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19. Era intagliato lì nel marmo stesso

Lo carro, e i buoi traendo l'arca santa;
Perchè si teme ufficio non commesso.
20. Dinnanzi parea gente; e, tutta quanta
Partita in sette cori, a' duo miei sensi
Facea dicer, l'un, No, l'altro Si, canta.
21. Similemente al fummo degli incensi,
Che v'era imaginato, e gli occhi e 'l naso
E al Si e al No discordi fènsi.

22. Lì precedeva al benedetto vaso,

Trescando alzato, l'umile Salmista;
E più e men che re era in quel caso.

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(SL) Traendo Per traentt. Nelie Rime: D'esto cuore ardendo, per ardente. - Arca Quando Davide, secondo l'umanità antenato di Cristo, la trasportò da Cariatiarim a Gerusalemme. Reg, II, VI, 3. — Ufficio. Oza toccò l'arca e mori Reg, 11, V1 7. 20 (L) Paren: appariva. - Partita; divisa L'un l'udire. L'altro: il vedere

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(F) Sette Reg., 11, VI. L'Ottimo traduce: Ragunò David tunti gli eletti d'Israel trentamila, e con loro andò per rimenare l'Arca di Dio. E puosero l'Arca di Dio sopra' carro nuovo.. Il Re David e tutto Isdrael sollazzavan dinanzi in tutti strumenti lavorați, în cetere, chitarre, tamburi, cembali e sistri Epoich'elli pervennero all' Arca, Oza stese la mano all'Arca di Dio, e trassela, perche li buoi recalcitravano, ed inchinavano quella. Iddio indegnato è contra Oza, e percosse quello il quale è morto ivi allato all'Arca. E temente David il Signore quello di, dicendo: Come entrerà a me l'Arca di Dio ? E non volle volgere l'Arca del Signore nella città di David, ma la fece ridurre in casa di Obededom Ghillen; e stette l'Arca del Signore in quella casa di Obededom Ghilleo tre mesi... E disse David: 10 andrò e rimenerò l'Arca con la benedizione della casa mia... Ed erano con David sette cori. E David toccava gli organi, e saltava con tutte le forze dinanzi al Signore. David aveva alzato

Ed

un Ephod di lino. E David e tutta la
casa d'Isdrael conducevano l'Arca
del testamento del Signore in contare
ed in suono di tromba E conciofos-.
secosaché l'srca del Signore fosse
entrata nella cità di David, Micol
figliuola di Saul riguardo per la fine.
sira, vide David re cantando.. e bal-
lante innanzi al Signore, e dispre-
giollo nel cuore suo. E tornossi Da-
vid per benedicere la casa sua
uscita Micel figliuola di Saul incontro
a David, diss: oh come fu oggi glo-
rioso il re d'Isdrael, discoprendosi
alle serve de servi suoi Disse Da-
vid a Micol se Dro m'ajun riva il
Signore, ch'io sollazzeró dinanzi al
Signore, il quale e esse me in re.... e
comandomm ch' io fossi duca sopra
il popolo di Dio di Isdrael to gio-
chero e farommi più vile ch'io non
sono fatto, e sarò'umile e basso negli
occhi miei; e parrò glorioso con quelle
ancelle delle quali tu hai parlato.
21 (L) Fensi: si fecero. Pareva fumo,
non si sentiva l'odore.

(SL) Fènsi. Par., VII, terz, ul-
tima
22 (L) Vaso: arca. - Trescando: bal-
lando Alzato; succinto le vesti.
Più, a Dio - Men, ai superbi.

-

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(SL) Alzato. Le parole recate del'Ottimo ce lo fanno interpretare succinto non, levate in aria ballando. Più Men che re in sembiaste, e più in dignità Caso Forma comune alle scuole: In aliis casibus Ma Dante è più che porta in certi casi, perchè non teme parere men che porta e balla succinto; e la principessa Micol, dicó la pedanteria, sbuffa dalla fi nestra.

