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quella è colpa di gola ove l'uso de' cibi esce dalla regola di ragione la quale virtu (1); e che neppure ogni uso inordinato de' cibi è colpa mortale (2). Chi è che non prenda alquanto di cibo oltre alla stretta necessità ? (3). Nel mangiare, il piacere si mesce alla necessità: quanto questa richieda, e quello si arroghi, non si può bene sapere (4) · Colpa è, per concupiscenza di cibo piacevole, eccedere la misura nel mangiare sapendo di eccederla, non per imperizia, credendo quel tanto essere necessario (5). — Allora la gola è vizio quando si fa ultimo e principale line del godimento ed è colpa quando immuta, o risica d'immutare, più o meno in male l'essere del corpo: onde Dante: la dannosa colpa della gola (6), e colpe della gola Seguile già da miseri guadagni (7). Ed è non meno arguto ́che vero il detto della Somma, che gli uomini non s'affannano nella vita tanto per il mangiare, al che poco richiedeši, quanto per bene, cioè troppo, mangiare.

L'avarizia s'è veduto essere il più grave de' vizii che riguardano i godimenti della carne (8), perchè il piacere essendo appetibile per sè stesso, l'utile come mezzo (9); il fermare il desiderio sul mezzo, è più grave sforzo della mente e dell'animo, e però maggiore abuso del libero arbitrio. La lussuria, secondo Tommaso, è più grave della gola; ma Dante la colloca men lontano dalla cima del monte, forse perchè nella gola l'oggetto del piacere è più animale e più vile, e non ha nè le tentazioni nè le scuse che ha l'altro, nè porta seco, ad attenuarlo, quegli esercizii d'affetto e di annegazione i quali, tuttochè torti a mal fine, tengono talvolta un qualche elemento non dissimile da virtù, o almeno col dolore che recano, preparano l'anima a ravvedimento. Nota la Somma, la gravità del peccato dipende dall' intenzione che l'uomo ci mette. E altrove più pienamente: La gravità del peccato misurasi da tre rispetti; prima nel soggetto di quello, e in questo i peccati che riguardano le cose divine sono i più gravi; e in questo rispetto il vizio della gola non de' maggiori, dacchè versa nelle cose che servono a sostentamento del corpo. Poi la gravità si può misurare dalla parte di chi pecca; e in questo la gola non è de' più gravi, sì perchè civarsi è necessario, sì perchè difficile è discernere quel che conviene in tali cose, e moderarsi nell' atto. Da ultimo, si misura dagli effetti, ed in questo il vizio della gola può avere gravità in quant' egli si fa ad altri peccati occasione.

(1) Som., 1. C.

(2) Som, 2, 2, 154.
(3) Aug. Confess., X.
(4) Greg. Mor., XXX.
(5) Som., 2, 2, 148.
(6) Inf., VI, t. 18.

(7) Purg, XXIV, t. 43; e l'Ecclesiastico (XXXVII, 34): Propter crapulam multi obierunt.

(8) Greg. Mor., XXXIII.
(9) Som., 2, 2, 148.

CANTO XXIV.

ARGOMENTO.

Parla di Piccarda sorella di Forese con dolci parole; tocca della Pargoletta, amata da lui; tocca di quel che fa bella la poesia, cioè la verità dell' affetto. Poi de' mali di Firenze e della morte di Corso. Le memorie del cuore, dell'ingegno, della vita civile s'accolgono in questo Canto, un de' più belli di tutto il poema. Trovano un albero, quivi trapiantato da quello che costò ad Eva tanto: sotto l'albero la fame dell'anime si fa più acuta. Gridano allora esempi d' intemperanza gastigata, i Centauri e i guerrieri da Gedeone rifiutati alla maravigliosa battaglia.

Nota le terzine 1 alla 10; 12, 13, 15; 17 alla 30, 32; 34 alla 44; 48, 49, 50.

1.

