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39. La vostra nominanza è color d'erba,
Che viene e va; e quei la discolora
Per cui ell'esce della terra, acerba.

40. Ed io a lui:

41.

Lo tuo ver dir m'incuora
Buona umiltà, e gran tumor m'appiani.
Ma chi è quei di cui tu parlavi ora?
Quegli è (rispose) Provenzan Salvani:
Ed è qui perchè fu presuntuoso

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A recar Siena tutta alle sue mani.
42. Ito è così (e va senza riposo)

Poi che morì. Cotal moneta rende,
A soddisfar, chi è di là tropp' oso. -
43. Ed io: Se quello spirito che attende,
Pria che si penta, l'orlo della vita,
Laggiù dimora, e quassù non ascende
44. (Se buona orazïon lui non aita),

Prima che passi tempo quanto visse;
Come fu la venuta a lui largita?

pompe si reggea la superbia del po-
polo vecchio. Par., XVI, de' grandi
Fiorentini, Che son disfatti Per tor
superbia! Putta. Guill: Non è
meretrice audace più che ognuno di
voi e mostrasi, poiche la sua faccia
di tanta onta è lorda.

39. (L) Quei: il sole. Acerba: giovanetta.

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(SL) Quei. Purg., XXIII, t. 40. La suora di colui (El Sol mostrai). Discolora. La Cantica, 1, 3: Decoloravit me sol.

(F) Erba. Isai., XXVIII, 4: Erit flos decidens gloria exultationis. E XL, 6.7,8: Exsiccatum est foenum et cecidit flos, quia spiritus Domini sulavit in eo... Verbum autem Domini nostri manet in aeternum. E XXXVII, 27: Facti sunt sicut foenum agri et herba tectorum quae exaruit antequam maturesceret. Ps. LXXXIX,. 6: Mane, sicut herba transeat, mane floreat et transeat; vespere decidal, induret et arescat.

40 (L) Incuora: pone in cuore. Tumor d'orgoglio.

dire.

(SL) Ver. Petr.: Io parlo per ver

(F) Tumor Stazio l' ha nel senso d'orgoglio. Lactant., III: Superbum tumorem subtrahere. Hieron.. Epist. LIV: Sit non tumoris sed humilitatis occasio. Greg.: Il tumor della mente è ostacolo alla verità, perchè enfiando offusca. Som.: L'umiltà è condi

zione d'ogni virtù in quanto rimove la gonfiezza della superbia che alla virtù ioglie il luogo. En., IX: Tumidusque novo praecordia regno.

44 (SL) Salvani Dopo la battaglia dell'Arbia venne su quel di Firenze con grand'esercito, e fu, nel 1270 0 nel 1269, vinto in Colle di Val d'Elsa dal Vicario di Carlo, capitano de' Fiorentini. Erano con Gian Beroaldo, vicario, Francesi e Fiorentini; con Provenzano i Senesi e altri Ghibellini. Una chiesa è in Siena che chiamasi della Madonna di Provenzano.

(F) Presuntuoso. Som.: La presunzione osa qualche grande opera oltre la sua facoltà.

42 (L) Soddisfar: pagare il debito. Oso orgoglioso.

(SL) Moneta. Matth., V, 26: Donec reddas novissimum quadrantem. Oso. Conv.: Chi sarà oso?

43. (L) Laggiù: nell'Antipurgatorio. (SL) Laggiù V. Purg., IV, t. 44. 44 (L) Visse nella colpa. - Venuta quassù. Lui che non si pentì se non alla morte.

(SL) Quanto. Nel III del Purgatorio disse che l'anima indugiante in vita a pentirsi rimane trenta volte tanto di tempo quanto durò nella sua presunzione contro la Chiesa; qui dice che l'anima che indugia a pentirsi alla morte rimane tanto tempo quant'ebbe nel mondo di vita.

