20. Di vil cilicio mi parean coperti; Stanno, a' Perdoni, a chieder lor bisogna; Ma per la vista, che non meno agogna. Luce del ciel di sè largir non vuole: Si fa, però che queto non dimora. Ma disse: Parla, e sii breve e arguto. 20. (L) Sofferia: reggeva. (SL) Spalla Conv.: Ciechi con la mano sulla spalla a questi mentitori. (F) Cilicio. Girolamo, citato da Pietro Chi è peccatore siccome l'invidioso e a chi la coscienza rimorde si cinga di cilicio le reni. Il cilicio rappresenta i ungoli dell'invidia. Sofferia. Al contrario di quel che fanno nel mondo gl'invidi, che si gettanó a terra l'un l'altro e soppian-. > tano. 21 (L) Falla; manca. Perdoni: luoghi e di di festa e indulgenza solenne. Avvalla: china 22 (1) Pogna: pon.a. - Agogna: soffre quasi agonia di pietà dolorosa. (SL Poyna Purg, XVIII: Nuovo pensier dentro da me si mise Ma ivi miglior locuzione che qui. Vista. Similitudine alquanto funga - Agogna Diceva non solo brama viva, ma tormentosa. Damasc. in Serm: De iis qui in fide dormierunt: Pro proximi salute agonizal. DANTE. Purgatorio. 27. Virgilio mi venia da quella banda Ombre, che, per l'orribile costura, 29. Volsimi a loro, e: Incominciai, di veder l'alto lume 32. 33. Questo mi parve per risposta udire Più 'nnanzi alquanto che là dov'io stava: 35. Spirto (diss' io), che per salir ti dome, 27. (SL) Inghirlanda. Inf., XXXI: Montereggion di torri si corona. E XIV una selva è ghirlanda a una pianura, un fosso alla selva. 28. (L) Costura del fil di ferro.· Premevan: lo sforzo spremeva lagrime. 29. (SL) Alto. Purg., VII, t. 9: L'alto Sol che tu disiri. 30. (L) Schiume: peccati. - Flume: idea del bene. (F) Fiume. Il vero nell' anima pura scende puro, irriguo, sonante: ond'è bellezza. 34. (L) Latina: italiana. Buon: ne recherò novella lassù, s' io lo so. (SL) Grazioso. Vers. di Livio: Graziose condizioni di pace. Caro. Più che grazioso, perchè vale prezioso per l'affetto. 32. (L) Frate: fratello. leste. Città ce (SL) [Città. Tasso, XIV, 7: Qui cilladin della città celeste ] (F) Cittadina Med. Alb. Cr: Anima cittadina di Gerusalem. Vita Nuova Era falla delle cittadine di vila eterna. Ad Ephes., 11, 19: Jam non... hospites, et advenae: sed... cives Sanctorum 34. (L) Vista: mostrava d' aspettarmi. 35. (L) Conto; noto. tria. Luogo: pa 36. I' fui Sanese (rispose): e con questi Lagrimando a Colui che sè ne presti. Fossi chiamata: e fui degli altrui danni Già discendendo l'arco de' miei anni, Passi di fuga: e veggendo la caccia, Gridando a Dio: « Omai più non ti temo; »> 42. Pace volli con Dio in sullo stremo 36. (L) Rimondo: Purgo. —Colui: Dio. Ne: a not, beatificante. (SL) Presti. Par., 1: 0 divina virtù, se mi ti presti Tanto... 37. (SL) Sapta. De' Provenzani, gentildonna: altri la dice moglie a Cino di Pigezo: visse, come avversa ai Ghibellini, confinata a Colle; e della rotta che i Sanesi ivi ebbero dai Fiorentini, gioi Ott.: Per vedere sall in una torre, e dice che pregò Iddio che i Sanesi fossero sconfitti... Oh quante volte in questa Provincia di Toscana colali pringhi sono stati falli per mali cittadini Di questa sconfitta, nel Canto XI, t. 44. Allude al nome, come a quel di Cane nel primo dell'Inferno; e di Giovanna e Felice nel XII del Paradiso. Tra i nomi e le cose sentivano gli antichi ar. monia. Così nel libro di Ruth (1, 20), Noemi vuol che la chiamino Mara, perchè amareggiata. 58. (L) Arco: trentacinque anni. (SL) Arco. Conv., 1: Fino al colmo della mia vita (ai trentacinque anni). Altrove: Procede la nostra vita ad imagine d'arco, montando o discendendo. Petr: Giunto al loco Ove scende la vita che alfin cade. 39. (L) Volle: che perdessero. 40. (L) Caccia: della rotta. - Dispári: maggiore. 