Nè il dir l'andar, nè l'andar lui più lento

Facea; ma ragionando andavam forte,
Si come nave pinta da buon vento.
2. E l'Ombre, che parean cose rimorte,
Per le fosse degli occhi ammirazione
Traén di me, di mio vivere accorte.

4. (L) Ne il dire non faceva più lento l'andare, nè l'andare, il dire. E la parola e il passo eran festi..Pinta: spinta

(SL) Ne. Arios., XXXI, 34: Non, per anlar, di ragionar lasciando, Non di seguir, per ragionar, lor via. Il nostro, se non più dolce, più breve: ei tronchi qui suonano la fretta.

2. (L) Rimorte. Più che smorte, e

quasi più che morte.
mia vista

Di me dalla

(SL) Rimorte Dice non ripetizione, ma intensione. - Traén. In senso simile al virgiliano: Mille trahens varios, adverso sole, colores. Traritque per ossa furorem (Æn., IV). Nelle impressioni che paion più passive, certe anime segnatamente fanno prova d'attività, e ci mettono del proprio non poco.

3. Ed io, continuando il mio sermone,

5.

Dissi:
Ella sen va su forse più tarda,
Che non farebbe, per l'altrui cagione.
4. Ma dimmi, se tu sai, dov'è Piccarda:
Dimmi s'io veggio da notar persona
Tra questa gente che si mi riguarda.
La mia sorella, che, tra bella e buona,
Non so qual fosse più, trionfa lieta
Nell' alto Olimpo, già, di sua corona.
6. Si disse prima; e poi: Qui non si vieta
Di nominar ciascun, dacch'è sì munta
Nostra sembianza via per la dieta.
7. Questi (e mostrò col dito) è Buonagiunta,
Buonagiunta da Lucca. E quella faccia
Di là da lui, più che l'altre trapunta,
8. Ebbe la santa Chiesa in le sue braccia:
Dal Torso fu: e purga per digiuno
Le anguille di Bolsena è la vernaccia.

3. (L) Ellä: l'ombra di Siazio. Più più tarda che se jo séco non fossi a parlare e Virgilio.

4. (SL) Piccarda Donati, sorella di Forese e di Corso, figliuola di Simone, bellissima Fatta monaca di Santa Chiara: perche Corso l'aveva promessa a un della Tosa, fu di convento tratta a forza da lui, venuto a ciò da Bologna, dov'era podestà, e data moglie: ma elta infermò sull' atto e mori (Cionacci, Vita della B Umiliana, p IV, c. 7) Notar. Inf.. XX. t. 35: Se tu ne vedi alcun degno di nota.

5. (SL) Tra. Petr: Che, tra bella e onesia. Non so qual fosse più Più proprio che nel Tasso: E mezza quasi par tra viva e morta. - Olimpo, Buc., V: Insuetum miratur limen Olympi. Georg, 1: Alto Olympo L'accenno mitologico scusasi in parte coll'origine della voce greca che vuolsi splendore e coll'imagine biblica del monte santo. Corona Ad Tim., II, IV, 8: Reposita est mihi corona justitiae. 6 (L) Dacch': poichè. Munta: attenuata e quasi svanita,

(SL) Munta. Inf., XXIV, t. 15; La lena... del polmon si munta. Per dimagrata i campagnuoli Toscani dicono diburrata.

2. (L) Trapunta: le inuguaglianze dell'arida pelle rendono Imagine di trapunto.

(SL) Buonagiunta değli Urbicciaht, rimatore inediocre: ma a quando a quando elegante. Abbiamo un soneito di lui al Cavalcanti, amico del Nostro. Fu uomo di valore, dice l'Anonimo Dante nella Volgare Eloquenza (1, 13), lo nomina come negletto di stile.

