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mezzo. Virgilio è anche qui guida a Dante, Virgilio che Orazio dice optimus, e della cui dottrina Servio (1): Tutto Virgilio è pieno di scienza; e molte cose ci si dicono per alta sentenza di Filosofi, di Teologi, di Savii d' Egitto.

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Da Virgilio egli avrà forse non tolta, ma confermata, l'idea delle stelle nell'un polo vedute, all'altro no; che negli Elisi: Largior hic campos aeter, et lumine vestit Purpureo, solemque suum, sua sidera norunt (2). Una lettera del Fracastoro accenna che le quattro stelle si veggon da Meroe e da ogni luogo che non sia più di quattordici a quindici gradi di qua della linea equinoziale (3). » Cicerone (4): Ecce stellae quas nunquam ex hoc loco videmus. Io per me credo potersi la spiegazione astronomica collegare con l'allegorica; ch'è noto uso di Dante. Un comento inedito osserva qui che le quattro virtù cardinali erano il retaggio dell'umanità innanzi a Cristo, le quattro teologali poi. Cicerone (5) pone l'onestà in quattro uffizii; e Pietro li numera a suo modo: cogitationis, comitatis, magnanimitatis, moderationis.

Anche per questo piaceva Virgilio a Dante, che ne' concetti di lui e' vedeva potere adombrare concetti più alti e più veri, si per essere Virgilio osservatore religioso delle antiche tradizioni, che sono delle prime verità monumento e delle nuovissime germe; si perchè la bellezza, quand'è propriamente tale, è di sua natura rappresentazione non solo di quelle cose che stavano nel pensiero di chi l'ha colta, ma d'altre moltissime che si vengono per differente esperienza rivelando a' coetanei ed a' posteri. Nell'entrare al Purgatorio, è lavato al Poeta il viso con la rugiada mattutina; in cima al monte egli è tuffato nel fiume: prima terse le vestigia più sordide, poi levata fin la memoria della colpa (6). Le abluzioni erano rito di tutta l'antichità (7): onde all'esequie di Miseno: Ter socios pura circumtulit unda, Spargens rore levi et ramo felicis olivae (8). Hai qui fino il nome della rugiada che avrà data a Dante l'imagine di quella abluzione, la quale potevasi fare anco con acqua viva, potuta trovare alle falde: senonché più bello è il detergere il sudiciume d'Inferno con l'umore che stilla dal cielo; com'è bello in Virgilio l'epiteto: aërii mellis coelestia dona. Enea nell' entrare all' Eliso, corpus recenti spargit aqua (9); e allorchè Giunone esce d'Inferno: quam coelum intrare parantem Roratis lustr vit aquis Thaumantias Iris (10); e Mercurio nella Tebaide Exsilit ad Superos; infernuque nubila vultu Discutit et vivis afflatibus ora serenat (44).

Il giunco, del quale è imposto che Dante si cinga, simboleggia, dice Pietro, l'umiltà semplice e paziente. Guido Cavalcanti: Quando con vento e con fiume contende Assai più si difende La mobil canna... Che dura querce che non si dirende. Ne' Bollandisti (12): Inondando il fiume, l'erba che in lui cresce si china, e senza lesione di quella,

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l'acqua inondante trapassa. Così noi talora conviene chinarci e umiliarci. E però Dante la dice da ultimo umile pianta: e chi sa non gli venisse insieme col giunco alla mente quella divina parola data come segno a riconoscere il salvatore vero: La canna scrollata egli non spezzerà?

