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Quis te, magne Cato, tacitum... relinquat? A queste parole di Virgilio (1) corrispondono quelle del Convivio di Dante: O sacratissimo petto (2) di Catone, chi presumerà di te parlare? Certo_maggiormente parlare di te non si può, che tacere, e seguitare Jeronimo quando nel proemio della Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. Così quel santo che in carne fu visitatore del secolo immortale (3), è da Dante, per amore d'una citazione, messo accanto a Catone. Lucano di lui: Ecce parens verus patriae (4), dignissimus aris, Roma, tuis; per quem numquam jurare pudebit Et quem, si steteris unquam cervice soluta, Tunc olim factura deum (5). Con questo passo e con altri spiegasi, se non si scusa, il concetto di Dante che dà luogo tale al suicida nemico di Cesare (6). Spiegano a qualche modo il suo concetto le parole di Sallustio, cosi tradotte da un del trecento: Catone e Cesare, gentilezza, tempo, bel parlare ebbono quasi egualmente.

Catone, simbolo della virtù, dice Pietro, e dell'onestà. Lo pone in principio del Purgatorio, accennando al virgiliano: Secretosque pios, his dantem jura Catonem (7). Lucano: Nam cui crediderim Superos arcana daturos... magis, quam sancto, vera, Catoni? (8) Seneca a Lucilio, Catonem certius exemplar viri sapientis nobis Deos dedisse (9). Un comento inedito nella Laurenziana 10) dice: Tutta questa Cantica è costruita in costumi; e però parla qui di Catone come d'uomo costumato e virtuoso, perocchè Cato fu padre di costumi, e massimamente delle virtù cardinali. Queste smodate lodi della virtù di Catone danno a conoscere l'opinione del tempo, e dichiarano l'idea del Poeta. Nel Convivio egli dice: nullo uomo terreno più degno di seguitare Iddio, di lui.

Dante non loda il suicidio, ma qui non lo condanna, ed è male; nè Catone, morto, poteva giovare alla libertà, quanto avrebbe, vivo. Qui

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convien dare a libertà un senso più ampio di quello che il virgiliano: Eneadae in ferrum pro libertate ruebant (1); e intendere in generale che l'onore virtuoso è a preferire alla vita del corpo (2). Se la libertà politica a te fu si cara, or quanto più la morale ? Così spiega il comento del codice Caetano. Qui vedesi, più che altrove, come nella mente di Dante si congiungessero le due libertà. Promette il Poeta a Catone che la veste del corpo suo nel gran di sarà si chiara (3), non di gloria celeste, ma di quella luce che, secondo Dante, è dovuta anco alle virtù naturali, della qual luce è simbolo il lume delle quattro stelle che gl'illustrano il viso. O forse lo fa salvo con Rifeo e con Trajano? Ma lo direbbe più chiaro.

Chiaro dice le lodi di Marzia, e pare ch' e' si compiaccia in quello strano ripudio; che, sebbene quelle parole siano in bocca di Virgilio pagano, non è da sconoscere ch'anco la ragion naturale, in Virgilio personificata, siffatto sciogliere e riappiccare di matrimoni, riprovava. La più spedita è confessare che Dante s'è lasciato prendere alle lodi di Virgilio e di Lucano, e che l'imitazione ha fatto gabbo alla fede. C'è innoltre la comoda scusa del simbolo. E nolisi, per attenuare il difetto, che, custode all'entrata del Purgatorio, Catone non è guida alle anime, nè tocca pure le falde del monte: è, dopo la morte di Cristo che prima purgatorio non v'era ma i non dannati scendevano al limbo), destinato ad invitare le anime a correre verso l'espiazione. La virtù naturale di lui non è mezzo, ma incitamento al ben operare. L'inferno a Dante è l'orrore naturale del vizio; il Purgatorio, l'amor naturale della virtù; il Paradiso, l'amore del bene sopra natura. Però nell' Inferno ha duca Virgilio; e chiama di Catone i regni del Purgatorio, e sola Beatrice gli è guida nel Cielo. Le tre persone sono in parte simboliche, ognun sel vede: non è Virgilio l'amante d'Alessi, ně Catone il suicida, nè Beatrice la moglie di Simone. A ogni modo non chiamare i gironi del Purgatorio regni di Catone, era meglio: e Dante ci si lasciò forse andare mettendo insieme il virgiliano piis dantem jura e i durissimi regni di Radamanto (4); ma principalmente perchè la flsima del regno lo perseguitava, infelice, per tutto.

