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confidenza nelle forze proprie, è contrario a umiltà (1): ma non il tenderci per confidenza nell'aiuto divino; onde Agostino: Allr' è levare sè a Dio;

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altr'è levare sè contro Dio (8). " Questo passo rammenta i versi del Nostro: Deh! Se Giustizia e Pietà vi disgrevi Tosto, si che possiate muover l'ala Che secondo il desio vostro vi levi. Ben contrappone l'ala alla gravezza del carico della superbia, chiamato non senza intendimento anche soma: Iniquitatis meae supergressae sunt capul meum; et sicut onus grave gravatae sunt super me (3). Che, vero di tutte le colpe, è massimamente della superbia, in pena del suo voler sollevarsi, sopra quello che la natura delle cose comporta (4). Il superbo è pesante ad altrui: e però porta il giogo come bue (5); e sotto quello va rannicchiato tanto da non ci si riconoscere l'umana figura, e pare cariatide penosamente contratta per sostenere que' palazzi dove la superbia ha sovente sua tana (6). Apposta il Poeta paragona a' cariatidi i superbi, a' quali quel ch'e' fecero o intendevano fare è reso. E solto que' pesi i purganti si picchiano, che è atto di dolore umiliato: Suppliciter tristes, et tunsae pectora palmis (7). E i superbi hanno più e meno addosso secondo la gravità del vizio e del peccato, appunto come nella pena degli empi i monumenti sono più e men caldi (8), e vanno senza riposo (9) sempre, e a tondo, come nell'inferno gli avari e i prodighi, voltando pesi anch'essi, e tutti i dannati, dacchè e di bene e di male il circolo può essere simbolo E così curvi è forza loro tenere gli occhi in giù, e leggere in terra scolpiti gli esempi della superbia domata, e non possono volgersi a conoscere i visi di chi passa; sconoscenza che loro era data per pena anco in vita; ma allora per tenere gli occhi tropp'alli, e non degnar di riguardare a' minori (40).

Ripigliamo ora le dottrine del cristianesimo intorno all'umiltà e a' vizii contermini ad essa. L'umiltà reprime l'appetito che non tenda a grandigia fuor di ragione; magnanimità eccita a cose grandi: però le non sono contrarie ma a norma di ragione ambedue. L'umiltà versa in certo modo circa le cose medesime che la magnanimità; che, siccome a magnanimità s'appartiene muovere l'animo a cose grandi contro la disperazione, cost all'umiltà s'appartiene ritrarre l'animo dall'inordinato appetito di cose grandi contro la presunzione Or la pusillanimità se disanima dal seguire le cose veramente grandi, s'oppone a magnanimità; se piega l'animo a cose vili, s'oppone a umiltà in quanto è l'abuso di quella; e l'uno e l'altro difetto procede da animo piccolo (44).

(1) Purg., XI: Oh vanagloria delle umane posse.

(2) Aug. de Poen.

(3) Psal. XXXVII, 5. Som., 1, 2, 102: Simbolicamente per la gobba intendesi il soverchio amore delle cose terrene. E fors'anco per questo, nella bolgia de' barattieri le anime son portate da un diavolo gobbo.

(4) Som., 2, 2, 109.

(5) Purg., XII. Matth., XI, 29, 30: Prendete il giogo mo... ch'è soave. Som., 2, 1, 102: Giogo di peccati.

(6) Purg., X. Psal. CXXVIII, 3:

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Che se al dire di Gregorio (4), contrario a superbia è il dono del timore, ciò intendesi di quella temenza affettuosa e generosa e provvida che lempera dall'insano ardimento, e previene le paure codarde ond'esso è finalmente represso E così intende Tommaso: Nella fortezza è del pari la ragione del frenaré l'audacia del fermare l'anima contro la paura, perchè la ragione e dell'uno e dell'altro si è questa, che l'uomo devé volere il bene ragionevole a costo di qualsiasi pericolo.

