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41. Quando il mio duca: Io credo ch' allo stremo Le destre spalle volger ci convegna,

Girando il monte, come far solemo.
42. Così l'usanza fu lì nostra insegna:

E prendemmo la via con men sospetto,
Per l'assentir di quell' anima degna.
43. Elli givan dinnanzi, ed io soletto

Diretro; e ascoltava i lor sermoni,
Ch' a poetar mi davano intelletto.
44. Ma tosto ruppe le dolci ragioni

Un alber, che trovammo in mezza strada,
Con pomi a odorar soavi buoni.

45. E come abete in alto si digrada

Di ramo in ramo, così quello in giuso;
Cred' io, perchè persona su non vada.

46. Dal lato onde 'l cammin nostro era chiuso,
Cadea dall' alta roccia un liquor chiaro,
E si spandeva per le foglie suso.

quinta era al timone, drizzando pure in su l'ardente corno, cioè non ancor giunta alla metà del suo corso, per volgerlo indi in giù e piegare al suo termine, come i passi della notte nel Canto IX, erano vicine a compiersi quattr'ore e mezzo di sole, e però non remola l'undicesima ora della mattina L'ora quinta è poi della ardente perchè prossima al mezzogiorno.

41. (L) Stremo: all'orlo del monte voltando la destra spalla, si svolta a destra.

(SL) Destre Purg., XIX, t. 27: Le vostre destre sien sempre di furi.

(F) Desire. Arist., de Inc. anim.: Movere natura est dextrum, moveri aulem sinistrum. Migliore per natura è la parte destra della sinistra. Il sinistro è più pigro al moto. 42. (L) Così: onde. Usanza del voltare a diritla. - · Insegna: indizio. Anima di Stazio, cui l'istinto del cielo additava la via.

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(SL) Insegna. Purg., III, t. 34. Vid. En., 1: Corripuere viam.... qua semita monstrať.

43. (L) Intelletto: intelligenza. (SL) Diretro. Bella modestia da contrapporre al IV dell' Inferno. Sermoni. Voce frequente in Virgilio. Intelletto, Psal., CXVIII, 430: De

claratio sermonum tuorum illuminat: et intellectum dat parvulis. Cod. Caetano: Dantes bene intellexit ambos istos poetas, et mulia didicit ab illis.

44. (L) Ragioni: ragionamenti.

(SL) Ruppe En, IV: Sermonem abrumpit.- Dolci. Hor. Epod., XIII: Dulcibus alloquiis. Ragioni. Dante, Canz.: Tua ragione intendan bene. Odorar. [C.10v Met., 8: Redolentia mala. Soavi. Gen., II, 9: Omne lignum pulchrum visu, et ad vescendum suave.

43. (L) In giuso: la cima è più larga.

(SL) Digrada. L'usa il Crescen zio (II. 23). [Frezzi, Quadrir., lib. IV, c. I in dentro il cielo avea la sua radice, E giù inverso terra i rami spande.]

(F) Giuso. Aug., in Job: Quant'è di bellezza in quell'albero, che pren de dal cielo alimento.

46. (L) Dal: dal monte. Suso: non iscendeva agli assetati.

(SL) Chiuso. En., VIII: Hinc Tusco claudimur amni. Cadea. Georg., 1: Ecce, supercilio clivosi tramitis undam Elicit: illa cadens raucum per levia murmur Saxa ciel. Chiaro. Vila Nuova: Un rivo chiaro molto.

47. Li due poeti all' alber s'appressaro;
E una voce per entro le fronde
Gridô: « Di questo cibo avrete caro. »>
48. Poi disse: « Più pensava Maria, onde
>> Fosser le nozze orrevoli ed intere,

>> Ch' alla sua bocca, ch'or per voi risponde.
49. » E le Romane antiche, per lor bere,
» Contente furon d'acqua: e Daniello
» Dispregiò cibo, e acquistò savere.
50. » Lo secol primo, quant' oro fu bello;
» Fe' savorose, con fame, le ghiande,
» E néttare, con sete, ogni ruscello.
51.» Mele e locuste furon le vivande

>> Che nudriro il Battista nel diserto:
» Per ch' egli è glorïoso, e tanto grande
>> Quanto per l'Evangelio v'è aperto. »

47. (L) Caro: carestia.

(SL) Caro. Par., V, t. 37 meno schietto: Auresti di più savere angosciosa carizia. Semint.: Ebbero carestia di beni.

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48. (L) Onde: di che. Nozze di Cana. -Intere: compiute. Risponde: si fa mediatrice, e mallevadrice.

(SL) Maria. Johan., II, 3: Vinum non habent. Citato già nel Canto XIII, t. 40 del Purgatorio. L'Ottimo traduce: Furono fatte le nozze in Cana Galilaeae: e la madre di G. C. v'era, e Gesù e li suoi discepoli furono ap pellati alle nozze: quando il vino falli, la madre disse: Vino non hanno. E Gesù disse: 0 femmina, che fa questo a te o a me? Orrevoli. Voce del tempo quasi solenne.

