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BRITISH

17 AP 1902

MUSEUM

41. (È il Sol mostrai). Costui per la profonda
Notte menato m'ha de' veri morti,

Con questa vera carne che 'l seconda.
42. Indi m'han tratto su li suoi conforti,
Salendo e rigirando la montagna,

Che drizza voi che il mondo fece torti.
43. Tanto dice di farmi sua compagna,
Ch'io sarò là dove fia Beatrice:

Quivi convien che senza lui rimagna.
44. Virgilio è questi che così mi dice
(E additálo). E quest' altro è quell' Ombra
Per cui scosse dïanzi ogni pendice

Lo vostro regno, che da sè la sgombra.

41. (L) Morti: dannati. mia. Seconda: segue.

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Questa

(SL) Veri. Purg., XXX, t. 47 : L'useio de' morti.

49. (L) Indi: di là.

(SL) Drizza. Purg., X, t. 4: Il mal amor... fa parer dritta la via torta. Ma qui pare più giuoco.

43. (L) Compagna: compagnia. Rimagna: io resti.

(SL) Compagna. Purg., III, t. 2.

(F) Beatrice. Olt.: Dove la fede vale, la speranza accende, la caritade fa ascendere li superri gradi.

44. (L` Addrάlo: l'additai Ombra. Anima purificata. Stazio. Sgombra: la invia al cielo.

(SL) Ombra. Non la nomina; chè di Stazio poco importava a Fo

rese.

La freschezza de' primi versi, dove par di vedere la fronda verde consolata dall'acque chiare che vi si spandono su, si diffonde per tutto il Canto; e fa meno sentire, certe piccole negligenze, e l'abbondanza insolita consigliatagli dall'affetto alla memoria di Forese: si che questo è, quanto a idee, de' men pieni. Le esclamazioni portano con sè tanto grave pericolo di dar nel rettorico e di scemare al dire potenza; che talvolta la scemano in Dante stesso lo non ammiro Chi crederebbe che l'odor d'un pomo ?... ma delle più belle (come nelle scuole dicevano) ipotiposi, o rappresentazioni della cosa al vivo, mi pare, al vedere quella sfinitezza famelica: ecco gli Ebrei assediati da Tilo E, inteso questo, si passa sopra al dare nel figlio di becco. Più bella che Qual maraviglia ch'esce di bocca a Brunetto, il maestro, perchè più tenera é pia, è la parola di Forese l'amico: Qual grazia m'è questa? che rammenta quella di Sordello a Virgilio, pia e modesta: Qual merito o qual grazia mi ti mostra ? Tuttochè incolto dalle fiamme pioventi, il discepolo riconosce Brunet

DANTE. Purgatorio.

to; la lunga agonia della fame e della sele gli trasfigurisce l'amico così, ch'e' non può riconoscerlo se non alla voce, e la voce poi gl'illumina la memoria a leggere in que' lineamenti l'imagine antica. Questa è bellezza del cuore; e prova come Dante sentisse l'amicizia al pari, e forse meglio, dell'amore; e come di qui gli venisse merito á rendere tanio potente, e talvolta onestamente pietoso, lo sdegno. La ricordanza della moglie amorosa, è tra le più care cose di tutto il poema; e negli sdegni stessi contro l'inverecondia delle donne fiorentine, è compassione di loro, pietà della patria, la cui perdizione il retto suo ingegno vedeva venire tutta dal corrompere de' costumi Ne egli tiene sè immacolato; ed è conlessione vereconda ma schietta il bel verso: Qual fosti meco, e quale io teco fui Di più austera bellezza, e di più generate moralità, l'altro: To dico pena; e dovrei dir sollazzo; dichiarato poi dalla comparazione del Redentore che lielo patisce, e insegna andare incontro al dolore che espia, accoglierlo con gratitudine e farne tesoro d'immortale speranza.

21

LA GOLA.

Nel verso, non bello (ma anche l'aurea antichità n'ha parecchi di tali), recato da Gregorio (1), e ripetuto da Tommaso, raccolgonsi le condizioni che il piacere della gola fanno essere colpa. Praeprapere, laute, nimis, ardenter, studiose (2); e vale essere rea l'ingordigia nel mangiare anzi tempo o fuori di tempo o senzą darsi tempo; rea quella lautezza de' cibi che costa troppo; rea quella che nel loro apparecchio mette importanza e fatica e vapila e spesa soverchia; rea quella che eccede nella quantità; quella da ullimo che al mangiare e al bere agogna con voluttà quasi affannosa, e ru. mina nel pensiero il mangiare fatto, e sul da farsi medita beatamente. Non è senza verità, tuttochè paja strano, il detto della Somma: che gli eccessi della gola contrastano in certa maniera al precetto del degnamente celebrare la festa (3), si perchè nella festa più che mai hanno luoghi cosi fatti eccessi, si perché gli epuloni in tutti i di dell'anno fanno festa con l'ozių e la crapula; ond'è che quel vizio profana insieme e il riposo religioso e il civile, abusa e la povertà e la ricchezza, e dell'uomo fa peggio che un animale bruto, massimamente in que' tempi che Dio, ordinando un po' di quiete alle sue membra con legge provvidissima e di sanità e di libertà lo richiama a più alti pensieri. E il detto della Somma è anche vero in questo rispetto, che, il digiuno essendo stabilito come preparazione alle feste, e come un prelibare della cerimonia di quelle, il trascorrere nella dismisura contraria al digiuno è un violare il precetto. Da quest'abuso proviene che in più lingue le voci denotanti il mangiare e il bere denotano il festeggiare, come adorea, bombance, baldoria, tripudio, trionfo; e Orazio, traendo a comodo della dottrina epicurea la falsala religione de' tempi, dopo vinta Cleopatra, cantava: Nunc est bibendum... (4).

