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40. È chi potere, grazia, onore e fama

Teme di perder perch' altri sormonti;
Onde s'attrista: sì che 'l contrario ama.
41. Ed è chi per ingiuria par ch'adonti,
Sì che si fa della vendetta ghiotto:
E tal, convien che 'I male altrui impronti.
42. Questo triforme amor quaggiù di sotto

Si piange. Or vo' che tu dell'altro intende,
Che corre al ben con ordine corrotto.
43. Ciascun confusamente un bene apprende,
Nel qual si queti l'animo, e desira:
Perchè di giúnger lui ciascun contende.
44. Se lento amore in lui veder vi tira,
O a lui acquistar; questa cornice,
Dopo giusto pentér, ve ne martira.
45. Altro bene è, che non fa l'uom felice;
Non è felicità, non è la buona
Essenzia, d'ogni ben frutto e radice.

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43. (L) Giunger: raggiunger. - Contende: tende.

(SL) Apprende. Nel senso d' apprensiva ch'è nel seguente Canto. Contende. Conv.: Ciascuna cosa, sr come ogni grave al centro, alla perfezion sua contende. En., 1: Litora, cursu Contendunt petere.

(F) Ciascun. Boet, III: Questo per diversa via gli uomini s'adoprano ad acquistare: imperocchè nelle menti degli uomini è naturalmente inserto l'amore del bene vero. — Queti. Som.: La quiete nella cosa desiderata. - Il diletto e l'aquetamento dell'appetito nel bene. Quello ove si tende come all' ultimo termine del desiderio e in che l'appetito riposa, dicesi onesto. 44. (L) Veder..: conoscere e fare il bene. Cornice del monte.. ·Pentér: pentimento.

45. (L) Essenzia di verità.

(F) Felicità. Arist. Eth: Felicità

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è premio ai virtù. Som: La beatitudine è l'ultimo fine a cui la volontà umana tende: or la volontà non dee tendere ad altro fine che a Dio. bene perfetto a cui nulla manca è l'unico bene che la volontà non può non volere; cioè la beatitudine. Frutto. Principio e fine del benessere è il Bene sommo.

46. L'amor ch' ad esso, troppo, s'abbandona,
Di sovra noi si piange per tre cerchi.
Ma come tripartito si ragiona,
Tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi.

46. (L) Tre: goia, avarizia, lussuria. Per da.

(SL) Cerchi. Conv.: Siccome omai

per quello che detto è, puole vedere chi ha nobile ingegno, al quale è bello un poco di fatica lasciare,

L'uscire fuor della nebbia alla luce viva, è forse la più poetica parte del canto e meno poesia sento io nella esclamazione: Oh imaginativa che ne rube (la quale sotto forma lirica mi suona un comento bell' e buono), che nelle semplici parole: Ricorditi, lettor, se mai nell' alpe. Qui le vi sioni più languide. L'apparizione dell' angelo, notabile in tanto, che la luce di lui sperde la visione. Ma questo stesso non cercare e non pretendere di poter tutti con pari vivezza dipingere gli spiriti ch' egl' incontra salendo, è istinto o arte o virtù di poeta, o tutt' e tre insieme le cose.

Quasi inutile, e forse non propria, la similitudine della nave; troppo lavorata quella del sonno, che pure ne' suoi guizzi dipinge it risentirsi; più bella l'altra della bolla, e più bella ancora apparrebbe se la locuzione cosi felice, come il suo maestro Virgilio gli insegnava, e come egli sa, meglio assai che discepolo, tante volte. Ma i versi negletti più in questo Canto frequenti che in altri: La possa delle gambe posta in tregue Ch' el sia, di sua grandezza, in basso

messo. Bello per altro a me: Si fa con noi come l' uom si fa sègo; perchè applica in modo nuovo l'evangelico fa ad altri quel che vuoi fatto a te stesso; perchè ritrae la prontezza con cui le anime generosamente buone comunicano altrui prima quasi sè stesse che i beni proprii. E questo verso glielo avrà dettato per la via de' contrarii l'esperienza delle dure ripulse, e delle fredde accoglienze, più dure ancora, provate da lui povero esule; ma gliel' avrà direttamente dettato la liela riconoscente memoria di qualche alto gen. tile, di qualche parola umana, di che sguardo pio, venuto di quando in quando a temperare gli umiliati suoi frementi dolori. Altro verso che non parrà forse necessario là dove è posto, ma che ritrae la natura della mente umana, segnatamente dell' ingegno di Dante, è: Che mai non posa se non si raffronta. Verso finamente psicologico insieme e morale è: Ciascun confusamente un bene apprendle; verso la cut verità solo il principló Rosminiano dichiara.

L'AMORE E L'ORDINE.

