura giovi acciocche l'anima di lui abbia pace. Ma che la sepoltura in sagrato giovi al morto non diviene dall'opera in sè, sibbene dall' animo dell'operante in quanto o il defunto o altri disponendo la sepoltura in luogo sacro, la commette al patrocinio e alla speciale preghiera di qualche santo, e all'amore e alle preghiere di quelli che servono al sacro luogo, che pe'quivi sepolti orano in più special modo e più di frequente. Quelle cose poi che usansi all'ornamento de' sepolcri, giovanò ai vivi, in quanto che sono ad essi consolazione e possono anco a'morti giovare non di per se, ma in quanto per que'segni gli uomini sono eccitati a commemorare e compiangere, e quindi a pregare; o in quanto da quel che è dato alla sepoltura o i poveri ricevono frutto, o la chiesa ne riceve a' suoi riti decoro, e la sepoltura viene ad essere tra le elemosine annoverata. E però gli antichi Padri curarono della sepoltura de'corpi proprii a fine di dimostrare, che i corpi de' morti cadono anch'essi sotto le leggi della divina, e però dell'umana provvidenza; non già che i corpi morti abbiano sentimento, ma per raffermare la fede nella risurrezione (6). Onde volevan anco essere nella terra di promissione sepolti, ove di fede credevano che Cristo nascerebbe e morrebbe, autore della risurrezione nostra. E perchè la carne è parte dell' umana natura, naturalmente l'uomo alla propria carne ha affezione e per questo istinto il vivente ha una certa sollecitudine di quel che sarà del suo corpo anche dopo la morte, e si dorrebbe se presentisse che quelle spoglie avessero a patire cosa non degna. E però coloro che amano l'uomo conformandosi all'affetto di lui che amano, intorno al corpo suo adoprano le cure che insegna l'umanità. Perchè, come dice Agostino (7), se la veste o l'anello del padre o altra tale memoria, è tanto più cara a'discendenti quanto maggiore è l'affetto loro verso di quello, non sono da non curare i corpi stessi, i quali tanto più famigliarmente e più congiuntamente che veste o adornamento, portiamo. Onde colui che seppellisce, col soddisfare all'affetto del defunto, ch'e'non si può soddisfare da sé, dicesi che in certa guisa gli faccia carità. E all'uomo

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stesso non buono la sepoltura in luogo sacro non nuoce se non in quanto egli intese fare a se sepoltura non degna per gloria vana (1). I riti sepolcrali sono in tutta l'antichità cosa sacra; e gran parte dell'epopea e del dramma greco, e dell' epopea virgiliana, s'aggira intorno a' sepolcri. Non dirò dell'ode oraziana ad Archita, la quale avrebbesi a tenere come un'esercitazione giovanile, se forse non è accenno a fatti ignorati da noi il che del resto sarebbe scusa, ma non si potrebbe convertire in bellezza. L'ode però attesta anch'essa la religione de'sepolcri; e come il pio uffizio reso agli estinti credessesi ridondare. in merito a'vivi, e il negletto, in grave pena (2), e al trasgressore e a' suoi figli innocenti. In Virgilio, Mesenzio stesso, il disprezzatore degli dei e lo sfidator della morte, con parole che vanno all'anima prega il suo vincitore gli conceda sepoltura allato al figliuolo diletto e lo salvi dall' ire superstiti de' suoi nemici: Corpus humo patiare tegi. Scio acerba meorum Circumstare odia, hunc, oro, defende furorem; Et me consortem nati concede sepulcro. Haec loquitur, juguloque haud inscius accipit ensem.... (3). Ma i versi a cui in questo Canto di Dante si accenna, sono: Haec omnis, quam cernis, inops, inhumataque turba est... centum errant annos, volilantque haec litora circum. Tum demum admissi stagna exoptata revisunt (4). E l'altro ancora: Distulit in seram commissa piacula mortem (5).