45. Quando vivea più glorioso (disse),
Liberamente nel Campo di Siena,

Ogni vergogna deposta, s'affisse:
46. Égli, per trar l'amico suo di pena
Che sostenea nella prigion di Carlo,
Si condusse a tremar per ogni vena.
47. Più non dirò: e scuro so che parlo;
Na poco tempo andrà, che i tuoi vicini
Faranno si che tu potrai chiosarlo.
Quest'opera gli tose que' confini.

45. (L) Liberamente: spontaneo: S'affisse: si pose fermo.

SL) Camno. Così chiamano i Senesi la piazza, Cosi tuttora a Venezia. Hor Carm, III, 4: Descendat in campum petitor. Affisse. Purg, XXV, 1. Che non s'affigge Ma vassi alla via sua.

46 (L) Tremar umiliato, chiedente elemosina

(SL) Tremar. En., 11: Per ima cucurrit Ossa tremor. Amico Chiese limosina per l'amico Vigna, prigione di Carlo d'Angiò, e al riscatto Volevansi diecimila fiorini (Vul. VII, 31). Questo Vigna aveva combattuto per il giovane Corradino. Assegnogli Carlo, dice l'ottimo, un breve ter mine a pagare o a morire. Quelli ne scrisse a M. Provenzano. Dicesi che 1 M. Provenzano fece porte uno desco, susovi uno tappeto, nel campo di Siena, e puosevisi suso a sedere in quello abito che richiedea la biso gna: domandava alli Senesi vergoguosamente che lo dovessono aiutare.. non sforzando alcuno ma umilemente domandando aiuto... sicche, anziche 'l termine spirasse, fu rtcomperato l'amico. Un chiosatore dice che il tremare intende che inducesse la della vergogna Un altro dice che il tremure si puote in lui allora dire, che stelle in abito di potere essere morto lievemente... da' nemici suoi. de' quali in Siena aveva allora copiosamente Un altro dice, che per trarre il detto amico di pena, elli mise se e'l Comune di Siena a molti pericoli; cioè che guatava d'a

vere prigione il maliscalco del detto re, o altro barone per camparlo, cioè per scambiarlo: per la qual cosa elli si mise a questa condizione: d'onde elli mort; ch'elli meno i senesi, e 'l Conte Guido Novello, e ti Ghibellini di Toscana, e la masnada tedesca e spagnuola à venire ad oste a Colle con millequattrocento cavalli e pedoni da oitomila, dicendo: noi commoveremo M. Gian Beroaldi maliscalco del re, e li Franceschi a subita battaglia, ed aremoli tutti presi. E, in contrario, venne, ch'elli vi fu sconfitto; e la sua testa portala in su un'asia di lancia, anno 1969. Dicesi, che, anzi venisse a questa sconfitta, elli si tolse da ogni superbia.

47. (L) So: so che parlo oscuro. Vicini: concittadini Fiorentini. Potrai saprai quanto costa chiedere, e quanio merito sia il farlo per fine degno. Opera di carità. Confini dell'Antipurgatorio.

(SL) Vicini. Per concittadino l'usa il Petrarci (Son. 474). Chiosarlo Tu proverai si come sa di sale Lo pane altrui Simile metafora scolastica nel XV dell'Inferno e nel XVII del Paradiso E' portava la scuola dietro a sè nell'esilio, e delle sventure faceva illustrazioni a' versi, e di questi a quelle.

(F) Confini Un alto magnanimo gli valse per penitenza agli occhi di Dio. Dan, IV, 94: I tuoi peccati con elemosiné riscatta, e le tue iniquità con misericordia a' poveri: forse perdonerà alle tue colpe.