Ecco la costruzione del luogo ove ci trasporta il Poeta. Escono dall'emisfero australe in un'isola circondata dall' Oceano, alla quale nel mezzo è un monte antipodo a Gerusalemme: il monte ha forma di cono tronco alla cima, e ha intorno intorno undici ripiani a' quali si sale per via faticosa. L'idea degli antipodi confusa e falsa, era però famigliare agli antichi, i quali vedevano talvolta l'opposto emisfero anche laddove non era. Onde non solo in Virgilio: Hic vertex nobis semper sublimis; at illum sub pedibus Styx atra videt, Manesque profundi (5); ma in Lucano, Catone trovandosi in Africa: Nunc forsitan ipsa est Sub pedibus jam Roma meis (6). E l'idea di Gerusalemme centro della terra abitata veniva dal prendere alla lettera quello d'Ezechiele: Jerusalem, in medio gentium posui eam, et in circuitu ejus terras (7). E siccome in questo concetto, al monte ove Cristo espiò i peccati degli uomini si contrappone il monte ove Adamo pecco e dove le anime espiano le colpe loro per la grazia di Cristo; cosi Dante imagina che le anime non dannate s'adunino alla foce del Tevere, per il quale simboleggiasi la sede della credenza cattolica, come le dannate a Acheronte; che l'Angelo, secondo i meriti di ciascura, le tragitti; appunto come in Virgilio Caronte nunc hos, nunc accipit il

(1) Æn., Vill.

(2) Som., 2, 2, 110.
(3) Purg., I, terz. 25.
En., VI.

(5) Georg., I.

(6) Phars., IX.
(7) Ezech., V, 5.

los; Ast alios longe submotos arcet arena (1), e siccome le anime già purgate, perchè ritornino, secondo la dottrina pittagorica, a nuova vita nel mondo, Deus evocat agmine magno (2). Anco nelle tradizioni del popolo bretone gli angeli compiono tale uffizio.

In un canto del popolo slavo: Crebbe un albero nel mezzo del paradiso, un gentile alloro: gentile frutto; aurei rami mise; la foglia è a lui argentea; sott'esso un santo letto di tutti fiori conserto, il più, di basilico, e di vermiglia rosa. Ivi riposa san Niccolò. Sant'Elia viene, e gli dice d'alzarsi: Che andiamo pel monte, che prepariam navi, che voghiamo le anime da questo mondo a quello. Niccolò si scusa con dire che è di di Domenica, e non di lavoro; di da battesimi e da nozze, e da adornare la persona e pulirla; ma al nuovo invito d'Elia, se ne vanno e fanno le barche, e conducono le anime: ma tre anime non possono; l'una anima rea l'amico in giudizio chiamò; l'altr'anima rea col vicino ebbe rissa; la terza anima vieppiù rea disonorò una fanciulla.

11 Caronte virgiliano Ratem conto subigit velisque ministrat (3): qui l'angelo remo non vuol ne altro velo che l'ale sue. Il legnetto ove seggono più di cento spiriti, è leggiero tanto che l'acqua nulla ne inghiot iva, come Nettuno caeruleo per summa levis volat aequora curru (4).

Le anime, nuove del luogo, a' Poeti domandano della via; siccome in Ovidio: Novique, Qua sit iter, Manes, Stygiam quod ducat ad urbem, Ignorant (5) Egli rincontra un amico, e fa per volerlo abbracciare. Come in Virgilio delle visioni dell'ombre, più volte: Ter conatus ibi collo dare brachia circum: Ter frustra comprensa manus effugit imago, Par levibus ventis, volucrique simillima somno (6). In versi più brevi dice non men bene il medesimo; senonchè la bella imagine del sogno in Dante manca. Nell' Inferno non aveva tentato d'abbracciar ombre; ma Virgilio, ombra anch'esso, l'aveva portato in ispalla. Or perchè questa differenza di Virgilio, di Bocca al quale e strappa i capelli, e dell'Argenti ch'ei respinge nel fango, da Casella e dagli altri? Forse perché qui, come più pure, le ombre son meno gravate della mole terrena, hanno più sottili apparenze. Matilde però trae Stazio e Dante per l'onda di Lete, e Virgilio con Sordello s'abbracciano. Il Poeta, a quel che pare, fa l'ombre de' non probi ora palpabili, ora no, come Cristo risorto: l'ombre de' dannati, palpabili sempre (7).

