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per via d'umana dottrina; è quasi l'anello tra Virgilio scienza meramente umana, e Beatrice sapienza divina. E infatti la donna genţile, Maria, imagine della clemenza superna, manda Lucia, la scienza superna, ad aiutare il Poeta fedele suo, il teologo Dante, come l'epitafio lo chiama. Lucia nemica d'ogni crudele (perchè la scienza altissima volge gli animi a civiltà e a mansueludine), raccomanda il poeta a Beatrice, la somma sapienza, la quale siede con Rachele, la contemplazione dell'altissimo vero. Dunque Virgilio, Lucia, Beatrice sono i tre gradi dell'umano sapere: puramente umano, umano e divino, rivelato. Il primo lo conduce per l'Inferno; il secondo lo mette alle porte del Purgatorio; il terzo lo fa spaziare ne' cieli. Il primo gl'insegna la pena del male; il secondo gliene dà pentimento e glienė mostra il rimedio; solo il terzo lo innamora ed illustra del bene supremo. Non prima che Lucia lo portasse, nota Pietro, e' poteva pentirsi e darsi nel petto. L'Ottimo cita Isidoro: Nè alcuno si puote da sè correggere, ma ammendato da Dio. Ei Salmi: Non è dell'uomo la via sua. L'Ottimo stesso: Lucia nel tempo che l'autore nulla operava, via il levò e dedusse al luogo dove li peccati si riconoscono, e mostrò a Virgilio, cioè alla ragione, l'entrata del Purgatorio, che è la contrizione del cuore, e poi la emendazione.

Notabile qui una citazione veramente insolita della Somma: Non si contamina il corpo, se non per consenso della mente, come disse Lucia (1). Questo recare il detto della martire, accennando a lei come a persona storica notissima, prova la pupolarità del nome in que' tempi, e spiega perchè Dante la scegliesse com'uno de' simboli del suo poema. Non so se quella sentenza di Lucia, e' la leggesse in Tommaso, o la udisse da’frati lettori di lui, o la trovasse nell'intimo dell'anima sua Caterina da Siena, che più volte nelle lettere la ridice; Caterina da Siena che Dante avrebbe, e come esem. plare vero e come ideale poetico e come simbolo sacro, collocata negli splendori del suo Paradiso.

(1) Som, 2, 2, 64.

PENITENZA E CORREZIONE.

I grandi Poeti sono comento a sè medesimi e l'uno all'altro cosi come tutti gl' ingegni e le anime singolari. Il passo alla prima non chiaro di Virgilio: Ast ubi digressum Siculae te admoverit orae Ventus, et angusti rarescent claustra Pelori (1) è illustrato da' versi di Dante: Ed eravamo in parte Che là, dove pareami in prima un rotto, Pur com'un fesso che muro diparte, Vidi una porta (2). Questo rotto e questo fesso, e il rarescent più elegante e possente, rappresentano il parere che fa di lontano angusta ogni apertura e seno, e il venirsi all'occhio di chi le si approssima dilatando.

L'Angelo che siede alla porta risplende in vista si che non lo può l'occhio umano sostenere, e ha una spada nuda che gella non men vivi lampi; come nella Genesi: Ejecitque Adam: et collocavit ante paradisum voluptatis Cherubim, et flammeum gladium atque versatilem ad custodiendam viam ligni vitae (3); e come in Daniele: Facies ejus velut species fulguris (4). L'Angelo dice a' v egnenti: Ov'è la scorta (5)?; onde pare che a ogni anima bisogni la scorta d'un angelo; perchè gli angeli sono mediatori tra gli uomini e Dio; e dice anco: Ditel costinci, che volete voi ?... Qui è la porta (6); che rammenta il virgiliano di Caronte: Fare age quid venias; jam istinc et comprime gressum: Umbrarum hic locus est (7). Il Caronte dantesco è bianco per antico pelo (8); il primo angelo che Dante vede tragittare gli spiriti viene Trattando l'aere con l'eterne penne, Che non si mutan come mortal pelo (9): contrapposti non ricercati ma non casuali. In Ovidio le Furie: Carceris ante fores clausas adamante sedebant (40): qui l'Angelo siede sulla soglia che mi sembiava pietra di diamante; e liene ambedue i piedi sul terzo de' gradi che mettono alla porta e che è di porfido color di sangue, a dipingere la carità, espiatrice vera de' falli: Remittuntur ei peccata multa quia dilexit multum. E invero, Agostino: Ogni dolore è fondato in amore (11); e la Somma: L'amore della carità in cui si fonda il dolore della contrizione è il massimo degli amori (19).