Difficile tradurre, più difficile comentare, l'orazione insegnata da Cristo. La parafrasi non è indegna di Dante; ma è parafrasi Nè la consi

derazione seguente: Ben sì de' loro atar lavar le note Che portar quinci, vaggiunge bellezza. Ma bella, con quel non so che faticoso che ci si

sente, la pittura delle anime aggravate dalla soma della superbia antica Nella predica contro quel vizio, e contro sè stesso, forse alquanto avviluppati i versi che dicono dello scindere la carne da sè, e del lasciare il pappo e il dindi; senonché l' ultimo tratto d'astronomia tolemaica innalza il verso fin sopra le stelle, e gli fa di li aprire il volo all'eternità. L'accenno da ultimo alle gravezze del proprio esilio, non si sconviene che sappia d'enimma: che tale è il linguaggio de' vaticinii; e pare che l' infelice rifugga dal dire chiaro a sè stesso i proprii dolori.

La parlata del conte di Santa Fiora non è cosi notabile come quella del miniatore Oderigi. Al conte il Poeta non risponde parola; coll'artista ragiona umile e riverente In Inferno, quasi tutti uomini di governo e d'ar

mi: in Purgatorio artisti e scrittori ; in Paradiso solitarii e sacerdoti; ma, per servire alle ubbie ghibelliné, anche re e imperatori; con una meretrice, che si tranquilla lassù, e scinlilla Come raggio di sole in acqua mera, e come l'occhio dell'aquila imperiale In Inferno tormenti materiali che travagliano l'anima, orribili favelle, voci alte e fioche, strida e bestemmie, e strapazzi di dannati tra loro, e ironie di demonii; in Purgatorio, la pena del senso è vinta dal dolore delle memorie, e son pena insieme e espiazione le bellezze dell'arte, dico, le imagini scolpite, e le Voci per l'aria volanti, e i canti delle anime e degli spiriti angelici: in Paradiso la beatitudine si spiega in sorrisi di luce, e da anima ad anima si riflette e moltiplica in raggianti armonie.

UMILTA'.

Più di tre Canti consacra Dante nel Purgatorio alle lodi dell'umiltà e a' biasimi della superbia; egli che nell'Inferno in due Canti ritrae la pena della superbia iraconda, invida e accidiosa, e altrove a' superbi contro Dio serba parole e sensi di più forte sdegno (1). La voce di Cristo Beati pauperes spiritu, per la quale altri intende l'affetto alla povertà non forzata ma abbracciata di libera elezione, e che qualche scioccherello malamente faceto reca in ischerno del Cristianesimo come beatificante i corti di mente, il Poeta, con Ambrogio e Agostino (2), la intende degli umili, in quantochè, nota il comento di Pietro, coloro che nulla soverchiamente desiderano, rifiutano per sè anco parte dell'onore meritato, nonchè pretendere l'immeritato.

Imparate, dice Cristo, da me, che sono mile e umile di cuore (3); intendendo che l'umiltà sta nel cuore prima e più che negli atti, e che in essa è un principio d'umanità e civiltà, come nella superbia è barbarie e salvatichezza ferina. Superbia nuoce a carità (4). Carità, dice Paolo, non è ambiziosa (5); e Tommaso soggiunge: È ordine divino il sottomettersi gli uni agli altri. Anco i maggiori in apparenza di dignità a quei che sono in appa. renza minori. E così l'umiltà diventa regola morale che agguaglia le civili e intellettuali e corporee inuguaglianze. Così intendasi quel del Paradiso: Or di': Sarebbe it peggio Per l'uomo in terra s'e' non fosse cive? Si (rispos'io) E può egli esser, se giù non si vive Diversamente per diversi ufici ? (6). E di qui misurasi la profondità di quel detto della Somma (7): Giustizia senza umiltà, giustizia non è.

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Nell'umiltà, dice Tommaso, l'uomo raffrena l'impeto dell'animo suo, che non tenda inordinatamente a grandezza, ma abbia per norma la cognizione di sè, cioè non si stimi sopra quel che è ; e principio e radice d'umiltà è la riverenza dell'anima a Dio. L'umiltà riguarda principalmente la soggezione dell'uomo a Dio per il quale egli assoggetta sè ad altri umiliandosi. La ragione dunque ed il limite della soggezione, quel che ne toglie e la villa e la durezza, gli è l'essere nel nome di Dio, cioè conforme, non contraria alla legge di lui. Non è inconveniente che i beni di altre virtù ascrivansi all'umiltà, perchè siccome un vizio nasce da altro, così in ordine naturale l'atto di una virtù da quel d'altra procede.

