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rebbe supporre per la seconda terzina di questo canto; 4.° per lo spuntare della luna in tal sera al Purgatorio quasi a tre ore di notte, preceduta all'orizzonte dalle brillanti stelle dello Scorpione. Vedasi l'opuscolo « Sulle dottrine astronomiche della Divina Commedia. »

• Di gemme la sua fronte era lucente.» (T. 2.)

La luna che (giusta l'ipotesi mentovata) trovavasi ancora in bella fase, perchè non bene erano scorsi quattro giorni dopo il plenilunio, illanguidiva col suo splendore la parvenza delle minori stelle dello Scorpione; e spiccavano così le più brillanti di quella costellazione, disposte in guisa da formare una linea serpeggiante, e perciò da rendere l'imagine di una serpe, che è il freddo animale che se morde. co' denti, con la coda percuote la gente. Queste stelle, comprese nel primo, secondo e terz' ordine di grandezza apparente, rimanevano poi in tal posizione rispetto alla luna, che sull'orizzonte del Poeta dove. vano appunto coronare la fronte.

E la Notte, de' passi con che sale. » (T. 3.)

Affinchè non si sbagliasse intorno alla natura del fenomeno celeste, -ci determina il tempo. Introduce la notte personificata che passeggia, e distingue i passi con che sale, e quelli co' quali discende; cioè le prime ore con cui va fino al colmo, e le rimanenti, con le qaali si ritira ad occidente, per dar luogo all'alba del di in oriente. Intendendo qui con la comune degli espositori che i passi della notte siano le ore di sessanta minuti, torna bene la indicazione del tempo col fenomeno dell' aurora lunare; perchè la notte, nel luogo ov' era il Poeta, incominciava alle sei e la luna vi sorgeva un po' prima delle nove ore: dunque all' imbiancarsi di quell' aurora la notte aveva fatto due de' passi con che sale, e il terzo chinava giù l'ali, cloé la terza ora non era trascorsa.

« Nell' ora che comincia i tristi lai.» (T. 5.)

Poco innanzi lo spuntare del sole, quando l'aurora ha già preso il colore che le dà il nome; perciocchè non è facile udire il canto delle rondini prima che sia giorno chiaro.

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E me rapisse suso infino al fuoco. » (T. 10.)

Alludesi alla sfera del fuoco, al di sopra dell' atmosfera di che abbiamo parlato sul principio di questa Cantica.

Mi si conceda qui un'osservazione piscologica, perchè mi sembra onorevolissima pel nostro Filosofo. Dice che, giunto a quel soggiorno del calorico, parevagli di ardere insieme coll' aquila; e che quell'incendio, sebbene imaginario, lo cosse talmente, che gli ruppe il sonno. Poi dice che Lucia si mosse quando il di fu chiaro, cioè a sole nascente, e che fu lasciato esso Pueta da lei nella posizione di chi riguarda il levante. In quel trasferimento era dunque il Poeta nostro percosso dai raggi solari, e specialmente nella faccia; almeno quando la potenza calorifera di quelli era maggiore: per conseguenza eravi un fatto esterno reale, da cui nel dormente eccitavasi un senso di gran calore. Pare dunque che il nostro esimio Cantore si fosse accorto del fatto, che le impressioni esteriori, da cui siamo affetti mentre si dorme, intervengano a comporre le imaginazioni del sogno, rendendoci cosi ragione della stravaganza dei sogni stessi, e della loro discontinuità.

« E il sole er' alto già più che due ore. (T. 15.)