Quella era l'anima del cantore Casella. Il Crescimbeni dice aver trovata nella Vaticana una ballata del secolo XIII, il cui titolo è: Lemmo da Pistoia; e Casella diede il suono. Dice il Boccaccio, che Dante sommamente si dilettò in suoni ed in canti nella sua giovinezza, e ciascuno che a que' tempi era ottimo cantore e sonatore, fu suo amico, ed ebbe sua usanza: ed assai cose da questo diletto tirato, compose, le quali di piacevole e maestrevol nota a questi cotali faceva rivestire. L'Ottimo: Fu Casella finissimo cantatore: e già intono delle parole dell'autore. E qui appunto egli canta la canzone del nostro Poeta, che abbiamo, e comincia: Amor che nella mente mi ra(5) Met., IV.

(t) Æn., VI. (2) En., VI. (3) En., VI.

(4) Æn., V. - Di Camilla (Æn. VII): Vel mare per medium, fluctu suspensa tumenti, Ferret iler, celeres nec tingeret aequore plantas. Purg., XXXI: Sen giva Sovresso l'acqua, lieve come spola.

(6) Æn., HI, VI.

(7) Ma nel VI dell' Inferno: Sopra lor vanità che par persona; che corrisponde all'altro del XXI del Purgatorio: Dismento nostra vanilate Traltando l'Ombre come cosa salda.

giona; che con quegli altri versi: Amor che nella mente la sentia S'era svegliato nel distrutto core, dimostra quanto dell' intellettuale tenessero o volessero tenere gli amori di Dante. Virgilio (1) paragona a uccelli raccolti sulla sera l'ombre ascoltanti il canto d'Orfeo: e in altro rispetto imitando Omero: Nec quisquam aeratas acies ex agmine tanto Misceri putet, aëriam sed gurgite ab alto Urgeri volucrum raucarum ad litora nubem (2).

Di fuor dellé mura che cingono la montagna sono punite cinque specie di negligenti, punite in quanto non vanno a purgarsi e indugiano la gioia eterna. E sono coloro che per vanità differirono il bene; coloro che per mera negligenza; coloro che furono per forza uccisi, e peccatori infino a quel punto, e in quel punto pentiti; coloro che operarono virtù mondane; coloro che da Dio furono distolis per signorie temporali.

(1) Georg., IV.

(2) ED., VII.

ANNOTAZIONI ASTRONOMICHE DEL P. G. ANTONELIL

Già era il sole all'orizzonte giunto (T. 4.),

Qui Dante fa sfoggio di scienza astronomica solo per dirci, che il sole stava per sorgere al nuovo orizzonte in cui prospetto trovavansi i due Poeti. L'orizzonte di Gerusalemme opposto a quello del Purgatorio, è qui determinato per il suo meridiano. Quest'unico meridiano è per l'appunto quello che passa per il polo superiore o zenit d'esso orizzonte; e questo polo è il punto più elevato e dell'emisfero e del meridiano in rispetto al relativo circolo orizzontale. Se dunque il sole era giunto all'orizzonte, il cui cerchio meridiano soprasta col più alto suo punto a Gerusalemme; tale orizzonte era quello di Gerusalemme stessa, perchè il più elevato punto d'esso meridiano passava per lo zenit di questa città. Ma l'astronomo nostro non avrebbe soddisfatto all' assunto suo d'esattezza matematica, dicendo soltanto che il sole era giunto all'orizzonte di Gerusalemme, perchè potevasi domandargli da qual parte giunto 2 giacchè il sole nel corso diurno giunge all'orizzonte due volte in due luoghi quasi opposti; eccetto alcuni casi speciali che non fanno per le latitudini concernenti il proposito nostro. Ecco perchè la seconda terzina determina, soggiungendo che la Notte, la quale circola o fascia oppositamente al sole, sorgeva dal Gange, cioè ad oriente. Dunque il sole toccava all'occaso l'orizzonte gerosolimitano. 11 Gange sta qui a denotare la parte orientale, non l'estremo confine della terra a levante, com' altri intese; perchè molto prima del 1300 sapevasi che oltre al Gange per ben trenta gradi era terra abitata; siccome leggesi nel libro VII di Tolomeo.