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Tre gradi ha la penitenza. Si pecca, dice Pietro, con la bocca, col cuore, coll'opera : quindi la confessione del labbro, la contrizione del cuore, la soddisfazione dell'opera Convien rammentarsi il peccato, vederne la gravità, confessarlo candidamente, e per pentimento lavarlo. Simile idea è in una orazione inedita d'un Mussato; quale dipingendo la scala per cui l'anime salgono al cielo, pone per primo grado la sagacità, per secondo la prudenza, poi la scienza, la sapienza il supremo. La contrizione è che rompe (conterit) la durezza del cuore e quasi con fuoco la fa screpolare (1). Scindite corda vestra et non vestimenta vestra (2). Per il terzo grado, che è di colore rosso, altri intende il rossore del peccato o piuttosto la soddisfazione: e tra le soddisfazioni più alte è quella del sangue. E le vive opere avvivano, dice l'Ottimo, l'anima. L'angelo è imagine qui de' sacerdoti che l'Apostolo appunto chiama angeli. E Malachia: Labia.... sacerdotis custodient scientiam... quia angelus Domini... est (3). Questa è la porta dopo la quale è libero il passo al cielo. Però ci pone le chiavi date a S. Pietro regni coelorum (4).

II vestimento dell'angelo è color di cenere o terra secca (5); e sempre la cenere nella Bibbia simboleggia umiltà con dolore. Per l'umiltà il peccato rimettesi (6); onde Virgilio dice al Poeta: Chiedi umilernente Che il serrame scioglia (7). Egli si dà nel petto tre volte, e s'inginocchia devoto a' piedi dell'angelo, e chiede misericordia: alli che all'anima altera non parevano vili; dacchè anco nel Paradiso: A quel devoto Trionfo, per lo quale io piango spesso Le mie peccata, e'l petto mi percuoto (8). Ma perchè, anche dopo la contrizione, rimangono alcuni peccati veniali (9), l'angelo gli descrive selle P nella fronte, cioè gli riduce a memoria i sette peccati: dì quasi tutti egli era, così come ogni uomo, colpevole in qualche parte. La spada è l'autorevole riprensione. La chiave è la parola che scopre la colpa, la quale talvolta è mal nota a quel medesimo che la commise. Le chiavi, dicono altri, sono il discernimento e l'autorità d'ammettere o di rigettare. Nelle antiche pitture, una delle chiavi di Pietro è d'argento, l'altra d'oro Sant'Ambrogio: Lo Signore vuole, essere eguale la balia d'assolvere e di legare: e promise l'uno e l'altro con pari condizione. Ma ad aprire richiedesi, dice il Poeta, arte

(1) Som. Sup., 2: Contritio est ali- secondo; ma la prima è la più difficile cuius duri comminutio.

(2) Joel., II, 13.
(3) Malach., II, 7.

(4) Matth, XVI, 19. Inf., XXVII: Lo ciel poss'io serrare e disserrare.... però son due le chiavi. - XIX: Quanto tesoro volle Nostro Signore in prima da San Pietro, Che ponesse le chiavi in sua balia? Par., XXIII: Colui che tien le chiavi di tal gloria. - XXXII : A cui Cristo le chiavi Raccomandò di questo fior. XXIV: Luce eterna del gran viro A cui nostro Signor lasciò le chiavi Che portò giù, di questo gaudio miro. Ma nell'Inferno l'una chiave pare per ironia che apra e l'altra che chiuda: qui sul serio, quella d'argento apre il primo serrame, quella d'oro il

a volgere, perchè, tra le altre ragioni, il primo passo nella conv rsione è che costa più, e che, avendo però più merito, più fa talvolta a salute.

(5) Gen., XVIII, 27: Loquar ad Dominum meum, cum sim pulvis, et cinis. Eccli., X, 9: Quid superbit terra, et cinis ?

(6) Luc., XVIII. Som., 2, 2, 161. (7) Matth., XVI, 19: Quodcumque solver's super terram, crit solutum et in coelis.

(8) Par., XXII. Som., 2, 2, 3. La confessione è parte di penitenza e ord.nata a cancellare il peccato; il che è il fine del pentimento."

(9) Som. Sup., 2.

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troppa. Sant' Agostino: Chi vuole confessare i peccati per trovare grazia cerchi sacerdote che sappia obbligare e prosciogliere, che non cadano ambedue nella fossa. Ottimo: Il prete vuol avere molta discrezione e considerare la condizione e stato, etade e maturezza del peccatore, considerare la qualitade del peccato e le circustanzie.. altrimenti, male andrebbe la deliberazione della penitenza che si dee ingiungere.

L'Angelo apre finalmente la porta, che forte risuona sui cardini, perchè, come dirà poi, il mal amor dell'anime la disusa, cioè pochi sono gli eletti (1), ond'ella, smossa non di frequente, arrugginisce: L'Ottimo: Fece grande romore, e mostrossi molto agra; a dare ad intendere come era stato grave il fallo del peccatore, e come con fatica s'apre a uomo così inviluppato nelle dilettazioni corporali.... acciocchè pensi, se altra volta ritornasse di fuori, come malagevolmente li sarebbe aperta.

