28. Lasciane andar per li tuo' sette regni: 29. Se d'esser mentovato laggiù degni. Marzia piacque tanto agli occhi miei Più muover non mi può, per quella legge Ortensio, il quale, di concordia con (F) [Occhi Judic., XIV, 3: Hanc mihi accipe, quia placuit oculis meis. Jer, XXVII, 5.,- XVIII, 4] 30. (L) Fiume: Acheronte. (SL) Regge. Muove dice il primo impulso; regge, l'ispirazione continua. - Mestier. In risposta a preghiera non dissimile, Ovidio (Met., IV): Non longis opus est ambagibus. · Lusinga, Sacrate lusinghe chiama un antico le preci miste di lode. 32. (L) Quindi: dal viso. Contrario di tinga. Stinga. (SL) Schietto. Inf., XIII: Non rami schietti, ma nodosi e'nvolti. 33. (L) Sorpriso: sorpreso. stro: Angelo. Mini (SL) Sorpriso. Lo dicono i Napoletani; e gli antichi Toscani: priso, miso, commiso. Primo Purg., IX, 1. 26. — Ministro. Psal. CII, 21: Ministri ejus, qui facitis voluntatem ejus. 34. (L) Isoletta, ov'è il monte. Imo: appiè (SL) Ad imo ad imo. Inf., XVII: A piede a pie della stagliata rocca. Batte. Buc., V: Percussa fluctu litora. Æn V: Tunditur... Fluctibus. Porta. Di piante, ferre, in Virgilio e in altri. Limo. Buc., I: Limoso. que palus obducat... junco, 35. (L) Seconda: cede. 36. Poscia, non sia di qua vostra reddita Senza parlare; e tutto mi ritrassi Al duca mio, e gli occhi a lui drizzai. 39. L'alba vinceva l'ôra mattutina, Che fuggía innanzi, sì che di lontano Com' uom che torna alla smarrita strada, 42. Ambo le mani in su l'erbetta, sparte, Quel color che l'inferno mi nascose. 44. Venimmò poi in sul lito diserto Che mai non vide navicar sue acque Uom che di ritornar sia poscià esperto. 45. Quivi mi cinse, si come altrui piacque. Oh maraviglia! chè qual egli scelse L'úmile pianta, cotal si rinacque Subitamente là onde la svelse. 45. (L) Lagrimose di penitenza. Color di sanità e di virtù. 44. (SL) Vide. En., VIII: Mirantur et undae... innare carinas. Georg., II: Casus abies visura marinos. 45. (L) Altrui : Catone. (SL) Maraviglia. Georg., 11: Mirabile dictu Truditur e sicco radix oleagina ligno. La seconda à non pochi pare delle tre Cantiche la più bella; certo è la più mile e serena; quella, dove l'ingegno e l'animo di Dante, tra le memorie, tuttavia fresche, della giovanezza, e le non appassite speranze, tra gl'impeti della fantasia e i riposi ardui della meditazione, si trovavano composti in più tranquilla armonia. Il contrapposto coll'Inferno, rehde il Purgatorio più bello: e quel dolce colore del cielo, quell'aura mattutina che fa splendere di lume tremulo le acque, quel giunco schietto che cinge l'isoletta, quella rugiada, e ogni cosa, sembrano come, dopo i rigori del verno, l'alito di primavera. E a me bellezza, delle più rare il verso: Noi andavam per la solingo piano. Il Poeta presago vuole a ogni modo popolati gli antipodi, e ivi colloca il regno della speranza. Facendo col Salmo cantare alle anime liberate in exitu Israel, egli non prevedeva che ai perseguitati d'Europa sarebbe rifugio ci libertà quella terra, e poi pido di schiavitù disumana; quella terra che avrebbe, due secoli dopo scoperta, il discendente di quegli uomini i quali e' voleva spérsí dal mon dos e il re di Spagna in colesto servi fedelmente l'esule fiorentino. Per quanto s'aguzzi l'ingegno a scoprire un simbolo in Catone suicida e in Marzia sua moglie; il concetto non lascia d'essere strano. Ma almeno è prova ch'egli era uomo da riconoscere una qualche virtù anco nei nemici di Cesare e di sua parte. E il cenno di Marsia, cenno che rammenta la preghiera in cui Beatrice promelte a Virgilio di lodarsi a Dio di lui in grazia dell'aiuto da porgere a Dante; quel cenno ba bellezza morale, perchè tocca gli affetti domestici, di cui, più che le altre, questa Cantica è consolata. Le parlate di Catone e di Virgillo, lunghe oltre al solito; ma la seconda ha per iscusa Paffetto. Altre bellezze morali sono l'imagine del vecchio amabilmente dipinta; e i tre atti d'umiltà a cui l'altero Poeta s'inchina: l'inginocchiarsi a Calone, il porgere le guance lagrimose a Virgilio che gliele terga, il cingersi della cedevole pianta la fronte, egli che si farà dire fra poco Sta come torre. Nell'entrare dell'Inferno, il Poeta assomiglia se a chi, uscito com lena affannata dalla tempesta de' flutti alla riva, si volge all'acqua del pericolo e guata: poi assomiglia il primo cerchio dell' Inferno al mare che mugghia per tempesta, e la vita mutata, a navigante che cala le vele e raccoglie le sarte. Qui la navicella del suo ingegno alza le vele per correre acque migliori, che le crudeli varcate già. E nel Paradiso, del suo canto dice con meno eleganza: Non è poleggio da picciola barca Quel che fendendo va l'ardita prora Nè da nocchier ch'a se medesmo parca (1). E nel principio del Canto secondo si dilata questa imagine in ben sei terzine contro il solito del Poeta: ma pure essa non è cosi rettoricamente lavorata come nel seguente passo del Convivio, il quale dimostra quanto più difficile sia del verso la prosa virile, e come l'affettare gli