Anco in Virgilio è un ramo che Enea deve côrre dalla selva che mette all'Inferno, coglierlo perchè e' possa entrare all'Eliso: e parlasene lungamente, e pare che il Poeta ci voli intorno come le colombe che son guida all'eroe, e ci si fermi sopra invescato dalla sua propria eleganza. La cara imagine delle colombe avrà forse ispirato a Dante quella gentile similitudine che è nel Canto secondo, dacchè ne' tre mondi tre similitudini rincontriamo dalla colomba: qui le anime che fermate all'armonia di Casella, al rimprovero di Catone corrono verso la costa; in Inferno i due amanti che volano all'affettuoso grido di Dante; in Paradiso, l'apostolo della speranza che si pone accanto all'apostolo della fede: Si come quando 'l colombo si pone Presso al compagno, l'uno e l'altro pande, Girando e mormorando, l'affezione; Cosi vid' io l'un dall'altro grande Principe glorioso essere accolto Laudando il cibo che lassù si prande (1). E ognun sente come la similitudine nell'Inferno sia, quanto a dicitura, più delicatamente condotta; quella del Purgatorio più nuova e più semplice; in questa del Paradiso il grande principe e il cibo che si prande non bene si convengano co' colombi, e come i suoni stessi non abbiano la delicatezza che porta l'idea, s'altri forse non sentisse ne' suoni colombo, pone, affezione, quando, pande, girando, mormorando, la voce della colomba: : come Virgilio, ma ben meglio, con due suoni soli alquanto cupi rende il gemito della tortora, e con gli altri che precedono più leggieri e più gai, ne rende l'affetto: Nec gemere aeria cessavit turtur ab ulmo (2).

In Virgilio la Sibilla è che tiene il ramo d'oro nascoso sotto la veste e lo mostra a Caronte, ed Enea poi, come dono a Proserpina, l'appende alla soglia dell'Eliso. Più bello, in Dante, che questo color d'oro tenuto quasi in borsa dalla vecchia, il giunco che incorona al Poeta le tempie e gli è ghirlanda più degna dell'alloro sperato nel suo bel San Giovanni (3). In Virgilio, del ramo fatale è detto in prima: Ipse volens facilisque sequetur, Si te fata vocant: aliter, non viribus ullis Vincere, nec duro poteris convellere ferro (4). Poi d'Enea che lo coglie. Avidusque refringit Cunctantem (5), che par contradire al già detto dalla Sibilla in Virgilio. Primo avulso, non deficit alter Aureus et simili frondescit virga metallo (6). E in Dante il simile; ma con intenzione simbolica, perchè, nota il Poggiali, i mezzi dell'espiazione sono sempre alla mano, chi pure li voglia, e perchè nell'anima che si pente è messa dalla Grazia una forza rigeneratrice che rinnova ed amplifica il miracolo della creazione.

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CANTO II.
A TO

ARGOMENTO.

Appare un Angelo che conduce su leggiera barchetta le anime nuove. Il Poeta riconosce Casella; questi gli canta. Le anime si arrestano alla dolcezza del canto; ma Catone sgridando le spinge al monte.

Qui cominciano le apparizioni degli Angeli; e si badi alle varie pitture che il Poeta ne fa; si badi ai varii modi di raffigurare gli oggetti veduti da più o men grande distanza. Inf., IV, V, VIII, IX, XII, XV, XVII, xxI, xxшlt, XXVI, XXXI, XXXIV. E sempre d'ora in poi si ponga mente a quest'arte di varietà. Poi s'osservi nell' Inferno il graduar delle tenebre e del gelo e del fuoco; nel Purgatorio il graduar della luce; nel Paradiso, dello splendore e dell'armonia.

Nota le terzine 2, 4; 6 alla 9; 11 alla 16; 18, 19, 23, 24; 26 alla 30, 33, 37, 38, 42; le ultime tre.

1. Già era il sole all'orizzonte giunto,

Lo cui meridïan cerchio coverchia

Gerusalem col suo più alto punto: Let

4. (L) Coverchia: copre.