Qui viene, e non a caso, la similitudine di Tarpeia, cioè della porta chè chludeva il tesoro del tempio violato da Cesare per pagare i soldati. E no. tisi come le due fonti non solamente poetiche ma politiche di Dante siano Virgilio e Lucano; Lucano ultimo dei cinque poeti (9), ma anch'egli studiato, imitato, recato come e memoria ed autorità; Virgilio poeta dell'impero, Lucano oratore della repubblica. A questo passo Lucano (3) dice appunto: Omnia Caesar erat. Velle putant quodcumque potest. Viribus an possint obsistere jura, per unum Libertas experta virum. Pugnaxque Metellus ut videt ingenti Saturnia templa revelli Mole, rapit gressus .. prohibensque rapina Victorem.... Non feret e nostro sceleratus praemia miles (4). - Non nisi per nostrum vobis percussa patebunt Templa latus.Senonchè questa stessa violenza, fino in bocca di Lucano, torna in lode di Cesare, e il disonore ne cade su Roma, apparecchiata già a servitù, come poi disse Tiberio, e però assoggettante sè stessa al non evitabile impero Melius, quod plura jubere, Erubuit, quam Roma pati (8). All'ardito resistere di Metello, Cesare, contento del tesoro, non si sdegna, e mandatolo a casa, gli dona lavila: Te vindice, tuta relicta est libertas ? non usque adeo permiscuit imï's Longus summa dies, ut non, si voce Metelli Serventur leges, malint a Caesare tolli (6).

In Virgilio la Sibilla dice al viatore de' regni oltremondani: Moenia conspicio atque adverso fornice portas, Haec ubi nos praecepta jubent deponere dona. Dixerat; et pariter gressi per opaca viarum, Corripiunt spatium medium, foribusque propinquant. Occupat Æneas adijum....... His demum exactis, perfecto munere Divae, Devenere locos laetos (7). Qui all'aprire che l'Angelo fa la porta, il Poeta sente un suono di canti: Introite portas ejus in confes

(1) Matth., XXII, 14.
(2) Inf, IV.

(3) Phars., III.

(4) Rammenta quel di Virgilio: Impius haec tam culta noval a miles habebt? Barbarus has segetes? En quo discordia cives Perduxit miseros! En queis consecimus agros! (Buc., 1). Parole coraggiose del giovane, che in età più cauta non avrebbe forse espresso il proprio sentire così chiaramente. E anche Tullio, giovane, difendendo Roscio, si dimostrò più generosamente DANTE. Purgatorio.

ardito, che poi accusando e vilipendendo Catilina ed Antonio.

(5) Lucan. Phars., III.

(6) Lucan. Phars., III. Veggansi vi i consigli di Cotta e Metello, e avran nosi compendiate, in quel che hanno e di falso e di vero, e' di generoso e di vile, le ragioni recate in mezzo in tutti i luoghi e i tempi per rassegnarsi alla mutazione degli Stati, e di più in meno liberi, e di meno in più.

(7) Æn., VI.

sione, atria ejus in hymnis (4). All'entrare d'un'anima cantano Te Deum (9), lodando i santi e gli angeli e Dio creatore e redentore, per la salute d'uno spirito; all'uscire dell'anima verso il cielo cantano Gloria in excelsis (3); nella valle: Salve Regina (4); verso la sera: Te lucis ante (5); nello scendere a fiva: In exitu Israel (6); al venire di Beatrice: Veni sponsa (7); al venire di Cristo: Benedictus qui venis (8). Poi gli angeli all'entrare di ciascun giro cantano al Poeta parole raccomandatrici d'alcuna virtù.

L'angelo gli ha già fatti accorti Che di fuor torna chi dietro si guata (9); perchè nessuno che mette mano all'aratro e riguarda dietro a sè è atto al regno di Dio (10). Il che rammenta insieme la storia di Loth (44), e la favola d'Euridice: Redditaque Eurydice superas veniebat ad auras, Pone sequens (namque hanc dederat Proserpina legem). Quum subita incautum dementia cepit amantem... Restitit, Eurydicenque suam, jam luce sub ipsa, Immemor heu victusque animi respexit; ibi omnis effusus labor (12). Queste corrispondenze delle tradizioni favolose con le sacre, e del Poema maestro suo col Libro maestro di tutte le umane generazioni doveva essere sempre nuovo e diletto e conforto e all'intelletto e all'animo del Poeta.

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Descrive l'albeggiare dell' aurora che precede il sorgere della luna, il quale avveniva in quella sera al Purgatorio (sempre nell'ipotesi del 1300 e del Plenilunio pasquale ecclesiastico) un po' prima delle ore nove pomeridiane. Che parli qui dell'aurora lunare, e non di quella del sole, si argomenta principalmente, 1.° dall' appellativo di concubina, e non di moglie, di amico e non di marito; 2.° dal contesto della narrazione poetica il quale non permette di supporre l'aurora solare ivi in quel punto, nè a Gerusalemme ne in Italia; 3.o dall' impossibilità matematica e fisica che la fronte dell' aurora solare potesse essere lucente delle stelle della costellazione dei Pesci, come conver

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