Quello che nell'Inferno è il Canto undecimo, nel Purgatorio è il diciassettesimo, porge cioè la dottrina della Cantica intera, e la morale struttura dell'edifizio poetico. Nell' entrare al giro che purga l'accidia, Virgilio la definisce: amore men vivo di quel che è debito al bene vero. Di qui si fa luogo a ragionar dell' amore. Dio, le sue creature e ragionevoli e no, hanno amore; chè ne' corpi è impulso di moto, ne' bruti istinto, negli uomini e negli spiriti superiori movimento di libera volontà. Dire amore anche l'attrazione de' corpi, non è semplice traslato aristotelico, ma si reca a quella dottrina e filosofica e teologica, a quella tradizione di tutti i popoli, a quel senso di tutti gli uomini che manifestasi fin nell' età infante, e che considera i corpi come velo o linguaggio od organo d'enti liberi nascosti oltre a quelli. L'amor naturale, inteso da Dante, comprende tutte le nature degli enti; anco al bruto e alla pietra. In quanto gli enti inferiori tendono ai superiori, e in quanto l'ente sommo, amando sè, a sè fa tendere tutti gli altri; non può l'amore non essere buono, appunto perchè da natura. Ma negli uomini diviene colpa se si volge ad oggetto men che buono, o cerca il bene con soverchio impeto o con poco vigore. L'amore diretto ai beni supremi, cioè a Dio e alle creature di Dio nell' ordine loro, e verso queste misurato con le proporzioni debite, non è mai colpa ; è colpa quando si torce al male, o cerca il bene con più o meno cura di quello che deve. Amore è dunque sementa d'ogni virtù e d'ogni vizio. E perchè l'ente non può non volere l'essere proprio, però gli è impossibile odiare sè stesso. E perchè ogni ente dipende necessariamente da Dio causa prima, è impossibile odiare Dio in quanto causa dell' essere. Non si può dunque voler male ad altri che al prossimo; e questo o per superbia abbassando altrui a fine d'innalzare sè; o per invidia, attristandosi dell' altrui potere e onore, per tema di perdere quant' altri ne acquista, o per ira di male patito o temuto. Questi tre abusi dell'amore purgansi ne' giri di sotto, perchè più gravi. Ora resta dell'amore inordinato o per tiepidezza, e dicesi accidia; o per troppo ardore, e può spingersi a volere oro, cibo, piaceri. Avarizia, come più rea, sta solto a gola; gola sotto a lussuria, che è men lontano alla cima. Raffrontiamo questa dottrina alle autorità dei Padri, e in ispecie della Somma.

Un certo moto d'amore compete ad ogni creatura anco irrazionale e inanimata (1). Il primo moto del volere e d'ogni virtù appetitiva è l'amore (2). (2) Som., 1, 1, 20.

(1) Som., 2, 1, 109: Amore o naturale o d'animo.

Amore richiede e suppone connaturalilà dell' amante all' oggetto amato (1). Amore precede tutte le affezioni dell'anima, ed è causa di quelle (2). · Tutte le passioni s' originano dall' amore: l'amore che tende al bene è desiderio; quel che lo possiede e ne fruisce è gioia (3), Principium merendi est charitas (4). L'odio non è se non di cosa contraria alla cosa amata (5). L'amore riguarda il bene in comune, sia o no posseduto; onde l'amore è naturalmente il primo atto della volontà e dell'appetito; e però tutti gli altri moli presuppongono l'amore come prima radice (6). L' anima naturalmente appetisce il bene, e niente può appetire se non sotto l'aspetto del bene (7). Le passioni che riguardano il bene sono precedenti a quelle che il male (8). Nessuno operando tende al male. -A tutti è amabile la bontà e bellezza prima (9). I primi vizii s' insinua no nella mente ingannala sollo sembianza di ragione, ma í seguenti traendo la mente a insania la confondono quasi con grida (10) bestiali (11).

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La volontà mira al bene in universale, onde null'altro può essere causa della volontà, che Dio stesso, il quale è bene universale (12). L'ente e il vero in universale, non si possono odiare; ma si un qualche ente è vero in particolare in quanto par ch'abbia dissonanza coll'essere nostro (13). Non si può odiare Dio (14) nell' essenza sua nè in certi suoi effetti, come l'essere proprio e il bene in genere, ma in quelli effetti che ripugnano alla volontà inordinata (45). La volontà può amare cose opposte ne' fini secondarii, ma `nell' ultimo fine è ordinata di naturale necessità, dacchè l'uomo non può non volere esser beato (46).

L'ordine degli amori è segnato in queste poche parole d'Agostino: Dio sopra noi noi, cioè l'anima nostra, gli uomini intorno a noi; il corpo nostro sotto di noi (17). Cosi sapientemente è distinto l'amor proprio pericoloso e reo, dall'amore di sè innocente e naturale e invincibile; i quali due amori Agostino stesso, nel linguaggio ma non nel concetto, confonde nel noto passo: Amor Dei facit civitatem Dei, amor sui facit civitatem Babylonis. L'uomo deve amare, e non può non amare, la dignità dell'anima propria più che dell'anima altrui; mail corpo proprio, cioè la vita, e tutti i beni di quello deve posporre al bene delle anime de' fratelli. Questo insegna nelle lettere, e dichiarò con la vita, anco Caterina da Siena.