1

23. Di contra effigïata, ad una vista

D'un gran palazzo, Micol ammirava
Si come donna dispettosa e trista.
24. Io mossi i piè del loco dov'io stava,
Per avvisar da presso un'altra storia
Che diretro a Micól mi biancheggiava.
25. Quivi era storïata l'alta gloria

Del roman prence, lo cui gran valore
Mosse Gregorio alla sua gran vittoria:
26. I' dico di Traiano imperadore:

E una vedovella gli era al freno,
Di lagrime atteggiata e di dolore.
27. Dintorno a lui parea calcato e pieno
Di cavalieri e le aguglie nell'oro

Sovr' esso in vista al vento si moviéno.
28. La miserella, intra tutti costoro,

Parea dicer:

Signor, fammi ven letta

Del mio figliuol ch'è morto: ond' io m'accoro;

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Tanto ch'io torni. E quella:

Signor mio (Come persona in cui dolor s'affretta),

30. Se tu non torni? Ed ei:

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Chi fia dov' io,

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A te che fia, se 'l tuo metti in obblio?
31. Ond' egli: Or ti conforta; chè conviene
Ch'io solva il mio dovere anzi ch'i' muova:
Giustizia vuole, e pietà mi ritiene.

23. (L) Vista: finestra.

(SL) Vista: Inf., X, t. 18. 24. (L) Avrisar: Osservare, 93. (1) Vittoria: a trarlo d'Inferno.

(F) Vittoria. Quelle della misericordia sono le più grandi e care vit. torie di Dio, e quindi degli uomini. Par.. XX: Vince lei, perchè vuole esser vinia. Gran: ipetuto qui, non Č zeppa.

26. (L) Freno del cavallo. 27. (L) Aguglie: aquile. parevano moversi.

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Vista:

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32. Colui che mai non vide cosa nuova,
Produsse esto visibile parlare,

Novello a noi perchè qui non si trova.
33. Mentr'io mi dilettava di guardare
Le imagini di tante umilitadi,

34.

E, per lo Fabbro loro, a veder care;
Ecco di qua, ma fanno i passi radi
(Mormorava 'l poeta), molte genti:
Questi ne inviïeranno agli alti gradi.
35. Gli occhi miei, che a mirar erano intenti
Per veder novitati, onde son vaghi,
Volgendosi vêr lui non furon lenti.
36. Non vo', però, lettor, che tu ti smaghi
Di buon proponimento, per udire

Come Dio vuol che 'l debito si paghi.
37. Non attender la forma del martire:

Pensa la succession; pensa che, a peggio,
Oltre la gran sentenzia non può ire.

38. Io cominciai:

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Maestro, quel ch'io veggio
Mover vêr noi, non mi sembran persone;
E non so che: sì nel veder vaneggio.

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(SL) Dilettava. En., VIII: Talia, per Clypeum Vulcani, dona parentis, Miratur rerumque ignarus imagine gaudet, Attollens humero famamque et fata nepotum. Umilitadi. Vite ss. Padri. Plurale come nei XXXI del Paradiso Atti ornati di tutte onestadi. Nell'umiltà si compiace tanto, anco perchè questa era virtù principale della sua donna. Lo dice sovente nelle Rime.

34. (L) Radi: lenti. Gradi: mostreran la salita.

35. (F) Novitati. Greg. Mor., XXXI: Praesumptio novitatum est filia inanis gloriae. Ma qui denota l'amore di novità buona e bella; e si contrappone alla cosa nuova di sopra. 36. (L) Smaghi: stolgacolpa s'espii.

Paghi: la

(SL) Smaghi: Bocc.: La quale (onestà) non che i ragionamenti sol

lazzevoli, ma il terrore della morte non credo che potesse smagare.

(F) Debito. Som.: La reità è il debilo della pena, onde chi sostiene la pena che doveva, assolvesi del rea10. Paghi Non tanto al lettore volge l'avvertimento, quanto a sè stesso, pensando che, come non libero da superbia, anch'egli dovrà sotto quella soma curvarsi. Vědi in Gregorio (Dial., IV. 39) descritto un Purgatorio. 37. (L) Attender: pensare. Succession: la celeste gloria che succede. Ire: alla peggio, la pena finirà il di del giudizio.

(SL) Non. Ovid. Met., X: Nec credite factum: Vel, si credetis, facti quoque credite poenam.