La sorpresa dello svegliarsi a ora cosi tarda, conferma la bontà dell' interpretazione quanto all'ora in cui si addormentava il Poeta; perchè, se ciò fosse avvenuto sull' aurora solare, la maraviglia aveva meno ragione. Cosi oltre allo stupire del luogo mutato, stupisce del tempo trascorso. In quanto poi ammira di trovarsi in prospetto della marina, cioè diretto verso il levante, perchè con un girar d'occhio aveva visto il sole alto piu di due ore, ci dice che la valle fiorita, ove fu vinto dal sonno, era volta diversamente, e crederei tra mezzogiorno e ponente. Infatti, quando da essa il Poeta guardava su in cielo, ove le stelle son più tarde, aveva il polo scoperto, e le tre facelle erano tra il meridiano e l'occidente: per conseguente il fianco o la ripa che avevano girato, e sopra un balzo della quale avevano veduto le anime assise sull' erbe e sui flori, impediva loro la vista dell'oriente e della porzione di cielo ov' erano allora le quattro stelle contemplate nella mattina; tanto più che appena tre passi bisognarono a scendere, e quindi erano molto vicini alla detta ripa. Così verremmo a vedere, che Sordello fu scorto a sinistra de' Poeti che salivano: e siccome é naturale che egli volgesse le spalle alla montagna, e tenesse perciò la faccia rivolta allo spazioso orizzonte che da quell' altura si dominava; quand' egli dice che la valletta del riposo è a destra, i nostri viaggiatori dovettero continuare il cammino a sinistra per ricovrarvisi. Tale orientamento soddisfa a tutte queste circostanze.

« Dianzi, nell'alba che precede al giorno. » (T. 18.)

Distingue più di un'alba, poichè determina di quale adesso intende parlare; di quella dunque di quando s'addormentò era un'alba diversa, cioè non la solare: dunque era quella della luna, non essendovene altre dopo queste.

CANTO X.

ARGOMENTO.

Entrano nel primo cerchio ch'è de' superbi: vedono esempi d'umiltà scolpiti nel masso: e i superbi, curvi sotto gran sassi, son forzati a contemplare quegli esempi, e a domare l'antico orgoglio.

Dante che si confessa superbo, contro se medesimo predica in questo Canto; dove le imagini son trattate con amore, e le scolture veramente scolpite. Le imitazioni virgiliane cominciano a diradare: si fa più sacro il Canto, e più puro. Gli esempi son tratti dal nuovo e dal vecchio Testamento, e da una pia tradizione de' secoli bassi: una donna, e due re. Il Ghibellino insegna ai re l'umiltà; dimostra venuta dall'umiltà la pace del mondo.

Nota le terzine 2 alla 9; 14 alla 16; 18; 20 alla 24; 26 alla 29; 31 alla 35; 37; 40 alla fine.

1.

Poi fummo dentro al soglio della porta

Che il mal amor dell' anime disusa,
Perchè fa parer dritta la via torta;

2. Sonando la sentii esser richiusa.

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E s'io avessi gli occhi vôlti ad essa
Qual fora stata al fallo degna scusa?
3. Noi salivam per una pietra fessa,

Che si moveva d'una e d'altra parte,
Si come l'onda che fugge e s'appressa.

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4. Qui si convien usare un poco d'arte
(Cominciò 'l duca mio) in accostarsi,

Or quinci or quindi, al lato che si parte. -
5. E ciò fece li nostri passi scarsi

Tanto, che pria lo scemo della luna

Rigiunse al letto suo per ricorcarsi,
6. Che noi fossimo fuor di quella cruna.
Ma quando fummo liberi e aperti
Là dove 'l monte indietro si rauná;
7. Ïo stancato, e amendue incerti

Di nostra via, ristemmo su un piano
Solingo più che strade per diserti.
8. Dalla sua sponda, ove confina il vano,
Al piè dell'alta ripa che pur sale,
Misurrebbe in tre volte un corpo umano.
9. E, quanto l'occhio mio potea trar d'ale
Or dal sinistro e or dal destro fianco,
Questa cornice mi parea cotale.
10. Lassù non eran mossi i piè nostri anco,
Quand' io conobbi, quella ripa intorno,
Che dritto di salita aveva manco "

(SL) Moveva. Inf., XVIII: Da imo della roccia, scogli Moven, che ricidean gli argini. Figura simile in Virgilio. En., 1: Refugitque a littore templum. Onda. Cosi diciamo ondeggiamenti, e alla francese ondulazioni, del suolo, le non grandi inuguaglianze.

