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pressioni e ai pensieri destati da' canti succede un nuovo pensiero, si melle dentro nella mente, senza che ella lo chiami; e da esso altri ne nascono quasi da sè, mere imagini, tenui e varie, che l'una l'altra si debilitano e sperdono; e sono diversi, perchè se si raccogliessero a un punto, il sonno fuggirebbe: onde la mente riman come nel vano (che tale è il senso qui di vaneggiare, e di vanare più sopra; e corrisponde in parte al francese rêver); si che questi

pensieri fanno un indeterminato pensamento, il quale non so se si muti nel sogno o se in lui si continui. Gli stessi suoni lenti, e la scelta delle parote lunghe da ultimo, rendono al vero la cosa. E veramente i poeti che fanno dormire, sono in più numero di quelli che sappiano ben descrivere l'addormentarsi: pittura non facile, se Dante medesimo altrove men poeta di qui: Ma qual vuol sia che l'assonnar ben pinga. Però trascorro a quando mi svegliäi.

OSSERVAZIONI DEL P. G. ANTONELLI

ALLA TERZINA 26.

« La luna quasi a mezzanotte tarda. »

Intendasi non la luna tarda, ma l'epiteto congiungasi a notte; perciocchè anco a supporre che il Poeta movesse il suo viaggio, com'è più probabile, dal plenilunio pasquale ecclesiastico del 1300 che fu il 7 aprile; in quest'ora sarebbe stata qua la mattina del di 12 del detto mese, e quindi non sarebbero compiti neppure cinque giorni dalla ricordata fase lunare; e siccome la luna era australe, dicendolo il Poeta stesso dopo altri due versi, e australe era la posizione geografica del monte d'espiazione, la luna da una sera all'altra vi ritardava poco l'ora del suo nascere: il perchè nella sera di cui si parla vi doveva essere sorta prima delle ore dieci. In altre ipotesi di plenilunio sarebbe anche peggio. Pare dunque che debba intendersi : quasi alla tarda ora della mezzanotte, o meglio a mezzanotte, la luna, fatta come un secchione che tutto arda, faceva parere a noi più rade le stelle. Così spiegasi bene: la luna essendo ancora illuminata assai più della metà nella faccia che sempre ci volge, aveva la forma che con evidenza dipingesi dal Poela, e rifletteva sempre una bella quantità di luce, sì che le stelle di minor grandezza apparente ne restavano velate e comparivano quindi rade le stelle visibili.

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Il moto proprio della luna, come di tulli i pianeti, è in direzione opposta al moto diurno della sfera celeste; e però ben dice correa contra il ciel. Quanto alla via del suo corso, ce la descrive dicendo, che era in quelle regioni che sono infiammate dal sole, cioè nelle quali è il sole, allorchè gli abitanti di Roma lo vedono tramontare tra la Corsica e la Sardegna: che è quanto dire verso il solstizio invernale. Infatti la luna in questa sera trovavasi nei primi gradi della costellazione del Sagittario, e intorno a ottantaselle gradi dal punto equinoziale d'autunno, supposta la partenza dei due Poeti dal nostro emisfero nel plenilunio, di che vedi la nota alla terzina precedente.

LIBERO ARBITRIO.

Siccome dall'idea dell'accidia, che è amore languido, il Poeta si conduce a ragionare dell'intensità e dell'ordine degli amori; cosi dall'idea dell'amore, il cui oggetto ci viene offerto di fuori, muove il Poeta l'obiezione contro l'integrità dei libero arbitrio, e prende opportunità a trattare nel decimottavo l'argomento considerato in altro aspetto nel Canto sedicesimo: chè quivi è cercato se l'influenza de' corpi celesti noccia alla libertà, e qui se la prepotenza degli oggetti esteriori le noccia. E siccome a ragionare del vigore del libero arbitrio s'incomincia nel cerchio dell'ira, passione bestiale che più par lo distrugga; così nel cerchio dell'accidia, e durante il riposo a cui sono costretti i due Poeti dagl'invisibili vincoli della notte (1), per guadagnare tempo, e per espiar col pensiero il vizio che quivi si purga; ragionasi ancora del libero arbitrio, negato in fatto dall'accidia, ch'è vizio quasi di corpi bruti, e ragionasi di quello che è più nobile esercizio d'esso arbitrio, l'amore.