Al tatto reca Tommaso il vizio della gola, dacchè e il gusto e l'odorato non sono che una specie di tatto; e lo fa compagno all'impazienza, per essere vizio contrario al patire i disagi cosi come gl'indugi, e per debilitare anco in questa maniera le forze dell'anima; Alla battaglia (5) dell'uomo inferiore non si sorge se prima il nemico posto entro noi stessi, cioè l'appeito della gola, non viene domato (6). A fortezza appartiene la pazienza che sostiene i mali e la longanimità che sa attendere i peni (7). — I forti fa

(1) Mor., XXX.

(2) Som., 2, 1, 72. Isidoro, in altre parole. Quid, quantum, quomodo, el quando (De Sam. Bon., II).

(3) Som., 2, 2, 148.
(4) Hor. Carm., I, 37.

(5) Purg., XVI, t. 26: Libero voler; che, se fatica, Nelle prime battaglie del ciel, dura, Poi vince tutto, se ben si nutrica.

(6) Greg. Mor., XXX.
Som., 2, 2, 139.

ticano avendo fame e sete del gaudio de' beni veri, e desiderano tenere lontano l'affetto loro da' terreni e da' corporali (1). — Non solo fare opere virtuose, che comunemente diconsi opere di giustizia, ma farle con certo insaziabile desiderio, quasi con fame e sete (2). Questi passi che congiungono insieme le idee di fortezza e di astinenza da cibi, e di giustizia (ben distingue Tommaso la giustizia particolare dalla universale; ma qui può in. tendersi anco di questa), dichiarano perchè Dante ripetendo il passo del Vangelo: Beati qui esuriunt et sitiunt justitiam, lo applichi e all'astinenza della gola, e al giusto amore e uso della ricchezza, lontano si da avarizia e si da prodigalità (3) Essendo la carità, soggiunge Tommaso, radice de' beni tutti, quando appartiene a fortezza, appartiene altresi a carità Or il vizio della gola offende e giustizia e carità, per questa ragione, tra le altre, che toglie ai necessitosi quel che è debito ad essi, e insulta alla loro miseria spietatamente.

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Adam intemperantia ventris expulit a Paradiso (4). Ove domini il viziq della gola, lutto quello che gli uomini hanno fortemente operaio, lo perdono (5). Dum venter per ingluviem tenditur, virtutes animae per luxu riam destruuntur (6).

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Figlie della gola, dice Gregorio (7), stolta allegria, buffoneria, immondezza, loquacità, grossezza della mente. La quale enumerazione non alterando, ma in più ragionato ordine disponendo, la Somma dimostra come la gola offenda la ragione con la grossezza della mente (8), intorbidt l'appetito con la vaga e incomposta allegria, disordini la parola a loquacità (9), la persona a sfrenati atti di quella buffoneria che a stultis curialitas dicitur, idest jocularitas quae risum movere solet (10); brutti Il corpo anche con l'esteriore iminondezza.

E perchè immondizia massimamente appartiene alla gola (11); però da acqua immonda e puzzolente sono battuti in Inferno i golosi, e Cerbero ha la barba, unta e atra. Omnes mensac repletae sunt vomitu sordibusque (19). E per immondezza intende la Somma e le superfluità de' cibi male smalliti, e gl'immondi desiderii a cui la gola è fomento.

Ma perchè Giudei e Manichei tenevano che il cibo contaminasse di per sè; Ja dottrina del Cristianesimo con la temperanza sua propria insegna che

(1) Aug., Serm. Dom., 1. (2) Somma, 1. c.

(3) Esuricuda sempre quanto è giusto (Parg., XXIV, terzina ultima).

(4) Chrys. in Matth., Hom., XIII. Quindi Dante il secondo albero che le anime ritrovano nella via, dice essere un pollone di quello che fu morso da Eva.

(5) Greg. Mor., XXX.
(6) Greg. in Post.
(7) Mor., XXX.

(8) Il vino perturbando il cerebro con la sua fumosità, impedisce l'uso della ragione (Som., 2, 2, 159). Purg. XXIV, t. ult.: L'amor del gusto Nel petto lor troppo disir non fuma. Quindi

nell' Inferno i golosi, detti ciechi, giacciouo istupiditi.

(9) Greg. in Post.: Se i dediti alla gola non fossero da smoderata loquacità trasportali, quell'Epulone che dicesi aver banchettato tutti i di, non patirebbe nella lingua arsione. E però forse Ciacco in Inferno per pena della gola loquace e dell'antica cortigiania, dice da ultimo: Più non ti dico e più non ti rispondo (Inf., Vi, t. 30); e qui Foresc Tu ti rimani omoi: chè 'l tempo è caro In questo regno (Purg., XXIV, t. 31).

(10) Glos.. in Ephes., V.
(11) Som., 2, 2, 148.
(12) Isid, XXVIII.

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