(F) Gid. Recherò la materiale ma evidente dichiarazione di Pietro. Consideriamo il cielo siccome due Scodelle che copronsi l'una con l'altra, e in mezzo di loro sia sospesa una pallottola di terra, e sia questa la nostra terra con l'acque e la mezza concavità cioe l'una delle due scodelle, sarà l'emisfero della detta pallottola, cioè della terra nostra ; laura scodella, cioè l'altra mezzá concavità. sarà l'altro emisfero dell'altra metà della pallotiola stessa. Or s'imagini un circolo per lo mezzo dell'una delle due scodelle, cioè da settentrione a mezzogiorno: e sollo il colmo di detto cerchio, cioè nel più alto punto della pallottóla, Gerusalemme. Nel punto opposto della terra è il monte del Purgatorio: or se in Gerusalemme era la prima ora del giorno,nel monte dovev'essere un'ora

di notte: il sole in Ariete, la notte in Libra E come il sole in equinozio sorge alla foce del Gange, il qual corre di contro al moto del sole, onde Lucano cantò: Ganges, toto qui solus in orbe Ostia nascenti contrária sol. vere Phoebo Audet, et adversum fluclus impellit in Eurum (Phars, III); cost per contrario la notte nasceva in Libra Poichè il Porta disse nell'altro Canto che nell'oriente si velavano i Pesci (nell'oriente di laggiù ch'è a noi occidente), ciò mostra essere gia passate due ore, dacche ciascun segno dello zodiaco inchiude due ore Per più chiarezza citiamo anche il P Lombardı: Ogni punto del nostro emisfero hail suo proprio orizzonte e il suo meridiano, il quale è un arco che passando per lo zenit del luogo, e pel punto del cielo dove il sole ad esso luogo fa il mezzodi, va a terminare da ambe le parti al

2. E la notte, che, opposita a lui, cerchia,
Uscía di Gange fuor, con le bilance,

Che le caggion di man quando soverchia;
3. Sì che le bianche e le vermiglie guance,
Là dov'i' era, della bella Aurora

Per troppa etate divenivan rance.
4. Noi eravam lunghesso il mare ancora,
Come gente che pensa suo cammino,

Che va col cuore, e col corpo dimora.
5. Ed ecco, qual, sul presso del mattino,
Per li grossi vapor Marte rosseggia
Giù nel ponente sopra 'l suol marino;
6. Cotal m'apparve (s'i' ancor lo veggia!)
Un lume per lo mar venir sì ratto,
Che 'l mover suo nessun volar pareggia.

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l'orizzonte del medesimo luogo. Onde ciascun orizzonte non ha per suo meridiano che quello il quale col suo più alto punto copre esso luogo: sicche dire orizzonte di Gerusalemine è il medesimo che dire l'orizzonte il cui cerchio meridiano copre col suo punto più alto Gerusalemme. Dice il Poeta la notte uscia di Gange, perchè secondo la geografia de' suoi tempi (Rog. Bacon., Opus Majus, dist 10), l'orizzonte orientale di Ge rusalemme credevasi un meridiano dell' Indie Oriental, distante, dice Solino, dalla Palestina, quanto n'è distante la Francia. Ma le distanze dagli antichi date a' meridiani de' luoghi son troppo maggiori delle reali. Dante fa i due meridiani del Gange e dell'Ibero distanti per gradi cent ottanta, e fa il meridiano di Gerusalemine equidistante da que' due: doppio sbaglio anco secondo la geografia tolemaica. - Veggansi alla fine del volume le dotte osservazioni del P. Antonelli.

2. L) Soverchia: cresce

(SL) Bilance. Georg, 1: Libra die somnique pares ubi fecerit horas, Et medium luci atque umbris jam dividet orbem

(F) Bilance Dall'equinozio, quando luce il segno della Libra, le notti cominciano a crescere: però l'uguaglianza tra il di e la notte è finita: e dacchè il sole è in Ariete, fino alla Vergine, crescono i di. Soverchia. Se l'Ariete discende, la Libra ascen

de: è dunque giorno fatto, e l'oriente è già rancio (Arist, Met.).

3. (SL) Bianche. Ov, Met., VI: Ut solet aer Purpureus fieri, cum primum Aurora movetur; Et breve post tempus candescere Solis ab icta. Rance Bocc.: L'aurora già di vermiglia cominciava a divenir rancia. L'Ariosto nomina le chiome gialle dell'Aurora: oggidi non diremmo. Nolisi però che rancie in antico non sonava punto rancide, ma rammentava l'origine aurantius. Georg., 1; Æ., IV, IX: Tithoni croceum linquens Aurora cubile. - VI: Roseis Aurora quadrigis.