8 (SL) Braccia Inf., XIX, t. 49: Non temesti torre a inganno La bella donna... Torso. Vescovo, o come altri dice, tesoriere, a Tours, nacque nella Bric, fu papa col nome di Martino IV dal 1280 al 1984: buon uomo: amico molto alla casa di Francia, faceva morire le anguille del lago di Bolsena Hel vin blanco, e le condiva con spezie: e satollo esclamava: Bone Deus, quanta mala patimur pro ecclesia Deil Morto che fu, ne scrissero: Gaudent anguillae quia mortuus hic jacet ille Qui. quasi morte reas, excoriabat eas Out.: Fu uomo guerresco. e molta guerra fece fare contra gli avversari della Chiesa. Nel costui tempo si rubello Sicilia dal re Carlo; nel costui tempo passo Filippo re di. Francia in Catalogna contro lo re Piero d'Aragona. Delle anguille di Bolsena e di Comacchio mandavasi sino a' tempi nostri regalla a' prelati di Roma.

9. Molti altri mi nomo ad uno ad uno:
E nel nomar parén tutti contenti ;

Si ch'io però non vidi un atto bruno.
10: Vidi per fame a vôto usar li denti
Ubaldin dalla Pila; e Bonifazio,

Che pasturò col rocco molte genti:
11. Vidi messer Marchese, ch' ebbe spazio
Già di bere a Forlì con men secchezza;

E sì fu tal, che non si senti sazio.

12. Ma come fa chi guarda, e poi fa prezza
Più d'un che d'altro, fe' io a quel da Lucca,
Che più parea di me aver contezza:

13. Ei mormorava; e non so che Gentucca
Sentiva io là 'v' ei sentía la piaga
Della Giustizia che sì gli pilucca.

9. (L) Bruno : scontento.

(SL) Contenti. Per amore di fama. Ciacco, il goloso, nel VI dell'Inferno: Pregoii ch' alla mente altrui mi reBruno. Petr.: Vista oscura. Vista or chiara, or bruna. 40. (E) Rocco, come vescovo

chi

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(SL) Vôto. Ovid. Met., VIII: Oráque vana movet, dentemque in dente fatigat; Exercetque cibo delusum gutiur inani: Proque epulis tennes nequidquam devorat auras. Æn., XII: Jam jamque tenet, similisque tenenti Incrépuit malis, morsuque clusus inani est. Nel mezzo verso di Dante ci stanno quelli e di Virgilio e di Ovidio, Ubaldin. La Pila, luogo nel Fiorentino Fratello del Cardinale ritrovato in Inferno (c. X). Una medaglia di questo Ubaldino fu trovata tra le rovine di Monte Accianico, castello di quella famiglia, signora già del Mugello (Brocchi, Diss. del Mug, p 53),

Bonifazio Arcivescovo di Ravenna: molti antichi lo fanno figliuolo del detto Ubaldino; altri. genovese de' Fieschi; perchè vescovo ravennate fu dal 1272 al 1294 un Bonifazio di Lavagna Rocco. O rocchetto, colla di prelati, ma quirocco vale il pastorale de' vescovi; e 11 Postillatore Cassinense dice che il pastorale dell'arcivescovo di Ravenna ha un pezzo in cima fatto a guisa degli scacchi, cioè della torre. E Benvenuto da Imola: Reclam, et in summitate rotundam ad modum calculi sive rocchi; come il bordone dei pellegrini.

(F) Pasturò. Joan., XXI, 15: Pasce agnos meos. - 17: Pasce oves meas.

11. (L) Spazio: agio. Men di qui. (SL) Marchese. Nome di persona, è fu de Rigogliosi, cavaliere di Forli, gran bevitore. Dettogli dal cantiniere che la città lo biasimava di sempre bere, e tu, soggiunse, rispondi, ch'i' ho ́sele sempre.

19. (SL) Prezza: stiffia.

(SL) Contezza. Per le rime di Dante. hole già, vivo Bonagiunta. Ou Mostra l'affezione che avea a Buonagiunta, più che agli áliti, perocche si diletto in una medesima poesia vulgare.