E nello stesso sentimento del proprio valore la vera umiltà cristiana non fa forza alla natura, ma si, moderando, la leva più in alto Conoscere il bene che l'uomo ha in sè ed approvarlo non è peccato. E non è neanche peccato volere che le tue opere buone siano dagli altri approvate; onde in Matteo: Riluca la luce vostra agli uomini, che veggano le opere vostre buone e ne rendano lode al Padre vostro (2). E però amore di gloria, di per sè, non dice vizio, ma vizio è amore di gloria vana Or può la gloria dirsi vana, in tre sensi: da parte della cosa, come cercare gloria da cosa che non è vera o che non meriti gloria, per essere fragile e caduca (3); dalla parte di quelli da cui cercasi gloria, come d'uomo il cui giudizio non è certo (4); dalla parte di colui che appetisce la gloria, che non la reca al fine debito, cioè all'onore di Dio e alla salute de' prossimi (5). Quello in che l'uomo è eccellente, egli non l'ha da se ma da Dio; e gli è dato acciocchè giovi agli altri; onde l'onore che a lui ne procede è un bene in tanto solo in quanto serva all'altrui giovamento. Or in tre modi l'ambizione è colpevole: cercando testimonianza onorevole del bene che l'uomo non ha; non recando l'onore a Dio; arrestandosi in quella testimonianza, e non ne facendo mezzo all'utile altrui (6).

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Con questi temperamenti può dirsi che umilitas pene tota disciplina christiana est (7) Ma la stessa pagana filosofia ne intravvedeva la necessità e la bellezza in idea, dacchè Cicerone stesso in un lucido intervallo lasciatogli dalla sua vanità: È da cansare la cupidità della gloria, perchè rapisce all'animo ogni libertà per la quale i magnanimi devono con tutte le forze operare (8). E Aristotele dicendo che l'onore è premio di virtù (9), dice altresì che n'è premio insufficiente (10) E Tommaso dichiara: La vera virtù chiede in premio non l'onore sibbene la beatitudine della coscienza. Ma dalla parte degli uomini l'onore è premio di virtù in quanto non hanno altro maggiore da rendere (41); ed è grande in tanto in quanto alla virtù

(1) Mor.. II; Aug. Ser. I in mont.
(2) Matth.. V, 16.

(3) Purg, X: Poi siete quasi ento-, mala in difetto. - XI: Oh rana gloria delle umane posse! Com' poco verde in su la cima dura, Se non è giunto dall'etali grosse! Ma non è vero che sia titolo di gloria l'avere per successori uomini e fatti men alti: ch'auzi la decadenza delle menti e degli auimi li rende inetti siccome a emulare cusi a rettamente stimare le cose grandi; e alla bellezza e grandezza vera s'accresce lume dall'esperienza de'secoli e più da condegni che da troppo inuguali paragoni.

(4) Altrove: Vana è la gloria che viene di fuori. Purg, XI: Non è il mondan romore altro ch'un fiato Di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi.

(5) Somi., 2, 2, 132.
(6) Som., 2, 2, 131.
(7) Aug, de Virg, XXXI.
(8) Cic., de Oft., I.
(9) Arist. Eth., I.
(10) Ivi, IV.

(14) L'affetto e l'imitazione sono premii maggiori; ma Tommaso certamente li emprende nell'idea dell'onore, anzi il sottintende come sostanza di quello.

stessa rende testimonianza (4). Questo germe dell'umiltà che sotto il paganesimo rimaneva come in terra senz'acqua e senza luce, il Cristianesimo l'ha fecondato con raggio d'idea, con calore d'amore, e con sudori e lagrime e sangue.