(1) Inf., VII, VIII, XIV, XXV.

Serm. Dom.

Matth., XI, 29.

Som., 2, 2, 162.

Ad Corinth., I, XIII, 5.

(6) Par., VIII.

(7) 2, 2, 161.

Condizioni della vera umiltà sono dunque il sentimento della grandezza di Dio, e della propria debolezza, scompagnata dagli aiuti superni e de' fratelli con cui conviviamo; il distacco dalla propria opinione, quando non sia debito il propugnarla; il riconoscimento e, se bisogni, la confessione de' difetti proprii; il riconoscimento del bene in altrui, i segni esteriori che di- • mostrano animo non tendente a soverchiare altrui in modo ingiurioso o pure spiacevole senza pro (4). Vincesi la superbia si con la considerazione delle proprie infermità (2), secondo quel dell'Ecclesiastico: Di che insuperbisci tu, terra e cenere ? » (3); sì con la considerazione della grandezza divina, secondo quel di Giobbe: «Di che s'enfia (4) contro Dio il tuo spiri10? " (5); si con la considerazione dell'imperfetto dei beni, onde insuperbisce l'uomo, secondo quel d'Isaia: Ogni vita è erba, e ogni gloria di lei Quasi panno sudicio tutte nostre giu

29

• quasi fiorire d'erba » (6); e poi:

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La cognizione del proprio difetto appartiene a umiltà, come norma del desiderio. Umiltà indirizza e modera il desiderio; non istà nella cognizione sola (1). L'umiltà riguarda l'irascibile è parte di temperanza raffrena la speranza fugge le affettate singolarità: delle lodi proprie sinceramente, o arrossisce o si maraviglia (8). Non dobbiamo stimare altrui per finla, ma sinceramente credere che possa essere in altri un bene occullo a noi, e maggiore de' beni nostri (9). — Non è gran cosa che noi siamo umili verso coloro da chi riceviamo onore: che questo fanno anco gli uomini del secolo; ma verso quelli segnatamente dobbiamo essere umili da cui qualcosa di male soffriamo (10).

Ma perchè sempre la vera sapienza cristiana allontana ugualmente l'anima dai due eccessi, però appunto ella insegna che la falsa umiltà è grave superbia poichè tende a distinguersi e ad accattare gloria (44); che siccome est qui nequiler se humiliat (12), così c'è la cattiva allerezza e la buona (13); che taluni della stessa umiltà insuperbiscono (14).

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Può l'uomo senza falsità tenersi insufficiente a ogni bene di per sé, cioè Dobbiamo in quanto, come dice l'Apostolo, la sua sufficienza è da Dio (15). — riverire Dio e in lui stesso e ne' doni che di lui veggiamo negli uomini, non però in quel grado che è debito a Dio. Quel ch'è debito a Dio non è per umiltà falsa da offrire agli uomini. Il sottomettersi ad altrui potrebb'essere in danno del fratello, che quindi monterebbe in superbia e disprezze rebbe l'inopportunamente umiliato. L'uomo deve per umiltà sottoporre agli altri uomini quel che è in lui d'umano, non già i doni divini. — L'umiltà è da collocare nel vero e non nel falso (16). · Tendere a cose grandi per

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(8) Som., 2, 2, 161.

(9) Glos. in Fil., II.

(10) Greg. Reg., II. Purg., Xt: Lo mal ch'avem sofferto, Perdoniamo. (11) Aug., Ep. LIX.

(12) Eccli, XIX, 23. Però Dante: Buona umiltà (Terz. 40). (13) Hier. in Isai., LXI. (14) Som., 2, 2, 162. (15) Som., 2, 2, 161.

(16) Aug., de Nat, et Gr., XXXIV.

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