ornamenti poetici sia pericoloso alla prosa: Lo tempo chiama e dimanda la mia nave uscire di porto pers che, dirizzato l'artimone della ragione all'ora del mio desiderio, entro in pelago con isperanza di dolce cammino, e di salutevole porto e laudabile. La miglior acqua e canterò è la poesia risurga rammenta quel dí Virgilio (2) Sicelides Musae, paulo majora canamus; e l'altro (3): Nunc, veneranda Pales, magno nunc ore sonandum; che è più parco di quello di Stazio (4): Non mihi jam solito vatum de more canendum; Major ab Aoniis sumenda audacia lucis. Mecum omnes audete Deae. Ma il risurgere e il surga ancor più direttamente rammentano quel de' Salmi: Cantabo, et psalmum dicam. Exsurge gloria mea, exsurge, psalterium et cithara, exsurgam diluculo (5); nel qual medesimo salmo e' trovava forse, al proposito del suo viaggio: Mandò dal cielo è mi libero (6); abbandonò a obbrobrio que' che mi conculcavano (7). Mundò Iddio la sua misericordia e la sua verità (8); e' trasse l'anima mia di mezzo a' leoncelli (9). Dormii conturbato. I figliuoli degli uomini, i loro denti armi e saette, e la lingua spada acuta (10). A queste parole del salmo cinquantesimo sesto altre ne (1) Par., XXIII. (2) Buc., IV. (3) Georg., III. (4) Theb., X. (5) Psal. LVI, 8, 9. (6) Inf., II: Donna è gentil nel ciel, che si compiange Di questo impedimento ov'io ti mando ; Si che duro giudieio lassù frange. (7) In questo Canto, t. 4: Con quel suono Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal, che disperar perdono. (8) Forse in Beatrice la misericordia e la grazia; la luce del vero in Lucia. (9) Inf., I, XXVII; Par., VI. aggiunge il censettesimo, a cui sarà corso il pensiero di Dante: Sopra tutta la terra la gloria tua acciocchè i tuoi diletti siano_liberati.... Chi condurrà me nella città munita ?.... Non tu forse, o Dio, tu che ci avevi respinti? (1) Così quella libertà di cui tocca Virgilio a Catone, intesa in senso e morale e civile e religioso, acquista la debita ampiezza. Egli invoca Calliope (2), che Ovidio dice la prima nel coro delle Muse (3), e altrove la massima (4), e dice che nel certame con le Piche fu essa che per tutte l'altre cantò e vinse: Calliope quaerulas praetentat pollice chordas (5). Nè il quaerulas sarà sfuggito al Poeta, che in questa Cantica segnatamente si compiace in pensieri méstamente pietosi. Calliope in Orazio (6) è detta rezina, ma non per la ragione che Esiodo la dice seguire i re; le quali parole di per sè sole segnano distanza che corre tra Esiodo e le più antiche, cioè le più poetiche, parti de' poemi d'Omero. Ma in questa invocazione non avra Dante dimenticato quel di Virgilio (7): Vos, o Calliope, precor, adspirate canenti; dove in una musa son tutte, e la sconcordanza é bellezza, e spiega l'intima ragione perchè dal tu siano le lingue moderne passate al voi. Qui Calliope, altrove (8) Clio è nominata a modo di citazione forse perchè invocata anche da Stazio; altrove Dante in nome suo proprio invoca Urania in cima al monte sacro (9) già prossimo al cielo; ma giunto in Paradiso, nuove Muse mi dimostran l'Orse (10); dacché quelle Donne che ajutâro Anfione a chiuder Tebe (11), più non fanno per esso. E, volato più su nella gloria, per modo d'esclusione egli nomina Polinnia, quași la musa di tutti gl'inni delle umane religioni, per dire che quante lingue cantassero nutrite da lei e dall'altre sorelle, non giungerebbero al millesimo del vero cantando la bellezza della sua Beatrice (12). Altri nomi di muse Dante non ha, ch' io rammenti; ma leggendo nell' egloga sesta nominata Talia, musa della commedia, da Virgilio, che non è punto comico, si sarà Dante pensato, o confermatosi nel pensiero, di chiamare commedia la sua. Del qual titolo è altresì ragione la forma, drammatica in gran parte, del sacro poema, a similitudine delle rappresentazioni sacre che facevansi fin nelle chiese. E la lettera a Cane prova ch'egli aveva anco la mente all'origine greca attribuita alla parola, da borgo, intendendo che la sua poesia dovess'essere popolare (13). Il principio di questo Canto ci fa ben certi che Dante conosceva d'Orazio non sole le satire ma le odi altresi. Nell'ode che invoca Calliope sono i versi: Vester Camoenae, vester in arduos Tollor Sabinos (14), a che corrisponde: O sante Muse, poi che vostro sono (15) Se non che più rettorica al solito in Orazio l'andatura, e le amplificazioni abbondano in quello stile che pare a taluni si parco. 11 longum melos è già una minaccia; poi vengono dopo la tibia, fidibus citharave Phoebi; poi l'amabilis insania che lo fa pios errare per lucos, (1) Psal. CVII, 6, 7, 11, 12. (2) In Virgilio (Buc., IV), detta Calliopea, ed in Ovidio. (3) Fast., V. (4) Met., V. (5) Ivi. (6) Carm., III, 4. (7) En., IX. (8) Purg., XXII, t. 20. (9) Purg., XXIX, t. 14. (10) Par., II. (13) Nella lettera a Canc egli nota che Tragedia è poema con esito tristo, Commedia con lieto: ma questa non sarebbe stata ragione a così intitolare il suo, senza le altre accennate. (14) Hor., Carm., III, 4. (15) Terz. 3. |