49. (L) Savere: sapere.

(SL) Romane. Val. Mass., II: Alle donne romane l'uso del vino fu ignoto, chè in qualche indecenza non cadessero. Dice antiche perchè poi s'avvezzarono. Contente. Ad Timoth., I, VI, 8: Habentes... alimenta... his

contenti simus.

Daniello si cibava di legumi nella casa del re. - [Dan., I, 8, 17: Or Daniele si mise in core di non si contaminare colle vivande del re...] Savere. Novellino. Dan., I, 17: Pueris... his dedit Deus scientiam et disciplinam in omni libro et sapientia: Danieli... intelligentiam omnium visionum.

50. (SL) Primo. Ovid. Met., 1: Contentique cibis, nullo cogente, creatis... Et quae deciderant patula Jovis arbore glandes. Oro. En., VIII: Aurea quae perhibent... fuerunt Saecula Ghiande. Boet: Facili... solebat jejunia solvere glande... Somnos dabat herba salubres, Potum quoque lubricus amnis. V. Virg. Georg., I. Nettare. Ovid. Met., 1: Flumina jam lactis, jam flumina nectaris ibant. 51. (L) Per ch': onde.

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(SL) Locuste. Marc., I, 6: Locu stas et mel silvestre edebat. - Grande. Matt., XI, 11: Non sorse tra i nati di donna più grande di Giovanni Battista.

Il Canto in gran parle è un dialogo letterario, e quasi accademico: con alcune locuzioni che non hanno l'usala, e a lui propria, semplicità nè

potenza. I due versi letterariamente notabili: Ma perchè veggi me' quel ch'io disegno, A colorar distenderò la mano, pajono d'altro poeta che il

primo della terzina, ben più bello a me: Per te poeta fui, per te cristiano. Nella narrazione, forse troppo prolungata dall'affetto e dalla morale importanza della cosa da dire, sono verità meditabili: che i meno innanzi nel vero e nel bene e nel bello, possono, senz'avvedersene, ma non senza merito. farsi ad altri scorta a splendori di verità e di bontà e di bellezza maggiori; che l'arte degnamente trattata, è, se nou rivelatrice, preparatrice a rivelazione, è l'atrio del tempio; che ne' non credenti e nei meno credenti, cercando, può l'uomo retto rinvenire ragioni al credere anzichè al dubitare.

Non a caso è qui memoria riverente dell'arte greca; della quale era in Dante un concetto per la testimonianza de' Latini ammiratori e seguaci, ma più assai per istinto d'o

mogeneità e per divinazione d'artista. La nobile semplicità greca avrebbe innamorato di sè questo Fiorentino, che, facendo parlare un poeta tanto onorato da lui, gli fa dire quattro volte di là per significare la vita terrena: nè c'è oratore sacro a' di nostri che non si credesse fare torto alla sua stola nominando il mondo di là. Non lutte di pari schiettezza le parole che dall'anime cantansi nella fine; ma sente dell'oro in verità la terzina: Lo secol primo, quant'oro, fu bello; e l'altra: (adea dall'alla roccia un liquor chiaro, del quale tu senti la freschezza diffondersi tra le foglie dell'abete dilatantesi in alto, a simboleggiare gli accrescimenti del bene, che, ascendendo non si restringe, ma quanto di sublimità, tanto acquista d'ampiezza.

IL PRODIGO - I DUE ECCESSI.

In questi due Canti non è solamente dato luogo all'affetto letterario del Poeta verso Stazio, cioè verso Virgilio modello di lui, e verso quella poesia morale e religiosa di cui Dante non ritrovava più compiuto esemplare, dopo la Bibbia, nè in poeti pagani nè in cristiani (e dopo tanti secoli di cristianesimo e di civiltà, tuttavia pochi se ne ritrovano meno incompiuti; ma è messa in luce una di quelle verità cardinali che la filosofia umana sentiva e che il Cristianesimo pose in atto, cioè che la virtù vera è temperanza da' due eccessi contrarii, e che i due eccessi contrarii, siccome sovente si toccano negli effetti e nelle cagioni, così sovente confondonsi nella pena. Stazio, prodigo, si ravvede leggendo quel di Virgilio ov'è esclamato in biasimo degli avari; egli prodigo è purgato insieme con le anime degli avari dalla pena medesima che li tiene col viso confitto alla terra e con le persone avvinte alla terra, a sentire esempii che biasimano la cupidigia vile delle ricchezze, e altri che lodano la magnanima nóncuranza di quelle: così come nell' Inferno gli avari si scontrano al punto del semicerchio co' prodighi, voltando e gli uni e gli altri granpesi per terra a forza di petto, e non di braccia, come se avessero anch'essi le braccia legate, e i petti loro dovessero portare pena dell'essere stati tratti in contrario male dalla fame dell'oro maledetta.