(F) Gran. Inf., VI, t. 35: La gran sentenza. Matth., XXV, 34, 44: Venite benedicti... Discedite a me maledicti.

38. (SL) Vaneggio. Chi nel vedere e nel giudicare non coglie nel pieno del vero, då nel vano. Par., II: Sopra il vero.. lo piè non fida, Ma te rivolve... a vuoto Propria la voce, qui dove trattasi della pena de' superbi, dalla vanità loro tramutati quasi fuor della forma umana.

39. Ed egli a me:

La grave condizione
Di lor tormento a terra gli rannicchia,
Si che i mie' occhi pria n'ebber tencione.
40. Ma guarda fiso là, e disviticchia

Col viso quel che vien sotto a quei sassi:
Già scorger puoi come ciascun si picchia. -
41. Oh superbi Cristian', miseri lassi,

Che, della vista della mente infermi,
Fidanza avete ne' ritrosi passi!

42. Non v'accorgete voi che noi siam vermi
Nati a formar l'angelica farfalla

Che vola alla giustizia senza schermi?
43. Di che l'animo vostro in alto galla,
Poi siete quasi entomata in difetto,
Si come verme in cui formazion falla?
44. Come, per sostentar solaio o tetto,
Por mensola, talvolta una figura

Si vede giunger le ginocchia al pette,
45. La qual fa del non ver vera raneura
Nascere a chi la vede; così fatti
Vid' io color, quando posi ben cura.

59. (L) Tencione: dubbio.

(SL) Tencione. In Semintendi. 11 dubbio è battaglia.

(F) Terra. Pietro cita il Salmo CIX, 6: Conquassabit capita in terra multorum.

40. (SL) Disviticchia. Hor. Sat., II, 5: Limis rapias Ma disviticchiare è più potente qui, dove trattasi di sciorre col discernimento degli occhi il nodo che fa la superbia a sè stessa.

(F) Sollo. Matth., XXIII, 42; Luc., XIV, 11: Qut se exaltai, humiliabitur. 41.(L) Passi: credete avanzare e retrocedete per la viltà dell'orgoglio.

(SL) Lassi: Inf., XXXII, t. 7; Fratei miseri lassi Petr.: Ite, superbi e miseri Cristiani. Qui il miseris mortalibus di Virgilio (Georg., III; Æn., XI) ha tutto il suo valore pietoso che nel linguaggio della scuola perdė, fatto riempitivo inutile.

42. (L) Vermi. Metafora del bozzolo. Farfalla: l'anima che dev' essere giudicata Schermi a sua colpa. (SL) Vermi. Psal., XXI, 7: Ego autem sum vermis, et non homo. Negli antichi monumenti per rappresentare l'anima non solo s'incontra

una fanciulla alata, ma sovente la stessa farfalla (Buonarroti, Osservazioni sopra alcuni frammenti di vasi).

Schermi. Par., XXIX, t. 26: Da cui nulla si nasconde. Petr.; Non so fare schermi, Di lochi tenebrosi o d'ore larde.

(F) Schermi. [C.] Job, IX, 13: Deus, cujus irae nemo resistere potest, et sub quo curvantur qui portant orbem. 43 (L) Galla: galleggia, insuperbisce leggero. Poi: poichè. Entomata: insetti imperfetti. Falla: informe.

(SL) Galla. Appropriato alla leg. gerezza degli uomini vani: e si conviene con l'imagine del bozzolo. Entomata. Arist., de An., II.-Entoma, nota i Salvini, doveva dire. Entomati usò il Redi, e nel Dufresne troviamo entoma, entomatis. Verme. Due volte il verme, e non a caso.

-

44. (F) Ginocchia. Mich., 11, 3: Non auferetis colla vestra, et non ambulabitis superbi.

45. (L) Rancura: mal essere,

(SL) Rancura. Inf., XXVII. t. 43: Rancurarsi per dolersi.

46. Vero è che più e meno eran contratti,
Secondo ch'avean più e meno addosso.
E qual più pazïenzia avea negli atti,
Piangendo parea dicer: « Più non posso. »

16. (L) Avean: peso. -- Qual: chi.