Ecco dunque il ragionamento che tesse il Poeta al Poeta. Ogni forma sostanziale (2), unita alla materia, ma distinta da quella, ha in sè una potenza insita, quasi d'istinto, che si dimostra negli atti, ed è sensibile solamente

(1) Un inno della Chiesa : Tu rumpe noctis vincula.

(2) A illustrare le parole: ogni forma sostanzial che setta è da materia, ed è con lei unila, richiamo i passi seguenti: La forma tiene la cosa in essere, quand'ella già è (Som., 1, 59). - Ogni forma corporale è forma individuata per via della materia; le forme immateriali sono assolute e intelligibili (Ivi, 1, 110).- La forma e la cosa a cui quella appartiene, fanno semplicemente una cosa (Ivi, 2, 2, 4). – Ogni ente che ha anima è composto di materia e di forma, perchè l'anima è forma del corpo (Ivi, 1, 3: - 2, 2, 3). Ogni sostanza o è la stessa natura della cosa o è parte d'essa natura. A questo modo e la materia e la forma dicesi sostanza (Ivi, 2, 1, 110). La materia è sotto

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una forma sostanziale, ma rimane in polenza a molte forme accidentali (Ivi, 1, 1, 7; - 1, 77). - Le forme sostanziali che di per sè sono ignote a noi, si fanno note per gliaccidenti che ne escono (Ivi, 1,77). - La forma sostanziale è sempre più semplice dell' accidentale perchè non ha nè intensione nè remissione, ed è indivisibile (Ivi). - Ogni corpo naturale ha una forma sostanziale determinata, alla quale seguono gli accidenti (Ivi, 1, 1, 7).- La comparazione o l'ordine o la figura non è forma sostanziale ma accidentale (Ivi, 3, 2). - L'intelletto è forma, non nella materia, ma o interamente separata come sono le sostanze degli angeli, o almeno potenza intellettiva che non è l'atto d'alcun organo nell'anima intellettiva congiunta al corpo Ivi, 1, 1, 7).

per essi, e nella quale è il germe delle prime nozioni e delle prime tendenze (1), de' quali e delle quali l'origine non è conosciuta, o non è, per meglio dire, avvertita. In queste prime nozioni e tendenze, che sono facoltà e moti di natura, non c'è merito nè demerito; ma il merito o il demerito incomincia nell'uso di quella facoltà, che è non men naturale dell'origine delle prime nozioni e tendenze, dico la facoltà dello eleggere tra due veri o tra due beni, qual de' due si voglia più attentamente col pensiero e col desiderio seguire. E questa facoltà di elezione e di consiglio è un assentimento (2) interno, il quale deve precedere all'atto dell'assenso; e il libero arbitrio è riposto in essa. Necessario è che l'uomo senta la tendenza al vero ed al bene; ma libero è ch'egli un bene o un vero prescelga ad un altro.

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Or ecco le sentenze filosofiche le quali illustrano la dottrina di Dante. L'uomo è signore de' proprii atti per la ragione e la volontà; onde il libero arbitrio è detto facoltà di volontà e di ragione (3). · La volontà è principio attivo, non determinato a una cosa, ma indifferentemente riferentesi a molte (4). La volontà può muoversi a oggetti opposti; non si muove dunque di necessità (5). La ragione deliberante può piegarsi all'una o all'altra parte (6). Quest'è che dicesi elezione del libero volere (7); libera elezione procedente dal proprio consiglio (8). A questo si reca la facoltà detta di collazione, che mai non posa se non si raffronta (9). Proprio dell'anima razionale è raffrontare, e discorrere di cosa in cosa (10). Il raffronto è necessario a scoprire le cose che la mente ignora (41). Ma, oltrechè allo scoprire, il raffronto giova a fare deduzione dalle cose sapute: senonchè le due operazioni son una; e siccome la scoperta è una deduzione più ardita e meno aspettata, così la deduzione è una graduale e quasi piana scoperta.

Affermando questo fatto di coscienza, cioè che l'uomo può eleggere tra due oggetti, non è da negare il fatto apparentemente contrario, che è dalla coscienza parimente affermato, e sul quale il Poeta così ragiona. L'anima umana è creata ad amare, per quel che già prima si disse, che nelle sue prime esperienze, ella sa questo solo che, nata da creatore buono e beato,

(1) Appetibile, nelle scuole, è quel che desta il desiderio della volontà. Il fine è negli appetibili quel che è il principio negl' intelligibili (Som., 1, 2, 9). · L'intelletto mostra alla volontà l'appetibile (Ivi, 1. c., e 1, 2, 6). - Il primo appetibile non può essere lo stesso volere, ma un bene voluto (Ivi, 1, 2, 1). I primi appetibili della volontà sono tuiti d'un solo genere: onde l'ultimo fine dell'uomo è unico (Ivi). - I secondi appetibili non muovono l'appetito se non in ordine al primo appetibile, che è l'ultimo fine dell'uomo (Ivi).