Il dare, in pena della presunzione contro la Chiesa, moltiplicato per trenta nel Purgatorio il tempo dell'indugio per salire all' espiazione desiderata, è idea conforme alla pena della presunzione giudaica; che per quaranta giorni d'indocilità stettero quarant'anni gli ebrei nel deserto (6. Severo a que' ch'egli credeva o frantendessero i precetti della Chiesa o li violassero, il Poeta dimostra verso la Chiesa stessa pietà riverente e punisce gl' inobbedienti. Qui parlasi della presunzione verso la Chiesa; ma quanto alla presunzione in genere, quest' è la dottrina della Somma, dottrina al solito sapientemente temperata di severi e di miti pensieri: Siccome per disperazione altri dispregia la divina misericordia a cui la speranza s'appoggia; cosi per la presunzione dispregia la divina giustizia che punisce i colpevoli: siccome la disperazione è aversione da Dio, così la presunzione è inordinata conversione ad esso. Par ch'ella importi certa smoderatezza nella speranza. Or l'oggetto della speranza è un bene arduo ma possibile. E possibile è all'uomo la cosa in due maniere: l'una per virtù sua propria, l'altra per sola virtù divina. Nell'una e nell'altra speranza, se smoderata, può essere presunzione. Chi troppo spera di se, ha presunzione contraria alla magnanimità: troppo spera della virtù divina e pecca di presunzione chi pretende avere perdono senza penitenza, e senza meriti avere gloria. Appoggiarsi alla virtù divina per voler ottenere da Dio quel che a Dio non conviene, gli è un detrarre alla divina virtú (7). Peccare con proposito di persistere nel peccato con la speranza del perdono è presunzione: e questo aggrava il peccato; ma peccare con isperanza di perdono ed insieme con proposito di astenersi dal peccato e penlirsene, questo scema il peccato perchè dimostra volontà meno ferma in esso. La presunzione è peccato minore della disperazione perchè è più proprio a Dio usare misericordia e perdono che punire, per la sua infinita bontà (8).

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Il Canto spira freschezza e quiete come di sera estiva serena; e qui, come sovente cade la lode del Tasso: Dante agguaglia quasi Omero nell'accurata diligenza di descrivere le cose minutamente. Cade segnatamente nella comparazione delle pecorelle, che nessuno avrebbe forse osató dedurla con accuratezza tanto minuta, e pochi saputo con si schietta e conveniente eleganza. Qui viene il bel verso: Pudica in faccia, e nell' andare onesta (1); e nel principio è quell' altro: La fretta. Che l'onestate ad ogni atto dismaga (2). Che rammenta quegli altri Genti v'eran con occhi tardi e gravi (3). E nel muover gli occhi onesta e tarda! (4). Duo vecchi in abito dispari, Ma pari in atto d' onestate sodo (5). Tommaso All' onestà e gravità nuoce la fretta (6). Seneca tradotto da un antico: Sia il tuo andare senza disordinamento. Il Boccaccio, di Dante: Era il suo andare grave e mansueto.

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Qui dice che il sole non era molto elevato sull' orizzonte, giacchè fiammeggiava di luce rossa, come avviene allorchè i suoi raggi attraversano i vapori, che più densi stanno verso la superficie terrestre, massime se marina; e che esso Dante camminava in direzione opposta a quell' astro, avendo egli l'ombra dinnanzi. Vedesi di qui com'egli ben conoscesse la teoria delle ombre, se le definisce una intercezione de' raggi lucidi, fatta da corpo opaco. »

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Vespero è già colà dov'è sepolto... » (T. 9.)

Ci dà un'idea della differenza di longitudine tra l'Italia e il monte sul quale egli colloca il Purgatorio. Ammesso che la visione abbia principio nel plenilunio ecclesiastico del 1300, e che quindi questo giorno corrisponda a quello di Pasqua, 40 aprile; ammesso che il Pur

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