Pazienzia: più soffriva.

Sonando la sentii esser richiusa, in sola una parola ha più poesia che il ruggire che sentimmo della porta nell'altro Canto, con gli spigoli distorti di metallo sonanti e forti. Poetico nel primo Canto del Purgatorio gli è il verso: Noi andavam per lo lito deserto, che rammenta quet del'Inade nel primo: poetico ma men felice nella locuzione), quando il Poeta si desta non lontano dalla porta sacra: E il viso m era alla maria torto; che rammenta il Senofonteo; il mare il mare poetico anche qui: incerti Di nostra via, ristemmo su un piano Solingo più che strade per diserti Tutto che, a ir proprio, Il deserto non abbia strada; questa parola trasporta il pensiero mesto e inorridito a que' tempi che l'Italia, desolata da aŭtica e da recente barbarie, conservava tuttavia qua e là tracce della civiltà prisca magnifica, e potevansi vedere non vie, ma strade veramente, per lungo tratto di luoghi disabitati, fatte dalla stessa soJitudine paurose.

Le locuzioni Il lato che si parte, aver manco diritto di salita, e poché altre tali, fanno per il contrapposto più notabile la precisione e l'evidenża di molte altre più; cosi come il troppo fermarsi a rappresentare la illusione che a' sensi veniva dalla vivezza delle imagini scolpite nel masso (l'un, no, l'altro, sì, canta gli occhi e il naso E al si e al no discordi fènsi), aggiunge pregio alla pittura dell'Annunziata, e allo schietto colloquio tra l'imperatore e la povera vedovella. Non già ch'anco in quella pittura l'angelo che viene col decreto, e quella che volge la chiave ad aurir l'alto amore, siano modi da pareggiare il resto in bellezza. Io non ammiro non pur Policreto, Ma la Natura gli averebbe scorno; ma da questa memoria dello scultore greco, Storpiato del nome, e che Dante non poteva conoscere se non da'libri, arguisco quanto l'antica civiltà incutesse ammirazione di sè in quegl'ingegni che sentivano con dolore e vergogna la ruvidezza del secolo e la tirannide della barbarie; come l' e

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rudizione prepotentemente s'intrudesse nell'arte; come, nella modestia che sempre é compagna alla vera grandezza, quegli uomini non s' accorgessero de'vantaggi che l'età foro misera aveva pure sopra i secoli antichi, vantaggi derivati e dalla verità cristiana, e dalla esperienza de' secoli, e dalle stesse loro alfaunuse umitazioni, e dal non essere cresciuti ligi all'imitazione degli antenati, la quale è spesso gravosissima eredità. Oude non è maraviglia che ingegni e animi meno forti e men sani di quello di Dante, seguatamente ne'secoli che succedettero al suo, dell'ammirazione all'antico facessero a sè, peggio che giogo, corruttela, e per essa rinnegassero le ispirazioni della fede, e quelle dell'anina propria.

Net ripensare i concetti degli artisti grandi, conviene la meditazione fecondare colla imaginazione, come essi facevano. Chi s'arresta a queste sole tre sculture da Dinte intagliate nel Canto, non apprezzerà la bellezza neanco di queste tre, come chi tutta quanta la parete, giro giro, del monte, e il suolo di sotto, vede, come Dante lo fa, popolato d'imagini belle, ragionanti all'occhio dell' anima l'umiltà coronata e la superbia concutcala. E noterà il senso retto ch'egli aveva eziandio dell'arte visibile, chi ponga mente al modo ćorn'egli descrivendo giudica la penosa attitudine di quelle figure che l'architettura colloca a reggere sulle spalle una mole soprastante, che fanno nascere in chi le vede pena vera del loro disagio non vero. E chi rammenti che in quell'atto intendevasi di collocare gli schiavi, la razza sog. giogata; e che tutta l'antica società (alla moderna io non oso accennare) fonda il superbo edifizio suo sulle spalle d'una società che, depressa, la sostenta gemendo, e che pur col piegare sotto il suo peso, farebbe tutto l'edifizio rovinare; ammirerå in questa similitudine, con si semplici parole detta, un raggio di filosofia della storia, un ammaestramento ispirato.

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