(2) Vedasi, nella prima della seconda, la questione XII: Della intenzione; la XIII: Della elezione delle cose che riguardano il fine; la XIV: Del consiglio che precede l'elezione; la XV: Del consenso che è l'atto della volon

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essa deve tendere alla gioia del bene (1). Ond'ella Volentier torna a ciò che la trastulla, come disse già Marco a Dante (2), e Ad ogni cosa è mobile che piace, come Virgilio qui gli dice (3). 11 bene da cui si desta il piacere, è sempre di per sè un bene vero ed amabile; ma l'errore e la colpa sta nel troppo amarlo, e nel sottrarre quindi l'attenzione e l'affetto a beni più alti. Il piegare dell'anima verso l'oggetto piacente è il primo moto d'amore; che poi diventa affetto, poi abito. E siccome, dice Virgilio, il foco si muove in alto per ascendere alla sua sfera (4), così l'anima, presa al piacere, entra nel desiderio; e se il desiderio è smodato, comincia la colpa. Ogni affetto è dunque, in sè, buono finchè s'attempra alla verità delle cose; ma se si fa maggiore o minore di quella, se torce la cosa buona a fine non buono, egli è come un sigillo sudicio o deforme che in cera pura e buona impronti l'imagine; della qual cera non è colpa il sudicio o la deformità d'essa imagine.

Ripigliamo ora le dottrine della filosofia cristiana. Se la volontà di Dio rendesse necessarie le cose da lui volute, perirebbe il libero arbitrio, e il consiglio, e ogni bene siffatto (5). Nel primo suo moto la volontà è mossa dall'istinto di qualche movente esteriore (6). Il moto prossimo della volontà è estrinseco a lei; ma non è necessario che cotesto principio estrinseco sia il primo (7). Che il principio movente la volontà sia di fuori, non fa violenza; perché la volontà mossa è pur essa che vuole; altrimenti, vorrebbe e non vorrebbe, non sarebbe volontà (8). La nostra volontà non cagione della bontà delle cose, ma è mossa dal bene come da oggetto (9). Non appartiene al libero arbitrio il voler esser felice, ma si al naturale

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hanno quasi in ciascheduna parola comento dai passi che seguono, da' quali appare che il linguaggio poetico di Dante era insieme il filosofico de' suoi tempi; felice armonia, ch'egli non rompeva già per amore di novità strana o d'eleganza arcadica, ma nella potenza si dell' ingegno e si dello stile conciliaIn certi agenti preesiste la forma che fa la cosa secondo l'essere naturale, come nelle cose operanti per natura, siccome l'uomo genera l'uomo (Som., 1, 1,15). Il grave discende per l'esigenza della sua forma (Som., 2, 2, 1:0). Il moto locale dei corpi naturali procede dalle forme loro (Som., 1, 110). Il fuoco prima riscalda, che induca la forma del fuoco, e nondimeno il ca

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lore nel fuoco segue la forma sostanziale (Som., 1, 1, 5). Il calore del fuoco opera in virtù della forma sostanziale (Som, 2, 2, 2). Ogni cosa si muove secondo che nala e atla ad essere (Arist Phys., II). - Nelle cose prive di conoscenza, ogni oggetto tende a quello che fa naturalmente per esso; come il foco a salire (Som., ', 1, 60) - Ai corpi gravi e leggeri non è proprio il muoversi se non in quanto son fuori della disposizione di loro natura, fuori del luogo proprio; poichè, quando sono nel luogo loro naturale, hanno quicle (Som., 1, 1, 18). Ignis dupliciter invenitur, scilicet in materia propria, prout est in sua sphera; et in materia aliena sive terrestri, ut patet in carbone; sive aerea, ut patet in flamma (Som. Sup., 97) Aristotele anch'egli trae similitudini dal salire del fuoco e dal cader della pietra.

(5) Som., 1, 1, 19.
(6) Arist.

(7) Som., 1, 29.
(8) Som., 1, 2, 9.
(9) Som., 1, 2,
20.

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