41. (SL) Merlo. Chiamansi in Lombardia giorni della merla i tre ultimi di gennaio: e son freddi, dice la favola, per punire la merla che, sentendo a que' di initigato il freddo, si vantò di non più temere gennaio. Questo notano il Vellutello e il Daniello Out: Dicesi favolosamente che il merlo al tempo della neve sta molto strello, e come vede punto di buon tempo, dice: non ti temo, domine, chè uscito son del verno. 48. (L) Dover: debito di pena. (SL) Scemo da eximo, porta nella radicè la redenzione. 43. Se ciò non fosse, ch'a memoria m'ebbe 45. Vai dimandando, e porti gli occhi sciolti, Gli occhi (diss'io) mi fieno ancor qui tolti, 46. Troppa è più la paura ond'è sospesa Chè già l'incarco di laggiù mi pesa. Ed io: Costui ch'è meco, e non fa motto. 48. E vivo sono: e però, mi richiedi, 49. Spirito eletto, se tu vuoi ch'i' muova Oh questa è a udir sì cosa nuova 50. E chieggioti per quel che tu più brami, 43. (L) Increbbe: n'ebbe piętà; e, pregando, la fece call' Antipurgatorio passare nel Purgatorio. (SL) Pier Terziario eremita da Campi, nel Chianti, sette miglia da Siena Nel 4328 si ripigliò la festa di lui per alcun tempo internessa (Tommasi, p. pag 238 Out: In Siena al tempo dell'autore fece molti miracoli, in sanare infermi, e in vedere molte rivelazioni: al quale la detta donna in vita faceva visitazioni ed, elemosine, e pregavalo che per lei' pregasse Dice che Piero Pettinagno fu fiorentino per nazione. D'un frate autorevole per santità nelle cose civili parla Dino Compagni (II, 90) — Increbbe. Dante, Rime: E' m'incresce di me si malamente Ch' altrettanto 51. Tu li vedrai tra quella gente vana Che spera in Talamone; e perderágli Più di speranza che a trovar la Diana. Ma più vi metteranno gli ammiragli. Perchè la candida, ilare, generosa amicizia è il con.rario della livida invidia trista; però, a purgazione di lei, rammentasi Oreste, il cui nome, per altro, è meno proverbialmente noto di Pilade: onde, sebbene questo accenno sia meno sconveniente che quello d'aglauro, la cui favola com. inemora il mescolarsi degli Dei in amore cogli uomini; non si può tultavia dire che fosse accenno popolare, nè chiaro in quelle due sole parole: io sono Oriste. Fatto è che le dottrine politiche del Poeta qua e là nocriono all'arte; e la luce delta scienza nella quale egli ama ravvolgersi fa meno splendida la poesia, segnatamente là dove ell'è scienza d'erudizione Più poetico che io sono Oreste, suona a me l'elegante; Amate da cui male aveste; e quel semplice: Maria ôra per noi. Gi' invidiosi, posti a sedere sulla livida pietra in pena del non aver voluto, vivendo, correre al bene, ma astiare inerti chi al bene correva; ridicono le litanie dei Santi, solite cantarsi nelle processioni, e invocanti la misericordia celeste e intercessione di quegli spiriti che l'amore magnanimo ha fatto beati. Chi ha patito degli occhi, e chi dentro all'orbita loro senti la punta del ferro, può imaginare il tormento che qui descrive il Poeta, e sentire la fiera bellezza di quelle parole: orribile costura Non in tutio felice l'elocuzione del Cauto; ma fanno per un Canto i tre versi che dicono delle schiume della coscienza che la Grazia risolve, sicché il fiume della mente scende chiaro per essa: e vuol dire, tra l'altre cose, che in coscienza torba la verità stessa s'intorbida per colpa dell'uomo, il quale, in pena, smarrisce il sentimento sincero e detle cose e di sé; vuol dire che l'anima nell'odio, massime se odio d'invidia, è com'acqua stagnante, e tanto solo agitata quanto basti a coprirla di schiuma imonda Ma la pietà con la quale egli parla di questo vizio, tanio alieno dall' indole sua, e lo scegliere che e' fa, quasi a personificarlo, due pregiati uomini di Romagua; e la sua tema del non offendere i poveri ciechi, andando lungh' esso loro non visto senza darsi a conoscere, dimostra la delicatezza intima di quest' anima, e attenua la gravità delle parole avventate qui contro Siena, e di quelle che tra poco avventerà contro Arezzo, Firenze, Pisa. |