5. (L) Presso. Sostantivo.

(SL) Presso. In Toscana tuttora sui pressi d'un paese vale: nei luoghi vicini a quello. Suol. Inf, XXVI, 1. 43: Marin suolo. -Marte, sul mare, dove più sono i vapori; di mattina, quand'e' non siano diradati dal sole e a ponente, dove pe' detti vapori rosseggia più che mai

(F) Marte, Conv.: Marte dissecca e arde le cose, perché il suo calore è simile a quello del foco; e questo è quello perch'esso appare affocato di colore, quando più e quando meno, secondo la spessezza e rarità delli vanori che seguono; li quali per loro medesimi molte volte s'accendono, siccome nel primo della Meleora (d'Aristotele) è determinato.

6. (L) S: Cost torn'io dopo morte a vederlo, nè sia dannato! -Volar. Regge il verbo.

7. Dal qual com'ï' un poco ebbi ritratto
L'occhio, per dimandar lo duca mio,
Rividil, più lucente e maggior fatto,
8. Poi, d'ogni lato ad esso, m'appario

Un, non sapëa che, bianco; e di sotto,
A poco a poco, un altro, a lui, n'uscío.
9. Lo mio maestro ancor non fece motto

Mentre che i primi bianchi apparser ali:
Allor che ben conobbe il galeotto,
10. Gridò: Fa fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani:
Oma' vedrai di sì fatti ufficiali.
11. Vedi che sdegna gli argomenti umani,
Si che remo non vuol, nè altro velo
Che l'ale sue, tra liti sì lontani.
12. Vedi come le ha dritte verso 'l cielo,
Trattando l'aére con l'eterne penne
Che non si mutan come mortal pelo.
13. Poi, come più e più verso noi venne
L'uccel divino, più chiaro appariva:

Perchè l'occhio dappresso nol sostenne;
14. Ma china' '1 giuso. E quei sen venne a riva
Con un vasello snelletto, e leggiero
Tanto, che l'acqua nulla ne 'nghiottiva.

8. (L) Sotto a lui un altro non so che bianco.

9. (L) Mentre: fin che. Primi: i primi eran l'ali, l'altro la veste. Galeotto: reggitor della barca.

(SL) Apparser. Altri legge aperser, cioè il primo bianco ch'io aveva visto, si scoperse esser l'ali dell'Angelo Onesto modo avrebbe dichiarazione dal virgiliano: Leucatae nimbosa cacumina montis, Et formidatus nautis aperitur Apollo (o., II) E nel VI: Aperit ramum qui veste latebat Ma l'altra lezione mi pare più schietta.

40. (L) Cali a terra. - Plega: giungi. Ufficiali: ministri: non più demonti

11. (L) Argomenti: mezzi.

vela

Velo:

(SL) Argomenti. Per istrumenti è nel Boccaccio è nel Casa. Velo. [C.] In monete greche, il Genio della città è figurato, sopra una nave, avere il proprio manto per vela.

(F) Umani. Arist. de Incess. anim. Negli animali che usano di parti come di strumento al moto cioè di piedi o d'ali.

12. (SL) Trattando. Ariosto, men felice: Tratta l'aure a volo.

43 (SL) Uccel. Mercurio è detto da Stazio Volucer Tegeaticus; impiger ales (Silv., 1, 2, 102; Theb., 1). So stenne. Lucan., IX: Lumine recto Sustinuere diem coeli.

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(F) Venne. Nel Convivio dipinge l'apparenza contraria: Come chi guarda col viso per una retta linea, che prima vede le cose chiaramente; pol, procedendo, lo viso disgiunto nulla vede.

14. (L) Vasello: vascello.

(SL) Vasello. Inf., XXVIII, t. 27. Snello dice la forma e il ratto moto; Leggiero il non toccar le acque tuttochè tanti fossero i naviganti sovra essa. — Nulla. Contrapposto a quel dell'VIII dell'Inferno: Segando

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