Le bilance della Notte ci mostrano un'altra relazione astronomica, propria del tempo che descrivesi qui. Se ammettasi che la visione è nel plenilunio ecclesiastico precedente la Pasqua del 1200, la mat

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tina di cui in questo luogo si parla, sarebbe la sera del dì 10 d'aprile nel nostro emisfero. E, avuto riguardo allo spostamento dei segni dalle costellazioni zodiacali, il sole si trovava al principio di quella d'Ariete, come accennasi nel principio della cantica prima; nonostantechè il tredici di marzo fosse stato l'equinozio. Dunque tramontando il sole con questa costellazione, sorgeva la notte con l'opposta costellazione, la Libra. Ma, soggiungendo il Poeta che le bilance cadono alla Notte di mano quand'ella soverchia, ci si presenta un altro rapporto astronomico, e insieme una grave difficoltà. I più de' comentatori intendono che il soverchiar della notte valga il farsi più lunga del giorno; altri prendono soverchiare per crescere, che segue dal solstizio estivo a quel dell' inverno. Ma, perchè soverchiare è più di crescere, potendosi crescere senza soverchiare, io alla prima in terpretazione m'attengo; e ciò anco perchè, rimanendo le bilance in mano alla Notte dal solstizio estivo all'equinozio autunnale non le cadon di mano quand' ella cresce. Inteso dunque che il fatto di cui parla il Poeta si riferisca al nostro emisfero (perchè le parole là dov'io era riguardano precisamente l'aurora); i versi recati dicono: La notte sorgeva d'oriente col sorgere della costellazione delle Bilance, le quali allà Notte cadon di mano, cioè escono dal dominio di lei, quando la sua durata supera la metà dell'intero giorno, ovvero eccede il tempo che il sole rimane sopra il nostro orizzonte il qual cadere avviene dopo l'equinozio d'autunno nel qual tempo la Libra, cominciando a essere immersa nel vicino fulgore dei raggi solari, viene a essere sottratta dal dominio della notte, e sorge e tramonta in pieno giorno, tanto che per circa due mesi non si fa a noi visibile nè la sera nè la mattina. E ciò è d'ogni costellazione alla volta sua; ma il dotto Poeta ha colto la circostanza esclusiva per le Bilance nel nostro emisfero, e in generale, nei paesi di latitudine boreale, quella cioè dello sfuggire di mano alla Notte allorchè questa soverchia; accennando cosi che il soverchiare non sta colla giustizia di cui sono simbolo le bilance. Così, nel ritrarre la verità delle cose corporee, egli ha l'occhio alla morale verità, che dello scrittore è il fine supremo.

Dicendo che l'aurora mutava in rancio colore il suo bianco e il vermiglio, egli dice che il sole era per sorgere già Se il sole è giunto al ponente di Gerusalemme, il ponente di questa corrispondeva al levante del luogo dov' ora è il Poeta. Era comune l'orizzonte ai due luoghi; ma l'uno stava all'altro di contro; siccome poi dirà espres

samente.

Ed ecco, qual, sul presso del mattino. » (T. 5.)

Marte, il quinto de' pianeli, che ha un volume minore della sesta parte di quel della terra, ci riflette una luce alquanto rossastra; la quale si fa più cupamente rosseggiante nelle circostanze dal Poeta indicate. Presso al mattino suole abbassarsi la temperatura dell'aria ; onde i vapori condensansi, e fatti grossi, son più parventi. Giù nel ponente all' appressar del mattino, regna ancora la notte; ed è bello il contrasto tra il cupo dell'occaso e il limpido dell'oriente: onde la luce dell'astro tanto più risala a occidente quanto più verso levante verrebbe illanguidendosi. Sovra il suol marino è altresì particolarità rilevante, perché denota che l'astro è poco discosto dall'orizzonte, dove i vapori sono in maggior copia che in alto, come nel canto precedente si accenna; e perchè dalla superficie del mare in condizioni calorifere uguali si solleva il più di vapori,

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