(F) Salivam. Som: Superbia respicit arduum. Onde il salire arduo è qui anche dato per ispeciale pena.

4. (L) Si parte: svolta.

(SL) Parte, Non dell' usata evidenza.

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(F) Parte. Olt.: Secondo che il sasso cade, si vuole prendere il cammino. L'umillade è opposita della superbia, e però questo seguire in accostarsi -non è altro che essere umile. Scemo: la 5. (L) Scarsi: piccoli luna scema -- Ricorcarsi: sparire di lì. (SL) Scarsi. Purg, XX, l. 6: Passi lenti e scarsi. - Inf., Vill, L. 39: rari.

(F) Rigiunse. A ponente. La sesta ora del giorno. Scema la luna perchè jontana due segni dal tempo di sua pienezzá. Era piena quando il Poeta entrò nella selva (Inf., XX). Siam dunque al giorno quinto del plenilunio:

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11. Esser di marmo candido, e adorno
D' intagli sì che non pur Policreto

Ma la Natura gli averebbe scorno.

12. L'Angel che venne in terra col decreto
Della molt'anni lagrimata pace,
Ch'aperse 'I ciel dal suo lungo divieto,
13. Dinnanzi a noi pareva sì verace,
Quivi intagliato in un atto soave,
Che non sembiava imagine che tace.
14. Giurato si saria ch'e' dicesse Ave:
Perchè quivi era imaginata Quella
Che ad aprir l'alto amor volse la chiave.
15. Ed avea in atto impressa esta favella:
Ecce ancilla Dei, si propriamente,
Come figura in cera si suggella.

16.

Non tener pure ad un luogo la mente,
Disse il dolce maestro, che m'avea

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Da quella parte onde 'l cuore ha la gente.
17. Per ch' io mi mossi col viso; e vedea,
Diretro da Maria, per quella costa

Onde m'era colui che mi movea,
18. Un'altra storia, nella roccia, imposta:
Per ch'io varcai Virgilio, e fêmmi-presso,
Acciocchè fosse agli occhi miei disposta.

me avere manco di fortezza. Meno in senso di negazione usasi tuttavia in certi casi. Ma qui il modo è contorlo.

44. (L) Gli: vi. - Scorno: sarebbe vinta.

(SL) Policreto. Per Policlelo. Idiotismo toscano perchè più facile a protferire. Fu di Sicione. Lo nomina Cicerone (Rhet., II), e Valerio Massimo lo loda per le imagini sue degli Dei. Gli. Purg., XIII, l. 3.

42. (L) L'Angel Gabriello. — Lagrimala: implorata. Divieto: dopo la colpa d'Adamo.

(SL) Della. Trasposizione bella e chiara qui, non come nell'invito a Lesbia: Delle di Tisbe, d' infelici amori Memori, foglie. - Lagrimata. Passivo come Virg., XI: Membra defleta, Dal. Virgilio, in senso di dopo: Ex illo; ma qui significa anche di più.

-

(F) L'Angel. Esempi d'umiltà

atti a sviare dal vizio contrario. Yenne. Luc., 1, 26: Missus est angelus,.. Aperse. Som.: Per il sangue della passione di Gesù è aperta a noi l'entrata del regno de' cieli.

13. (L) Sembiava; sembrava. 14. (L) Imaginata: effigiata. - Quella: Maria.

(SL) Imaginata: Bel senso che più non vive nell'uso.

45. (L) Esta: questa.

(F) Ancilla. Luc., I, 48, 51, 52: Respexit humilitatem ancillae suae... Dispersit superbos mente cordis sui. Deposuit potentes de sede, el exaltavit humiles.

16. (L) Pure: solo. manca.

mal.

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Da... da (F) Cuore: Arist., de Part. ani

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47. (L) Diretro: a diritta. Colui: Virgilio.

18. (L) Imposta in rilievo. Var

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