Devesi amare nel prossimo quel che è da Dio, i doni di natura e di Grazia, non il male ch'egli opera o lascia operare (18). E Tommaso soggiunge che nel nemico stesso, nell'atto dell'amare il fratello e quant'è in lui da Dio, devesi odiare l'odio ch'egli ci porta, non però in quanto ne viene a noi nocu

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mento o nuia, o pericolo di nocumento o di noia, ma in quanto il nemico coll'odio turba in sè e in altrui l'ordine che Dio ha stabilito. Codesta distinzione sottile ma profonda, dell'odio dall'odiatore, solo il Cristianesimo la fa, solo esso ci aiuta, che è il più difficile, ad osservarla co' fatti.

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L'amore di sè non procede da impulso animale, ma si da naturale intenzione; imperocchè la Provvidenza diede alle cose da lei create questa principal causa di conservarsi, che di conservarsi desiderano al possibile (1). Ogni animale siccome ello è nato, si razionale come bruto, sè medesimo ama, e teme e fugge quelle cose che a lui sono contrarie, e quelle odia (2). Siamo tenuti d'amare più l'anima nostra che l'altrui; più dobbiamo amare l'anima d'altrui che il nostro corpo, più il corpo d'altrui che le cose nostre (3). Amicabilia quae sunt ad alterum veniunt ex amicabilibus quae sunt ad seipsum (4). — Di natura conviene a ciascuno amare sè stesso (5). — L'amore non tende in altri di necessità, ma può rimanere nell'amante e riflettersi sopra sè stesso come la cognizione si riflette nel conoscente perchè conosca sẻ stesso (6). L'angelo ama sè stesso di affezione naturale e elettiva (7). Amare veramente sè stessi secondo la natura ragionevole è volere a sè que' beni che appartengono al perfezionamento della ragione (8). L'uomo non può non volere il suo ultimo fine che è la felicità (9). Impossibile è che uomo odii sè stesso (19); per modo accidentale può odiarsi volendo il male proprio, ma il male stesso e'lo vuol come bene, e anco il suicida cerca la morte imaginandola fine a' dolori (11).— I cattivi, in quanto stimano sè buoni, amano sinceramente sè stessi; ma cotesto non è vero amore di sè, solamente opparente; e questo pure è impossibile a coloro che sono profondamente tristi (18). Il bene consiste in modo, specie e ordine (13). Il modo, la specie, l'ordine, diconsi mali o perchè hanno minor bene di quel che dovrebbero, o perchè il bene loro non è accomodato all'oggetto (14). Il bene consiste nell'ordine (15). Al fine intelligibile è ordinato l'uomo, parte per via dell'intelletto, parte per via della volontà (16); per l'intelletto, in quantochè nell'intelletto preesiste qualche cognizione del fine; per la volontà, primieramente per l'amore che è il primo moto della volontà verso l'oggetto, poi per la reale altitudine dell'amante all'amato (17). — S' altri si discosta dalla regola di ragione in più o in meno, tale appetito sarà vizioso (18). Peccato è rivolgimento da bene maggiore a minore (19). Colpa è o trasgressione della legge, o omissione, o eccesso oltre a quella. Il peccato non è mera privazione, ma atto, privato

(1) Boezio. (2) Conv.

(3) Cavalca, Specchio di Croce, VII. (4) Arist. Eth., IX.

(5) Som, 2, 2, 25; - 1, 1, 20.

(6) Somma.

(7) Som., 1, 60.

(8) Som., 2, 2, 25.

(3) Som., 1, 1, 18.

(10) Dall'odio proprio son le cose tute (t. 36). Se è da lodare la precisione, non sempre però è da ugualmente lodare la scelta de' vocabcli e l'evidenza. Questo dicasi segnatamente della terzina citata e di quella che segue. (11) Som., 2, 1, 39. DANTE. Purgatorio.

(12) Som., 2, 2, 25.

(13) Aug., Nat. bon., III.
(14) Som., 1, 1, 5.

.

(15) Aug., Nat. bon., LXIII, e Som., 2, 2, 9: Ordinata affezione verso le creature.

(16) Se lento amore in lui veder vi tira, O a lui acquistar (terz. 44).

(17) Som., 2, 1, 4, e 2, 2, 7: L'intelletto umano disordinatamente s'altacca alle cose inferiori a sè.

(18) Som, 2, 2, 162, e altrove: Il disordine del desiderio è la concupi

scenza.

(19) Aur., Ep. II e Simpl.

16

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