Or le dottrine intorno al termine della virtù sono queste: Virtù è abito elettivo stante nel mezzo (1): e questo mezzo ha luogo si nelle operazioni e si negli affetti (2). La qual seconda condizione non era così fermamente posta innanzi il Cristianesimo, che è lo scopritore vero del mondo immenso interiore (3). — Virtù è mezzo tra il soverchio e il manco (4). In ogni cosa il bene consiste nella misura debita'; il male viene dall'eccesso o dallo

(1) Arist. Eth., II. (2) Som., 2, 1, 64.

(3) Hor. Epist., I, 18: Haec salix est orare Jovem, qui donat et aufert, Det vitam, del opes; aequum mi animum ipse parabo. Il primo rammenta il sovrano detto di Giobbe, ma l'altro concede all'uomo la facoltà di donare e

conservare a sè stesso beni troppo più
grandi che le ricchezze e la vita. Al
primo consuona in bellezza quell'altro
delle Satire, che pur contradice al se-
condo: Jupiter, ingentes qui das adi
misque dolores (Sat., II, 3).
(4) Arist.

scemo di quella misura (1). eccesso e uno per difetto (2). Il peccato è contrario non solo alla virtù, ma sì anche al vizio opposto (3). Possono a un bene di mezzo opporsi più eccessi, come alla magnanimità la presunzione e l'ambizione (4). -A tutte le virtù sono contrarii (5) non solo que' vizii che direttamente a esse si oppongono, come la lemerità alla prudenza; sì anche i vizii vicini alla virtù e che le somigliano, non in verità, ma per qualche apparenza ingannevole, come l'astuzia alla prudenza. E questo dice il Filosofo (6): che ciascuna virtù pare ch' abbia maggiore convenienza con uno de' vizii opposti che coll'altro, siccome la temperanza con l' insensibilità, e la fortezza con l'audacia (7).

A ciascuna virtù morale si oppone un vizio per

Il bene morale è pareggiamento alla regola di ragione sì che non s'ecceda o si manchi (8). È dunque ideale la norma del bene, tantochè nelle intellettuali cose stesse Tommaso riguarda l'affermazione falsa come un eccesso, e come un difetto la falsa negazione: ma all' ideale corrisponde un reale di fugri, e la realtà è misura del nostro intelletto (9). Onde, siccome delle cose pratiche il modello è ideale, così nell'ideale è sempre un non so che di pratico; e anco di qui segue che il bello dell'arte, così come della virtù, sta nel mezzo (10). Dice Tommaso che delle altre virtù il punto di mezzo, cioè la perfezione, è ideale, reale nella giustizia solamente (14). Pare a me che, se la giustizia ha nella sua applicazione qualcosa di più pratico, nel suo principio la non sia però meno ideale delle altre; e che tutte le altre virtù devano avere del pratico più o meno. Dice Tommaso ivi stesso che nella fede, in quanto virtù soprannaturale, non ci ha, come nelle altre virtù, a essere mezzo, inquantochè l'infinità dell'oggetto non ammelle limiti: ma, dicasi con la riverenza debita a tanta autorità, questo argomento varrebbe di tutte le virtù in quanto riguardano Dio come fine supremo: e a tutte, alla fede stessa, è debite porre la norma che è dichiara. zione a quell'idea del mezzo: che il bene non è bene se non quando sia fatto e voluto dove e quanto e perchè si conviene (19). E qui cade la sovrana sentenza del medesimo pensatore: Può la virtù essere grande, e massime nell'intensità dell' intenzione o dell' atto; ma può in quell' allezza ed ampiezza non eccedere nè venir meno alla norma del conveniente; anzi deve (13). La quale sentenza concilia l'apparente contradizione che gl' ingegni men relti pongono tra questa regola, dura a loro, del non eccedere i limiti, e la libertà del pensiero e dell'azione, che è condizione a grandezza. Indefinita è la materia del bello e del bene, determinata la forma; indefinita la linea del salire, segnati dall' uno e dall'altro lato i limiti della via. Questo intendeva dimostrare in più orazioni latine e in un'opera morale, e questa e quelle scritte con facondia dignitosa, Sebastiano Melan, mio de- . siderato maestro ed amico, fratello e padre.

Orazio e nelle Epistole e nelle Satire è pieno di questo principio, e, quanto

(1) Somma. Prol., 2, 2: È la mcdesima materia intorno alla quale e la virtù opera rettamente e i vizîï opposti a quella s'allontanano da reltitudine.

(2) Som, 2, 2, 10.

(3) Som., 2, 2, 162; Arist. Eth., II. (4) Som., 2, 2, 131.

(5) Contrarii circa idem sunt (Som., 1, 2, 73).

(6) Arist. Eth., II.
(7) Aug. contra Jul.
(8) Som., 2, 1, 64.
(9) Arist. Met., X.
(10) Arist. Eth., If.
(11) Som., 2, 4, 64.
(12) Som., 1.
(13) Som., 2, 1, 64.

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