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In tutto Non è vera

Egli è il Cristianesimo che ha chiaramente insegnato: Difficile evitare la superbia per essere quello peccato latente, che prende occasione dal bene stesso (2). Altri gonfia per oro, altri per facondia, altri per infime terrene cose, altri per sovrane virtù e celestiali (3). Pericoloso è piacerè a sè stesso (4). La vanagloria ha luogo anco nei servi di Cristo (5). la vanagloria è male, ma specialmente nella filantropia (6). mente virtuoso chi fa opere di virtù per fine di vanagloria (7). nagloria entra di soppiatto, e i beni che dentro erano insensibilmente toglie (8). Quanta forza abbia di nuocere l'amore dell'umana gloria non sente se non chi l'ha preso a combattere; perchè se facil cosa è all'uomo non desiderare la lode finchè non gli è data, difficile è, proffertagli, non se ne compiacere troppo (9).

La va

Ma con l'usala divina equità il Cristianesimo insegna eziandio: Il molo della superbia che occultamente s'insinua non è de' più gravi. Alcuni moti di superbia non sono peccati gravi, in quanto prevengono la riflessione, e che poi la ragione non consente ad essi (10).

(1) Som., 2, 2, 131.

(2) Som., 2, 2, 162.

(3) Greg., Mor., XXXIV, e August., Reg.: La superbia tende insidia alle buone opere acciocchè periscano. (4) Som., 2, 2, 132. Chrys., Hom., XIII.

(6) Greg., Mor., XXXIV.
(7) Aug., de Civ. Dei, V.
(8) Chrys., in Matth., XIX.
Aug., Ep. LXIV.

(10) Som., 2, 2, 111: La vanagloria non sempre è peccato mortale.

OSSERVAZIONI DEL P. G. ANTONELLI

SUL VERSO

"Al cerchio che più tardi in cielo è torto »

Più che un secolo prima dell' Era nostra il celebre Ipparco discopri quel fatto maraviglioso che è noto col nome di precessione degli Equinozii; e comprese che derivava da un moto retrogrado dei punti equinoziali. Poi, molli astronomi credettero che il fatto stesso procedesse da un movimento comune a tutte le stelle, e opposto al moto diurno della sfera stellare: ma il nostro Poeta astronomo sembra aver superato tutti i suoi antecessori non solo col ritornare al concetto d' Ipparco sul moto effettivo dei punti equinoziali, ma col riferire quel moto al circolo che si va descrivendo dal polo dell'equatore intorno a quello dell'eclittica; perciocchè parla di cerchio, e non di spera; e la invariabilità delle latitudini delle stelle unita alla costanza della variazione nella longitudine delle medesime, doveva aver guidalo una mente quale la sua a quella deduzione. Oggi sappiamo che quel cerchio si compie in ventiseimila anni: allora facevasi anche maggiore il tempo occorrente a quel giro.

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CANTO XII.

ARGOMENTO.

Contempla le sculture del suolo; esempi di superbia punita. Tre Canti e' dà alla superbia, e contr' essa grida, e sè confessa superbo. Non solamente politico, ma più morale che non si creda è lo scopo della Commedia. Giungono al varco dove si sale all'altro giro, e trovano un angelo che mostra la via, e col batter dell' ale yli rade un P dalla fronte, il peccato della superbia, ch' egli ha nel giro presente espiata.

Poesia le sculture, l'angelo, la salita.

Nota le terzine 1 alla 7; 9 alla 13; 16; 20 alla 24; 28, 29, 30; 32 alla 39; 42 fino all'ultima.

1.

Di

pari, come buoi che vanno a giogo,
N'andava ïo con quell'anima carca,
Fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.
2. Ma quando disse: Lascia lui, e varca,
Chè qui è buon con la vela e co' remi,
Quantunque può ciascun, pinger sua barca;-

4. (L) Anima: Oderigi. - Pedagogo:

Virgilio.

(SL) Buoi. Purg. XXVII, t. 29: Io come capra... lo Puniva intanto sè della superbia propria - Pedagogo. Era quasi fanciullo sotto maestro; e più volte si paragona a fanciulló (Inf. XXIII, 1, 43-44; Purg, XXVIII, 1. 45; Par XXII, 14) Varr.: Instituit paedagogus, docet magister.

(F) Carca. L'idea di questo supplizio e di quello degl'invidi e de' famelici sarà forse stata al Poeta confermata, se non originata, dal se

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