15. (L) Za: in bocca a lui. -Pilucca: mangia a poco a poco, come tolti dal grappolo chicchi, rimane il raspo brullo

(SL) Gentucca. La Pargoletta, nobile fanciulla amata, dicuño, da Dante forse nel 1314. Tra le sue Rime abbiam questi versi: Chi guarderà giammai senza paura Negli occhi d'esta bella pargoletta. L'Ottimo qui vede Alagia di cui nel XIX del Purgatorio, terz ultima Ma tutti cotesti amori di Dante risican d'essere romanzo rettorico. Piaga. Piaghe chiarba i segni del peccato, scritti dalla spada dell'angelo, — Pilucca. Varchi: Piluccarsi un grappoto d'uvá. Purg, XXIII, t. 20: Che si vi sfoglia. Ma il Sentire che Dante fa con l'orecchio it nome di giovanetta gentile uscir dalla gola dove Buonagiunta sente la fame; e questa fame che è piaga d'una giustizia che pilucca; offre un infelice accozzamento di suoni e d'imagini.

14.

15.

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Femmina è nata, e non porta ancor benda
(Cominciò ei), che ti farà piacere
La mia città, comech' uom la riprenda.
16. Tu te n'andrai con questo antivedere:
Se nel mio mormorar prendesti errore,
Dichiarerànti ancor le cose vere.
17. Ma di s'io veggio qui colui che fuore
Trasse le nuove rime, cominciando:

Donne che avete intelletto d'amore.
18. Ed io a lui: Io mi son un che, quando
Amore spira, noto; e a quel modo

19.

Che dêtta dentro, vo significando.

O frate, issa vegg' io (diss' egli) il nodo
Che 'I Notaio e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo, ch'i' odo.
20. Io veggio ben, come le vostre penne
Diretro al dittator sen vanno strette;
Che delle nostre, certo, non avvenne.

14. (L) Par': pari.
15. (L) Benda': le maritate e le ve
dove portavano bende. Uom: altri,
e forse lu.

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(SL) Uom. Inf., XXI O forse in generalé la fama de' Lucchesi non era buona: e a'gran torto, cred'io.

16 (L) Cose: il fatto te lo dichiarerà.

(SL) Dichiareranti. E da pronunziare al possibile in modo che tra la ne la t sentasi un po' della ; intendendocisi te lo dichiareranno.

17. (L) Veggio...: se sei tu... ---Fuore: dal cuore.

(SL) Donne Canzone recata nella Vita Nuova. Intelletto Eccli., IV, 24: Intelle tum justifine.

18 (SL) Amore. Nella Vita Nuova e' condanna coloro che rimano sopra altra materia che amorosa; conciossiache cotal modo di parlare forse dal principio fu trovato per dire d'anore. Muiò poi sentenza Denta Som: Dictamine rationis [C] Ovidio con epiteto inutile: Carmina, purpureus quae mihi dictal Amor Dentro. Ad Cor., I, V, 12: De his quae intus sunt. Som: Deo interius inspirante.

(F) Significando. Postill. Cael.:

Philocaptus melius loquitur de amore, quam non philocaptus.

19. (L) Issa: or. — Nodo: impedi

mento.

(SL) Issa. Modo lombardo, ma fors'anco lucchese e però messo in bocca a Buonagiunta. - Notaio. Iacopo da Lentino: visse circa il 1280. Abbiamo sue rime, assai disadorne.

Guittone d'Arezzo, più elegante di Buonagiunta, ma pur mediocre. Nacque nel 1950: di 34 anni si fece de' frati gaudenti: fu buon cittadino - Dolce: Purg., XXVIA 33: Rime d'amore usár dolci e leggiadre.

1

(F) Ndo. Conv., I, 40: Questa grandezza do io a questo amico (il Volgare italiano) in quanto, quello elli di bontade avea in podere e occullo, io lo fo avere in atto, e palese nella sua propria operazione. Un poeLa provenzale: Cantar non puote guari Valere se dal cor non move il canto Il Costanzo, in una lettera su questo passo Amore è quegli che fa volare non che correre: e senz'esso, è il volere empire i fogli un empirli di stoppa.

20. (LY Dittator: Amor dettatore. Che il che. Non avvenne: non dicevano col cuore.

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